[ESPERIENZA 9] - Escape from Last Year

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    [ESPERIENZA 9]:

    Escape from Last Year
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    Se qualcuno abituato a vedere le vesti sobrie del M.A.C.U.S.A. si fosse recato quella sera avrebbe stentato a riconoscerlo. Opulenza e sfarzo trasudavano da ogni angolo, non un solo oggetto era stato mantenuto nella sua consueta posizione. Seraphina Picquery osservava con un certo disappunto la colata d'oro e glitter che scendeva dall'usuale scalinata che portava agli uffici superiore, ora resa inutilizzabile per permettere agli ospiti del magnate Von Der Schwarz, che la madama presidentessa sospettava fosse falso, di concentrarsi nel ampio atrio d'ingresso del Woolworth Building. Lo sfregio più grande, quello che più feriva il cuore della strega, era il grande orologio che segnalava il pericolo di smascheramento della magia trasfigurato in una vile decorazione scintillante, che proiettava scintilli di colori differenti tutt'intorno, portando al colasso epilettico se la si fosse guardata troppo a lungo. Opinioni personali certo, anche perchè la Picquery non aveva fatto mistero di disapprovare questa iniziativa, ma il Von era riuscito in qualche modo, e dietro una cospicua mazzetta di galoeni, a superare il suo veto e a comprarsi per un'intera notte l'ufficio dove risiedevano gli organi competenti del M.A.C.U.S.A.
    Inoltre l'ospite d'onore non si era ancora fatto vedere in giro quando i primi invitati iniziarono a fare il loro ingresso. Non c'era una vera e propria selezione di persone, la Presidentessa notò che in effetti gli ospiti sembravano essere stati scelti senza un criterio specifico, ma tutti quanti avevano in mano un invito su carta laccata d'oro. Per puro caso le capitò uno dei golden ticket sotto mano e quello che lesse la lasciò ancora più sconcertata.


    WELCOME 1927
    ꓨOOꓷꓭ⅄Ǝ 9ᄅ6⇂
    M.A.C.U.S.A.
    Woolworth Building,
    New York
    Adoratissima comunità magica,

    Quest'anno è stato molto complicato e difficile per noi tutti, mi sembra adeguato salutarlo in maniera definitiva, augurandoci di non averci più nulla a che fare. Ecco perchè io, Cavalier Von Der Schwarz, ho deciso di invitarvi tutti presso un'istituzione rappresentativa di questo 1926.

    Vestito elegante d'obbligo, non fateci sfigurare.
    Champagne e buffet gratis.
    Cavalier V.D.S.



    Erano le ore 20 e da una posizione privilegiata il misterioso Cavaliere osservava con un sorrisetto carico di divertimento lo sfarzo con il quale il M.A.C.U.S.A. era stato decorato, mentre la folla di invitati iniziava ad arrivare richiamata dalla promessa di champagne e cibo. Numerose fontane dorate (almeno 4) riversavano senza badare a sprechi, ma in bicchieri di cristallo infrangibile, le bollicine alcoliche mentre un ricco buffet in grado di far sfigurare qualunque banchetto regale era stato allestito al lato est dell'atrio, accanto alla scalinata d'oro liquido. Gli inviti che erano cascati sulla comunità magica come una pioggia dorata durante il giorno di Natale e nei giorni seguenti avevano ricoperto una fetta importante della popolazione: c'erano studenti, ambiziosi professori, rinomati Medimag, acclamati giocatori di Quidditch, negozianti delle principali istituzioni commerciali, per non parlare delle decine di dipendenti ministeriali d'America e d'Inghilterra e più semplciemente semplici maghi e streghe, curiosi di assaggiare una fetta di questo magnificenza. Tutti stavano arrivando al loro posto, esattamente dove li voleva il Cavalier, in tempo per lo scoccare della mezzanotte, e, nella semi oscurità, illuminato soltanto dal rosso bagliore emanato della sua sigaretta accesa, il Von sorrideva compiaciuto. Sarebbe stata una notte indimenticabile, doveva solo aspettare il momento giusto per fare la sua entrata trionfale.

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    ▬Brad McNeal▬
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    Era sotto la doccia, Brad, quando aveva sentito sulla finestra della sua stanza, la numero sei al Paiolo Magico, un picchiettio noioso e continuo che non aveva intenzione di smettere. Era quindi uscito per controllare di che cosa si trattasse e, con meraviglia, aveva trovato una semplice lettera. Aprì la finestra, per permettere alla missiva di entrare e posarsi delicatamente sulla scrivania.
    Mentre si stava asciugando e ricomponendo, McNeal aveva pensato a chi avesse potuto rispondergli e solo un nome gli era venuto in mente: il Professore di Hogwarts a cui aveva scritto per sapere cosa fare con Ilvermorny. Tuttavia, una volta tornato a sedersi, Brad notò che quella non era una semplice lettera, bensì un invito. Gli occhi si spalancarono quando scoprì che, incredibilmente, l’invito era per festeggiare il Capodanno al M.A.C.U.S.A., in America. Un certo Cavaliar Von Der Schwarz aveva deciso di invitare la comunità magica ad uno degli eventi più incredibili dell’anno (sia quello che se ne stava andando, sia quello che stava arrivando probabilmente). Ma poco importava chi fosse il mittente: per McNeal l’importante era l’enorme possibilità che aveva avuto per andare in America e sondare il terreno. Magari anche il suo ex Docente di Difesa Contro le Arti Oscure sarebbe stato presente e sarebbe stato un ottimo pretesto per parlargli di persona. Più passavano i minuti, più Brad si stava convincendo ad andare in America a quella festa.
    Aveva poi scritto immediatamente a James Kennegan che, nella stanza accanto, doveva aver ricevuto anche lei il misterioso invito. Le aveva chiesto se aveva intenzione di andare. Sapeva benissimo che lei aveva delle cure al San Mungo da fare, ma sapeva altrettanto bene che era stata un po’ di tempo negli Stati Uniti e non sarebbe stato troppo strano, per lei, tornarci. Le aveva inoltre confidato che lui, probabilmente, ci sarebbe andato proprio per il discorso che avevano affrontato qualche giorno prima: andare nel Nuovo Mondo per capirci qualcosa in più. E poi, con tutta la comunità magica presente, Brad avrebbe anche avuto modo di cercare lavoro.
    Arrivato il fatidico giorno, McNeal decise di prepararsi con largo anticipo, per essere perfetto e pronto senza dover correre all’ultimo minuto. Decise di essere elegante perché si trattava di andare al M.A.C.U.S.A., ma comunque di essere leggermente fuori dagli schemi perché era Capodanno e bisognava essere appariscenti, era come una regola non scritta. Perciò, sotto il classico abito nero e sopra una normalissima camicia bianca, Brad aveva indossato una cravatta di paillettes verdi e blu che luccicavano insieme non appena colpite da uno spiraglio di luce. Si era laccato, poi, i capelli, per mantenerli ben fissati e ordinati. Dovevano star svegli fino a tarda notte probabilmente ed essere scombinato era un aspetto che lo Scozzese non amava per niente.
    L’atrio del M.A.C.U.S.A. era stato decorato in modo molto sfarzoso. McNeal non conosceva benissimo l’aspetto del Ministero Americano, ma di sicuro quello non era il classico. Champagne versato da fontane d’oro, un buffet ricchissimo che avrebbe potuto sfamare tutti gli Stati Uniti e maghi e streghe che bevevano e mangiavano ridendo, come se quella fosse una normalissima festa di fine anno. Brad si avvicinò quindi all’ingresso per mostrare il suo Golden Ticket. Aveva ricevuto anche lui l’invito e, giustamente, si era presentato all’evento. Con lo sguardo cercò subito di riconoscere tre persone: Steve McNeal, suo padre; l’ex Professore di Difesa Contro le Arti Oscure; James Kennegan. Il primo era da evitare assolutamente perché si sarebbe accollato e non si sarebbe staccato più, probabilmente per cercare di convincerlo a tornare in società. Il secondo era diventato un vero e proprio mistero umano, ma che andava trovato per chiedergli cosa volesse dire quella lettera che gli aveva mandato con scritto solo 'Ilvermorny'. La terza, invece, era la compagnia che Brad avrebbe gradito più di tutte, per passare un divertente e felice ultimo giorno dell’anno.
    Non vedendo, ancora, nessuno dei tre, McNeal si diresse verso una delle fontane di champagne per prendere un calice infrangibile e bere un primo sorso. A stomaco vuoto, però, sarebbe stato deleterio, motivo per cui si avvicinò subito dopo anche al banchetto per prendere qualche tartina e mangiarla senza rimorsi.
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    Callum Mahoney

    AGE 29 - EVOCATORE
    Un altro anno stava giungendo al termine. Ancora non mi capacitavo di quanto velocemente trascorressero le giornate e di quanto lente e cariche di angoscia fossero le notti. Se avessi contato i giorni mi sarebbe sembrato essere trascorso poco più di un mese, ma le notti, quelle bastarde con i loro incubi carichi di sangue e colpi di mortaio, loro sembravano infinite. Non potevo lamentarmi del personale inferno che mi era stato inflitto, la condanna alla perdita del sonno sembrava una sciocchezza per chi aveva visto e affrontato situazioni così critiche in guerra. Il clack nervoso del taglia sigaro e dell'accendino di Clark scandivano il passare delle ore con un ticchettio frenetico, mentre il rintocco delle campane solo di recente aveva iniziato a prendere una colorazione accettabile, senza suscitare in me il senso d'angoscia delle sirene d'allarme prima che esplodesse la raffica di proiettili nemici. Uno di questi era rimasto infilato nella mia carne, tra la scapola e la spalla, non aveva procurato lesioni e il medico di campo aveva semplicemente deciso di lasciarlo lì, in aggiunta ai muscoli e ai tendini. Non era più che un bozzo, un gonfiore violaceo sulla spalla destra che era diventata la mia sentinella del meteo, a ogni cambio di stagione iniziava a pizzicare e a prudere per due giorni, poi tornava invisibile sotto pelle. Una raffigurazione romantica, l'innocente versione di me l'avrebbe trovato poetico, di quanto la guerra può infilarsi sotto la pelle di chi ne ha visto le atrocità. il 1926 stava giungendo al termine e io avevo perso già da alcuni anni la comprensione di chi conosceva il mio passato, chiudendomi sempre più in me stesso e nei miei mostri, che con un po' di fortuna ero riuscito a confinare alla notte. Un paio d'ore di sonno era il solo lusso che mi concedevo prima di svegliarmi candido di sudore e urlante nel letto di casa. Aspettavo l'alba da un paio d'ore quando un gufo planò sul davanzale di una finestra con le imposte già aperte. Trovavo conforto nel cielo stellato o nelle nuvole che si rincorrevano nell'oscurità, retaggio della trincea. Era un'invito a una festa in America, a New York. Da quando ero tornato dalla Francia, non avevo più lasciato l'Irlanda, spostandomi al massimo in Inghilterra. Sembrava una buona occasione per iniziare in maniera differente l'anno. Anche se misi via il biglietto, in cuor mio avevo già accettato.


    Coppola in tweed, abito elegante del medesimo materiale e cravatta nera. Non sopportavo più il colore rosso da quando ero tornato. Mi ero materializzato davanti alla sede del MACUSA seguendo le istruzioni generali dello statuto di segretezza per non essere smascherato, anche perchè non conoscevo la città, per poi entrare nel imponente palazzo. All'ingresso mostrai l'invito e lasciai cappotto, ma non il cappello, spostandomi rapidamente verso il settore alcolici. Una smorfia apparve sul mio viso notando immediatamente la mancanza del whiskey in favore del francese champagne. Un'altra cosa che non avevo più sopportato dal ritorno dalla guerra. Niente rosso e niente cose francesi. Optai per il cibo, magra consolazione all'assenza di alcol, dove presi un tramezzino con il formaggio. Iniziai a guardarmi intorno anche se l'impulso di chiudermi in silenzio in un angolo iniziava a prendere il sopravvento.
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    James Kennegan


    Ricevette il golden ticket in uno dei rari momenti trascorsi nella tranquillità della sua camera, mangiando una ciambella al cioccolato stesa sul letto. Al San Mungo la fisioterapia e la riabilitazione per l’uso della gamba stava procedendo molto bene, James era una paziente determinata e caparbia, e i suoi muscoli anelavano movimento e così il suo corpo allenamento rispondeva in modo più efficace del normale agli esercizi proposti. A quel punto della terapia la sua camminata aveva iniziato a tornare quella di un tempo, con scattanti gambe che si rincorrevano, e soltanto la sera il ginocchio era ancora gonfio di liquido per gli sforzi. Ma a parte questo piccolo dettaglio, che per una come la Kennegan era del tutto trascurabile, andava tutto bene. Si stava premiando per gli sforzi degli ultimi giorni, anche per via dello spreco di energie che dovevano essere reintegrate, con il più classico dei dolcetti. James Kennegan aveva un trittico di cibi irrinunciabili in qualunque stagione: pizza, gelato e ciambelle. Non necessariamente in questo ordine ma per lei riuscire a mangiarli tutti e tre nel giro di una sola giornata consisteva in un traguardo di grande gioia. E si sa, chi ben comincia... il piccolo gufo che portava l’invito la colse in flagrante con la bocca piena della gustosa delizia e in uno stato non proprio presentabile. Il primo istinto fu quello di prendere la posta e accantonarla al mucchio che giaceva da una settimana - aveva risposto solo a sua nonna e a sua madre per dare notizie del suo stato di salute- ma il richiamo del luccichio dell’oro la interruppe. Le donne amano le cose che scintillano e pesino la mascolina Kennegan non era immune a questo fascino. Stava già ponderando se andare o meno a questo ballo quando un messaggio dalla stanza accanto le fece pendere istintivamente per il sì e vergate una rapida e confusa risposta affermativa per il suo mittente. Odiava andare alle feste con un sacco di gente dove non conosceva qualcuno, l’idea di avere nel McNeal un’ancora ferma introno alla quale ruotare era più che sufficiente per colmare i suoi dubbi.

    Vestiti e capelli erano due fattori di cui James Kennegan nella sua vita quotidiana non si era mai preoccupata: con gli allenamenti di Quidditch indossava sempre la divisa della squadra e i capelli erano raccolti in un’alta coda bionda che ormai era diventata un po’ il tratto distintivo della battitrice irlandese. Ma indossare il rosso dei Moose Jaw Meteorite non le sembrava appropriato anche se era capodanno e la divisa le stava tremendamente bene. Riuscì a vincere questo impulso e a indossare per la serata un abito in paiettes e strass argentati in perfetto stile charleston che le arrivava appena sopra le ginocchia per coprire i segni del suo incidente e mascherare ogni traccia di cicatrice, poi, colta in uno slancio da diva del cinema, abbinò a questo un vistoso e appariscente coprispalla in pelliccia bianca, che sembrava essere una vaporosa nuvola appoggiata sulle sue spalle. Le bastò non asciugare i capelli per avere delle onde bionde che ricadevano come boccoli, alcuni più e altri meno, ribelli che le conferivano un’aria frizzante e vivace. A completare il look un paio di scarpe basse in argento, era meglio non mettere i tacchi visto che non camminava ancora benissimo, e sfruttare il suo già alto metro e settantacinque.

    Crack. Falso allarme, nulla di rotto, soltanto l’esito della materializzazione della Kennegan che aveva approfittato della sua conoscenza di New York per apparire in un piccolo e angusto vicoletto dove nessuno avrebbe osservato il vortice di colore che avrebbe accompagnato il suo arrivo. Discretamente in ritardo, quanto basta per farsi desiderare ma non cadere nella cafonaggine, fece il suo ingresso al Woolworth Building, dove esibì il suo invito. La sede del MACUSA era molto differente da quando ci si era recata l’ultima volta, ormai erano trascorsi quasi sei mesi, per ottenere permessi e varie autorizzazioni a giocare in una squadra canadese. Una breve parentesi della sua vita che la Kennegan considerava ormai conclusa, non fosse altro che per il piccolo fastidio al ginocchio che tornava a farsi sentire di tanto in tanto. Ma per ora stava bene. Lo sguardo smeraldino dell’irlandase passò rapidamente in rassegna la folla di invitati che andava facendosi più numerosa all ricerca dell sua ancora. Individuò Brad McNeal nella zona buffet verso la quale si diresse tagliando proprio in mezzo alla sala, incurante di interrompere presentazioni e conversazioni altrui, andando dritta al punto. << Buonasera Brad.>> salutò l’uomo arricciando un sorriso malizioso sulle labbra e lasciando due veloci baci, senza appoggiarsi alla sua pelle perché in uno slancio femminile aveva messo il rossetto, sulle guance del uomo, molto elegante in quella veste. << C’è davvero molta gente stasera, visto qualcuno di tua conoscenza?>> domandò, impicciona e tutt’altro che discreta, non conosceva il concetto di privacy per se stessa e per le altre persone, intercettando lo sguardo del McNeal e seguendolo in un punto indistinto della folla dove però nessun volto suscitava alcunché nella sua memoria. Invece le iridi di smeraldo captarono, per la seconda volta in pochi giorni, il lucente scintillio di bollicine dorate. << Oh, champagne! Vado, arrivo...cioè... torno subito>> impacciata nelle formalità sperava di essere stata compresa dal pover uomo che aveva dovuto sopportare la sua invadenza già dai primi minuti, congedandosi temporaneamente dall’incontro con una piroetta veloce che fece roteare i lunghi fili argentati creando un gioco di scintilli e brillii intorno all’elegante figura della Kennegan. Che si gettò subito sulla fontana di champagne, facendosi aiutare ad estrarre un calice per evitare di fare danni - ne era perfettamente in grado- e sorseggiando subito un generoso sorso prima di rovesciarsi la bevanda addosso. E così il rossetto perfetto era durato giusto una decina di minuti, molto più delle previsioni più rosee della Serpeverde.

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    hedel anakin crawford

    Reclinò il capo di lato, come faceva spesso in quello che era un tatto distintivo della sua famiglia, osservando come il suo riflesso nello specchio ricopiava alla perfezione ogni suo gesto. Non c'era da stupirsi che uno specchio riflettesse la propria immagine, ma per la Crawford questo era diverso. Una sorta di specie di prova del nove per essere sicura di essere ancora lì, lei, presente a se stessa. Non le era mai capitato ma ogni volta si aspettava di vedere il suo riflesso restare fermo a deriderla per la sua ingenuità. Ma non quella sera, l'ultima notte dell'anno 1926. Sorrise e il riflesso le sorrise con le labbra colorate di rosso cremisi, vellutato e accattivante, malizioso come solo una Crawford poteva essere. Alle sue spalle intravide il fratello, anche lui si stava sistemando il cravattino, perfetto nello smoking elegante. Per gli uomini queste occasioni erano molto più semplici, gli bastava un elegante vestito nero, una camicia bianca e una cravatta ed erano pronti. A lei, rimirandosi nello specchio poteva osservare gli forzi delle sue fatiche, erano serviti diversi Galeoni spesi, un abito confezionato su misura dal Madama McClans nel corso dell'ultimo mese, la scelta del tessuto, un vaporoso tulle rosso e un corpetto di seta con intarsi di diamanti. I capelli, non ricordava di averli tagliati così corti, scalati che ricadevano in un'acconciatura adulta nonostante i suoi diciassette anni. Il trucco leggero, mascara e rossetto. Nathaniel richiamò la sua attenzione: era ora di andare. Un sospiro l'accompagnò al braccio del fratello con il quale si smaterializzò.

    Ingenui esseri umani che si aspettano grandi cose da una sola notte, illusi che basti riportare il calendario al primo gennaio perché le loro vite cambino. Mangiare più lenticchie vi porterà soltanto a una maggiore flatulenza, sicuramente resterete i poveri straccioni di sempre indipendentemente dai legumi ingeriti.

    New York appariva come il consueto kaleidoscopio di luci e suoni, ma se possibile era ancora più frenetico del solito. C’erano carrozze e automobili che ruggivano lungo la strada principale, una calca di folla vestita in enormi pellicce e con assurdi cappelli sgomitava per avere il suo angolino di spazio vitale sul marciapiede. La Crawford seguì il flusso della folla per poi svoltare nel ampio palazzo che ospitava il M.A.C.U.S.A. Non aveva mai avuto occasione di vistarlo, non aveva aspettative a riguardo, e quando era stata a New York era stato soltanto per shopping o per andare a bere qualcosa al Blind Pig. Non le interessava del luogo, degli sfarzosi addobbi o del lussuoso champagne riversato in calici di cristallo, per qualcuno abituata come lei al lusso era semplicemente una consuetudine, un altro elemento d’arredo sul quale i suoi occhi potevano sorvolare o passare oltre. Lasciò andare il braccio del fratello che doveva assolutamente andare a fare qualche incontro di lavoro con qualche diplomatico o ambasciatore o una cosa politica che per nulla la interessava. Si mosse con grazia lungo la sala, lasciando che il suo vestito cremisi seguisse le onde del suo corpo e si muovesse sinuosamente ad ogni passo, perché tutti potessero ammirarla perché una Crawford in rosso era un evento unico e raro. Il colore ufficiale della famiglia era il viola, come Serpeverde le piaceva indossare lo smeraldo, e il rosso era del nemico Grifondoro. Ma era capodanno per Merlino, avrebbe rotto lo schema convenzionale, come sempre faceva d’altronde. Individuò un gruppetto di persone che riconobbe come “smarritori di bacchette” e che recentemente aveva servito da Ollivander, ma alla wandmaker non importava di fare conversazione con gente qualunque. I Crawford non si mischiano con la plebe comunque. Così si diresse verso la fontana di Champagne.

    Champagne. Altro alcol per bruciare i già pochi neuroni reattivi che ti ritrovi. Meglio per me, sarà molto più semplice approfittarmi appieno della tua ingenuità, non che questo richieda un grande sforzo. Patetici esseri umani. Speriamo che questa tortura si concluda il prima possibile, quando arriva la stramaledetta mezzanotte?
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    chloe walsh
    Ingenuamente avevo creduto che il 31 Dicembre, per via delle feste e del Natale, avrei potuto stare a casa ed evitare il training da auror. Era piacevole trascorrere un po' di tempo in tranquillità a casa, riposando i muscoli sempre più dolenti dopo ogni allenamento, riprendendosi dagli sgradevoli cenoni natalizi con invadenti parenti che continuavano ad elogiare il mio gemello e a domandare a me perchè non potessi essere più come lui. Avevo giustificato il grande bollo sulla spalla incolpando la mia sbadataggine, perchè nemmeno per tutto l'oro dei goblin avrei rivelato a mia madre di starmi allenando per diventare un auror. Sarebbe morta d'infarto un secondo dopo avermi uccisa. E comunque avevo appreso da una strillettera di Wright piuttosto inequivocabile che un Auror non aveva vacanze e conseguentemente nemmeno io. Il 31 Dicembre era un giorno qualsiasi per gli Auror e, sinceramente, ero stata sorpresa di trovare il centro di addestramento pieno di vita e di uomini a lavoro come operose api in un alveare. E la nostra ape regina era la lucente James Archie Wright, più croce che delizia dei miei giorni. Ovviamente ci era andato giù pesante, mi ero trovata con il culo a terra diverse volte e un colpo sulla spalla si era trasformato in un bollo viola che si affacciava oltre il vestito rosso acquistato per l'occasione. Visitare l'America era un sogno che coltivavo sino da piccola ma che non avevo mai realizzato, vincolata a mia madre e alle convinzioni inglese, ma visto che il 1926 si era svolto con una serie di mia madre non deve venirlo a sapere avevo deciso che il modo migliore per concluderlo fosse a New York. E cominciare il 1927 con le medesime premesse. e con un bicchiere di champagne.

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    Seraphina Picquery iniziava a spazientirsi. Era stata costretta ad assecondare le pretese di un uomo folle e con manie di grandezza, un disturbo che la Madama Presidentessa avrebbe consigliato di curare con il supporto di un buon Magipsichiatra, e ora che la festa era iniziata questo non aveva nemmeno avuto la decenza di presentarsi. Era una grade sofferenza per una strega così ligia al dovere e integerrima osservare il M.A.C.U.S.A. ridotto a circo alla mercé di un mercenario folle, che questo nemmeno si presentasse era una stilettata al cuore che acuiva ancora di più questo dolore. Dalla sua posizione privilegiata aveva iniziato ad avanzare avanti e indietro vagliando alcune ipotesi con le quali interrompere questa pagliacciata. Dal diramare un comunicato di un allarme che metteva a rischio l'integrità della comunità magica e dello statuto di segretezza, al contattare gli auror millantando una minaccia di sicurezza nazionale, un peccato che Grindelwald si trovasse rinchiuso diversi metri sotto di loro perché sarebbe stato un valido deterrente per il corpo di sorveglianza, sembravano essere tutte quanti ipotesi plausibili e percorribili ma avrebbe dovuto scegliere con cura una strada che non conducesse direttamente a lei, incastrandola. Vagliando il ventaglio di possibili soluzioni che aveva dinnanzi la Picquery non realizzò subito quanto stava accadendo proprio nel bel mezzo dell'atrio.

    La trasformazione fu lenta, quasi impercettibile: particelle e gocce d'oro iniziarono ad alzarsi dalla colata dorata, risalendo lungo la scalinata, nel pianerottolo principale del M.A.C.U.S.A. Iniziarono lentamente, poche per volta, viste soltanto da chi stava guardando esattamente in quel punto, poi la quantità e la velocità si fece più intensa, finchè il senso discendente della cascata venne invertito dalla risalita, onde dorate scavalcavano gli scalini e andarono a solidificarsi in cima a questi. La forma nella quale si assemblarono levitando a mezz'aria era stupefacente: un'enorme maschera dorata prese forma, rivelando un monocolo intorno all'occhio destro, un taglio che spezzava la linea del sopracciglio sinistro, simile alla cicatrice che incideva la guancia destra e che deturpava le labbra della maschera, segnando il labbro superiore dove soltanto la metà destra era visibile nella classica curva a cuore, la sinistra mancava e scendeva come una linea retta verso l'angolo della bocca. Stravagante effetto scenico o reale raffigurazione del misterioso Cavalier Von Der Schwarz? Nello stupore generale, con numerosi sospiri ed esclamazioni che additavano alla maschera di dimensioni enormi - era larga quasi quanto l'intera scalinata e si estendeva in quasi due metri d'altezza- tutta l'attenzione era focalizzata su quel esatto punto. E la maschera si mosse, sollevano le labbra e scoprendo la bocca in quello che sembrava uno sbadiglio, ma iniziando a parlare, una voce metallica e rimbombante che si diffuso nell'intera stanza, udibile a tutti. «Benvenuti al Capodanno del secolo!» riecheggiò la voce per qualche istante, assicurandosi che fosse calato il silenzio in tutta la folla. « È il Cavalier che vi parla. Vorrei scusarmi per il ritardo ma alcuni affari in Giappone mi hanno trattenuto più del dovuto, cinesi loro festeggiano il capodanno più avanti, ma non volevo mancare per dare inizio alla festa. E quindi, mentre mi sto cambiando in questo preciso istante per essere più presentabile che con la vestaglia, ho orchestrato questa piccola magia per introdurmi e introdurvi a questa festa.» la voce era melliflua, modellata dall'oro attraverso cui correva e dall'amplificazione, l'accento era forzatamente tedesco ma la cadenza era allungata, sembrava quasi che stesse cantando. « Il 1926 è stato un anno molto difficile per la nostra comunità, mi sembra adeguato dargli un bel calcio nel didietro e sbarazzarcene una vola per tutte.» proseguì quello che sembrava essere uno dei più classici discorsi di fine anno «Prendiamo tutti un calice, forza » questa volta la voce risuonò maggiormente imperativa e dalle fontane di champagne di levarono i bicchieri di cristallo infrangibile che volarono uno nelle mani di ciascun presente. Un brindisi si doveva fare come si deve. « Dicevo, ah sì, il 1926... che anno terribile. Abbiamo dovuto affrontare la minaccia di Grindelwald, che dove sia è un mistero, abbiamo dovuto combattere contro bestiali creature che anno disseminato panico a New York e dovuto cancellare la memoria a un centinaio di babbani. Per non parlare di quella cosa nera che sembrava un tornado... ma non voglio stare a ricapitolare tutte le cose brutte che ci sono successe...» anche se ormai lo aveva fatto, vanificando gli effetti dell'ultima frase « In alto i calici» nelle mani dei presenti, del tutto incuranti della volontà dei partecipanti, i bicchieri si sollevarono in alto ancora stretti nelle loro dita «Beviamo per dimenticare questo 1926» e ancora per magia, senza aspettare alcun tipo di consenso, lo champagne si riversò in un sorso nelle bocche e lungo le gole di ognuno die presenti, nessuno escluso, minorenni e astemi. Evidentemente il Cavalier non conosceva una cosuccia chiamata libero arbitrio. Uno scorcio d'acqua e la maschera si dissolse, ricostituendo l'infinita cascata d'oro lungo le scale, i bicchieri restarono privi di vita e inermi come di consueto nelle mani degli ospiti e una allegra musica iniziò a diffondersi nell'ambiente, segno che la festa poteva proseguire come di consueto. Alle spalle della Crawford però arrivò un giovane mago, piuttosto avvenente, con una cloche argentata che svelò una lettera riposta su un vassoio d'argento. « È urgente Madama.». Poco dopo un uomo con indosso guanti bianchi si intromise nella conversazione tra Kennegan e McNeal, scusandosi per il disturbo e consegnando personalmente un tovagliolo a Miss James Kennegan con un criptico « Controlli attentamente.» e dileguandosi nella folla senza ulteriori spiegazioni. Dalle parti di Chloe Walsh giunse una strillettera, che iniziò a volteggiarle intorno con insistenza fino quasi a infilarsi nella sua bocca per l'insistenza di essere aperta dalla sua destinataria. Ma quando questa finalmente si spiegò, rivelando la lunga lingua rossa, le parole furono udite soltanto dall'aspirante Auror. Quattordici, elfo domestico di Brad, comparve con uno schiocco alle spalle del suo padrone profondendosi in scuse e consegnando una lettera, passata come se fosse una busta contenente sostanze illegali, «Che è stata consegnata con priorità massima, Signore.» giustificò la sua apparizione indesiderata per poi sparire in un secondo schiocco. Anche Mahoney fu raggiunto da una affascinante cameriera, portava in giro alcuni tramezzini, e infilando una mano nella tasca del mago, dove lascià un biglietto, diede spiegazione di quel gesto sussurrando un «Mi manda Grace.» prima di essere circondata da affamati ospiti che la fecero sparire nella folla.
    BRAD MCNEAL ✖ CALLUM MAHONEY ✖ JAMES KENNEGAN ✖ HEDEL ANAKIN CRAWFORD ✖ CHLOE WALSH ✖
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    ▬Brad McNeal▬
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    2OXR

    Tartina dopo tartina, Brad aveva cominciato a creare fondo per buttare giù il primo calice di champagne. Voleva divertirsi e, soprattutto, distrarsi da quell'anno completamente disastroso nel quale addirittura si era licenziato dal suo lavoro. Adesso si ritrovava a piedi, senza fare nulla e non aveva motivo per non brindare al nuovo anno: peggio del precedente, tanto, non poteva andare. Ad ogni boccone, però, McNeal osservava la folla, la troppa folla, per cercare volti noti da salutare. Ma tra tutte quelle risate, tra tutti quegli sguardi e quei vestiti chic, era impossibile, almeno per il momento, intravedere amici o parenti. Brad voleva evitare i secondi che si sarebbero messi a fare domande indiscrete senza ombra di dubbio, mentre avrebbe voluto assolutamente avvicinarsi a qualche amico per scambiare due chiacchiere e non sentirsi troppo solo e abbandonato anche a Capodanno. Era buffo, ma quella festa riusciva ad amplificare le emozioni umane. Chi si sentiva solo, quel giorno sentiva la solitudine ancor di più; al contrario, chi aveva qualcuno, quel giorno era felicissimo di passarlo in compagnia.
    Si lasciò alle spalle la folla, girandosi totalmente verso il buffet e scacciando quei pensieri per un'altra volta. Voleva distrarsi e non era quello il modo per farlo. Il cibo, invece, poteva essere un ottimo compagno. Si accaparrò un tramezzino, facendo prima di un vecchio signore che aveva puntato proprio quello che aveva individuato Brad per primo. Con aria fiera, quasi sarcastica nei confronti del vecchio, lo Scozzese diede un morso deciso al tramezzino e lo assaporò con gusto, facendosi vedere soddisfatto della sua scelta. Era uno stronzo, ma stava cercando modi per divertirsi e quello poteva essere un modo perfetto per farlo. Tuttavia, la sua attenzione venne attirata da una voce più che conosciuta provenire alle sue spalle. Brad si girò all'istante, abbandonando il tramezzino morsicato sulla tavola e mantenendo tra le mani solo il calice di champagne. Non aveva sbagliato: davanti a lui si trovava James Kennegan in un abito argentato. Dovette impegnarsi per non rimanere a bocca aperta, ma la sua ex compagna di scuola in quelle vesti non l'aveva mai vista e, cavolo, stava tremendamente bene. Si lasciò baciare, ricambiando il saluto. Era felice di averla vista, era felice che lei fosse lì con lui per il momento. Quella settimana passata al Paiolo Magico gli era piaciuta e aveva davvero sperato di poter rimanere in contatto con lei. Certo, erano passati solo pochi giorni, ma era sempre piacevole rivederla.
    "Ciao James, stai benissimo!"
    Disse sorridente. Fortunatamente Brad non era il tipo da imbarazzarsi facilmente e, pur essendo stato preso alla sprovvista, aveva reagito molto bene alla bellezza che si era trovato di fronte.
    "Purtroppo non ho ancora visto nessuno. C'è davvero troppa gente. Forse ho riconosciuto mio cugino, ma preferisco evitare di salutarlo, per quella questione che ti ho spiegato giorni fa. La mia famiglia non ha preso bene le dimissioni dalla società."
    Ammise sincero. Aveva avuto la fortuna di potersi sfogare liberamente con lei durante quei giorni e ora era una perfetta confidente per discriminare i membri della sua famiglia senza alcuna censura.
    "Tu, invece, appena arrivata?"
    Domandò leggermente curioso. Aveva rigirato la domanda per sapere se fosse arrivata da sola o accompagnata o se, comunque, avesse già incontrato qualche sua conoscenza con cui passare la serata. Lo sguardo di Brad finì ovviamente sulla folla, per cercare ancora una volta qualcuno. Il M.A.C.U.S.A. era davvero pieno e sarebbe stato un miracolo riconoscere qualcuno. Forse stare lì al buffet era la mossa migliore: tutti prima o poi sarebbero passati di lì, no?! Tuttavia, questo significava che anche i suoi parenti si sarebbero potuti avvicinare. No, no e ancora no.
    "Ti accompagno, così riempio il mio bicchiere."
    Indicò il calice mezzo vuoto. Aveva colto la palla al balzo per allontanarsi dal banchetto e seguire la Kennegan che voleva prendere, giustamente, un bicchiere di champagne.
    McNeal la lasciò fare, senza preoccuparsi del disastro che stava combinando, troppo preso e compreso nell'osservare qualcosa di strano che stava accadendo sulle scalinate principali dell'atrio. Gocce d'oro sempre più grosse e veloci cominciarono a raggrupparsi in un unico punto, compiendo quasi una trasfigurazione a tutti gli effetti. La maschera che si venne a creare era dettagliata da far paura. Sembravano esserci cicatrici ed era impossibile non notare il monocolo attaccato all'occhio destro. Era quella la faccia del Cavalier Von Der Schwarz che aveva invitato tutta la comunità magica alla sua festa? Subito dopo il quesito mentale di Brad, la maschera dorata cominciò a parlare. Era qualcosa di magnifico, che aveva completamente spiazzato lo Scozzese. Il Cavaliere era di sicuro un uomo che voleva apparire, ma non sembrava essere un difetto. Quell'entrata in scena era assai piaciuta al McNeal che continuava ad ascoltare le parole della maschera in silenzio, ma sorridente. Brad annuì più volte, il ventisei era stato un anno pessimo per lui e 'dargli un bel calcio nel didietro' era proprio quello che voleva fare. Tuttavia, i calici volarono nelle mani di ciascuno dei presenti e, dopo un breve discorso motivazionale, tutte le mani si alzarono verso il cielo, compresa quella di Brad che non aveva avuto alcuna intenzione di alzarla, nonostante la felicità del momento. Un brivido gli percorse la schiena e poi un altro quando la mano portò il bicchiere alla bocca per far entrare le bollicine in gola senza alcuna volontà propria. C'era qualcosa di strano, forse illegale in tutto quello. Brad si girò ad osservare i volti dei presenti, curioso di vedere se avevano subito anche loro quell'atto, incapaci di reagire. Leggermente scocciato e seriamente preoccupato, lo Scozzese si accorse di un crack alle sue spalle. Era Quattordici, l'Elfo della sua famiglia, che gli aveva portato una lettera di massima urgenza. Nemmeno riuscì a ringraziarlo che l'Elfo sparì con uno schiocco. L'aprì velocemente, per capire di chi si trattasse. Il cuore perse un battito quando lesse la firma. Il Professor Vincentius era alla festa con altri docenti di Ilvermorny e di Hogwarts e aveva piacere a incontrarlo. Stropicciò il naso, perché dopo quello che era successo con i calici sembrava davvero strano che Vincentius non avesse detto nulla riguardo l'argomento e che, invece di andare di persona a salutarlo, come avrebbe fatto in qualsiasi altro caso, aveva preferito spedirgli una lettera. Tuttavia, Brad non poteva rinunciare a quell'invito. Era pur sempre il suo Professore ed era stato come un padre per lui, un vero padre. Si sentiva che c'era qualcosa di strano, ma evitò di darci troppo peso. Avrebbe dovuto assicurarsi che non fosse lui, se il suo presentimento fosse stato corretto.
    "James, devo fare una cosa. Torno subito, resto qui in zona."
    Le disse osservandola con uno sguardo più che serio. Stava per andarsene, quando si girò di nuovo verso l'ex compagna.
    "Se non dovessi tornare subito però chiama la sicurezza, gli auror o che so io."
    Senza dare ulteriori spiegazioni, Brad si dileguò tra la folla per dirigersi verso lo Studio 1A, il punto di ritrovo scritto nella lettera. Si avvicinò alle scale, per passare sul lato destro e piazzarsi così davanti alla prima porta. Era quello. McNeal cominciò a pensare seriamente come muoversi, era curioso ma spaventato da quello che era appena successo alla festa e la lettera subito dopo... Qualcosa non lo convinceva. Aprì la porta della stanza, ma decise di non entrare. Restò sull'uscio, osservando l'interno della stanza per vedere se, effettivamente, al suo interno ci fosse il Professor Vincentius oppure altro. Non sarebbe entrato fino a che non avesse avuto la certezza di rivedere il suo amato docente.

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    hedel anakin crawford

    Qualunque personalità fosse in carica nella mente della Crawford, era innegabile una dura verità: era in costante ricerca di attenzioni. Insomma. Io non ho problemi ad ammettere questo tipo di cose, figuriamoci venderei mia madre pur di ottenere quello che voglio e nemmeno avrei remore nel accusarmi di un omicidio, che tra l'altro è un nuovo, geniale piano per mettere nei guai Hedel, questo è da segnare, ma la mia ingenua e stupida controparte sembra ignorare completamente il male che alberga dentro di lei. E non parlo del male assoluto e oscuro della sottoscritta, ma di quelle due stronzate da nulla che ti fanno essere una persona egoista, ipocrita e politically incorrect. Eccola lì, bicchiere di champange tra le dita, che cerca di spiccare con il suo vestito rosso. Beh, posso anche concederglielo, la bellezza fisica non ci manca, è su tutto il resto che serve un deciso cambio di direzione. Oh, toccherà imporre un regime totalitario, una dittatura che sancirà definitivamente la mia salita al potere.

    Lasciato a metà, aveva posato il calice di champagne su uno dei tavoli del buffet, con tutte le intenzioni abbandonarlo. Non conosceva la parola spreco e come rampolla viziata nessuno le aveva mai inculcato qualcosa di saggio come il finire tutto quello che sceglieva. Un morso ai gamberetti grigliati, uno al tortino verde che sapeva di schifo, era il bottino della Crawford, abbandonato su un piatto vuoto dopo aver realizzato che nulla di tutto questo le piaceva. Stava transitando verso un altra zona, un altro buffet per cercare qualcosa di più appetitoso quando realizzò che non si stava più facendo strada tra una folla in movimento, che si spostava verso conoscenti o per il colo fatto di curiosare l'ambiente, ma che si stava facendo largo in una folla impietrita sul posto. Egocentrica, troppo concentrata sul suo orto, non aveva notato la staticità della stanza o che, ora che si era fermata anche lei a osservare nella direzione di tutti i presenti lo vedeva, un enorme maschera dorata si era composta in cima alla scalinata. E ora iniziava a parlare.

    Oh, beh questo si che è un entrata da megalomane. Insomma, un po' pacchiano con tutto questo dorato, ma beh, non si può pretendere lo stile ovunque. Diamo un più che Onesto, per l'impegno.

    Sconcertatata subì il succedersi degli eventi: la maschera del Cavalier con il suo discorso inaugurale, il calice di vino posto nelle sue mani come d'incanto, il brindisi senza alcuna volontà di opposizione a fermarlo...

    Finalmente!! Una dittatura. Era ora che qualcuno uscisse con questa idea, era proprio il caso.

    Bruscamente, quasi quanto il suo realizzare dell'attenzione di tutti in precedenza, la magia si interruppe ricordando alla Crawford un catalizzatore, come quello che erano le sue bacchette, e indagando sulla natura di questo tipo di incantesimo. Avrebbe capito molto dalla personalità del Cavalier studiandone la bacchetta magica, che immaginava fosse molto potente e per qualche motivo pensò immediatamente alle oscure fabbricazione di Gregorovitch e di Wolfe. le sue elucubrazioni mentali furono interrotte da una voce, l'orecchio allenato della Crawford riconobbe la cadenza servile della servitù e ricevette il messaggio. Riconobbe immediatamente la firma e la calligrafia del fratello, che per via del suo lavoro al Ministero si era perso in complotti di politica estera, in questo caso con un ambasciatore canadese che voleva discutere di legnami da fornire a Ollivander. La Crawford si era specializzata nella produzione di bacchette d'ebano, sapeva che per questo tipo di legname doveva spingersi fino all'Africa o all'Asia, che poco avevano in comune con il rigido vicino statunitense. Tuttavia decise di recarsi all'incontro, se non altro per evitare la solitudine.

    A quella festa era presente un gran numero di persone, ma tra loro non ne aveva vista una sola degna di nota. Era il brutto di recarsi alle feste dove la plebe era ammessa: chi davvero contava si guardava bene da immischiarsi con i germi plebei. Schifo.

    Raggiunse lo studio 1D, a sinistra delle scale, come spigato dal fratello e aprì la stanza. Come ospite invitato e atteso, si sentiva in dovere di non bussare, ma di comportarsi da regina del Sussex ed entrare senza troppi complimenti. « Eccomi, Nathaniel» avrebbe annunciato, per evitare che i due interrompessero certi discorsi perchè preoccupati dalla presenza di estranei.
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    chloe walsh
    Cazzo, mia madre. Non avevo minimamente preso in considerazione l'ipotesi che i coniugi Walsh potessero essere stati invitati anche loro alla festa. Insomma, a mia madre piacevano gli sfarzi e questa era sicuramente la festa di cui tutti avrebbero parlato per le settimane successive, quando le luci degli sfarzi erano già spente ma continuavano a brillare negli occhi di chi poteva dire di esserci stato. Vedere una chioma cotonata mi fece venire quasi un infarto, all'idea che potesse proprio trattarsi della donna che non doveva sapere. Mi dileguai dalla zona critica, quella dove tutti sarebbero passati per mangiare o per prendere lo champagne e cerca di apparire disinvolta tra la folla, anche se in realtà avevo il batticuore in gola. Mi stavo rivelando una pessima auror, sentivo la voce di Wright che mi rimproverava alla stessa tregua di mia madre, non avevo calcolato i rischi e vagliato tutte le strade possibili prima di venire alla festa e ora non stavo riuscendo a sembrare una qualunque cittadina del mondo magico e anzi cominciava a temere che mi stesse venendo un attacco di panico. Fu in questo frangente che nella mia mente si coniò un nuovo termine, che mai avevo pensato di usare ma che ora capivo sarebbe diventato un mio secondo mantra. Wright non lo deve venire a sapere.
    L'ansia andò scomparendo nel vedere che nessuno, cioè proprio nessuno nessuno, si stava interessando a me ma a quanto di bizzarro stava avvenendo. La cascata d'oro si stava solidificando in cima alla scalinata e prese forma la figura di una maschera. Di questa colsi immediatamente alcuni particolari, come il monocolo e le cicatrici che ne deturpavano la superficie levigata. Mi domandai se fosse stato un Auror o se avesse subito qualche genere di torture, era una personalità molto controversa e sebbene avessi svolto qualche ricerca tra la ricezione dell'invito e la festa non ero stata in grado di trovare molto. Grata per questa attenzione deviata dalla sottoscritta ascoltai il discorso, controverso quanto la personalità di quest uomo, cercando di coglierne tratti rilevanti. Parole chiave, avrebbe detto il Wright. Aveva concluso degli affari con il Giappone, non si preoccupava del tempo o sella puntualità, mi chiesi se fosse in possesso di una giratempo ma in questo caso sarebbe arrivato puntuale...se voleva farlo. Una serie di campanelli di allarme, violazione dei diritti dell'uomo e del libero arbitrio, di decisamente un centinaio di leggi visto che c'erano anche minorenni, di libertà personali e di norme igieniche varie furono violate nel giro di cinque minuti dal magnate. Tutti quanti costretti ad assecondare il suo brindisi e piegarsi alla volontà di un solo uomo. Inaccettabile. Inammissibile. Se solo ci fosse stato un solo auror presente nella stanza... okay c'ero io ma... non ero proprio un auror, ero in addestramento non avevo nessuna qualifica e... dove erano gli auror che lavorano anche a Natale,Pasqua e Capodanno? Possible che ci fossi solo io presente?
    Cazzo, Wright era sempre nei miei pensieri e questo era un problema: il Capo Auror stava usando il mio addestramento come tale per rendermi uno dei suoi soldatini, io che ero sempre stata... irrispettosa verso l'autorità. Proprio a questo, cioè a questa persona, era rivolto il mio pensiero quando una strillettera si parò davanti ai miei occhi con aria minacciosa. Soltanto una persona era in grado di mandare urla durante una festa. Quando la lingua si srotolò ne uscì squillante la voce di Wright, ma a quanto pare soltanto io ricevetti il messaggio, perchè nessuno dei presenti si voltò ad osservarmi come se fossi stata una bambina picchiata in pubblico dal padre. Rassegnata, testa bassa e coda tra le gambe, mi diressi verso lo studio Studio 1C.
    Arrivata davanti alla porta, con molta discrezione bussai a pugno chiuso per due volte.
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    James Kennegan


    Annuì con quella che alla Kennegan sembrava essere un espressione sofisticata ed intelligente - ma la sua esperienza in questa materia era molto ridotta e decisamente poco attendibile - alle parole di Brad McNeal circa la quantità troppo eccessiva di persone presenti alla festa. Si domandò se fosse davvero così esclusivo trovarsi a quel party, visto che probabilmente avrebbe potuto contare in poche decine le persone non presenti a quella festa. Lo sguardo dell’irlandese tuttavia lasciò ogni aspetto di ricercatezza alla successiva domanda del Corvonero, scomponendosi in un’espressione perplessa e preoccupata. << Sono appena arrivata... perché? Sono in ritardo? Oddio questa cosa del fuso orario mi sconvolge un po’... è già una fortuna che sia riuscita ad uscire dalla stanza del Paiolo prima dello scoccare della mezzanotte.>> la conversazione era frizzante e piacevole, ma la Serpeverde era convinta che sarebbe stata ancora più carica di bollicine con l’aggiunta di bollicine. Sorrise con dolcezza alla proposta di Brad ad accompagnarla, probabilmente era consapevole del suo pessimo senso dell’orientamento e delle alte probabilità che la ragazza non sarebbe stata in grado di tornare al posto di partenza. Fortunatamente le persone erano piuttosto in movimento quella sera e non dovette ricorrere a sgomitate da Battitore per farsi largo fino alla fontana di champagne. Assuefatta dalle bollicine che le frizzavano sul palato, forse la combinazione tra queste e gli antidolorifici non era proprio consigliata dal parere medico, non si rese conto di quanto avveniva sulla scalinata e alle particelle d’oro che si alzavano da questa. Soltanto al terzo sorso, appena sopra al bordo di cristallo del suo bicchiere, intercettò lo sguardo assorto del McNeal. Era uno sguardo che ogni Capitano che si rispetti sapeva riconoscere negli occhi dei suoi giocatori, in particolare di un Cercatore quando individua un boccino d’oro sul campo. E Brad McNeal ne aveva trovato uno davvero enorme. In tempo zero le iridi di smeraldo seguirono quelle del mago e si focalizzarono sul enorme maschera di metallo apparsa a mezz’aria. <<e io che ho sempre creduto di essere egocentrica...>> commentò a mezza voce, udibile soltanto dai suoi vicini più immediati e da Brad. Danzò con lo sguardo sui dettagli che risaltavano nel oro, il monocolo e soprattuto le cicatrici. James Kennegan istintivamente passò due dita della mano libera nei punti dove aveva le sue, appena sotto la mandibola - era stata scalfita da un ramo in una brutta caduta nella Foresta Proibita- e lungo la coscia della gamba che aveva rotto. Si soffermò lì percependo un brivido al suono della voce mellifua che usciva dalla maschera. Non la riconobbe, ma soprattuto James si rese conto di essere più incantata dalla melodia con cui era decantata ogni frase che non dal suo contenuto in se. Quasi ipnotizzata non si era resa conto di aver un nuovo bicchiere di champagne tra le mani, come tutti quanti i presenti, e di essercelo portato alla bocca dove ne aveva bevuto un generoso sorso in quel Brindisi collettivo. Tutti erano stati ipnotizzati da questa maschera, se per la cadenza della voce o se per qualche fattura era difficile a dirlo, la stessa Kennegan aveva appena un lieve sospetto di aver agito contro la propria volontà. La maschera si dissolse, lasciando di nuovo il posto alla cascata dorata, e l’incanto fu rotto. E nessuno dei presenti parve più commentare questa cosa. La conversazione con Brad, qualcosa sugli auror e la sicurezza della quale però aveva mancato di cogliere il senso generale, fu interrotta bruscamente da un guanto bianco. Un guanto bianco con tanto di mano, braccio e tutto il resto del corpo. Era un cameriere che le porgeva un tovagliolo, uno di quelli usati come sottobicchieri. Stava per farlo cadere in terra quando notò la presenza delle scritte a deturpare la candida stoffa. Lo rilesse due volte, prima con curiosità e poi con uno sguardo fiero e un sorriso vittorioso a increspare le labbra. Si voltò per congedarsi dal Corvonero, ma scoprí di essere sola. Posò le iridi di smeraldo sulla scalinata e poi sulla sinistra di questa, rivolgendo lo sguardo attraverso la folla al punto dove doveva esserci lo Studio 1E. E Lloyd Holman. Sistemò il vestito sui fianchi e si diresse, camminata fiera, fino alla porta che portava la scritta 1E. << Sono James>> si annunciò aprendo la porta. Avrebbe studiato velocemente l’arredamento della stanza per cercare la figura del Capitano dei Pride of Portree e una sedia alla quale accomodarsi. James Kennegan sapeva trattare egregiamente. Sapeva quanto valeva e di valere molto. E prima della fine del campionato avrebbe apposto una fascia di capitano al suo braccio.

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    Ghiaccioli
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    Callum Mahoney

    AGE 29 - EVOCATORE
    Nascosto in un angolo semi oscuro accanto al buffet mi sentivo tranquillo. La guerra mi aveva insegnato a mettermi sempre in modo da avere le spalle coperte, possibilmente anche un fianco, per evitare di disperdere energie a fronteggiare nemico che arrivavano da più fronti e a recuperarne quante più possibili in momenti di tranquillità. Al fronte avevo imparato ad addormentarmi non appena le spalle toccavano un muro, solitamente era la parete d’argilla di una trincea, mentre ora non riuscivo più a dormire se non per due o tre ore. Il tempo minimo per impedire al mio cervello di impazzire definitivamente. Captai nell’aria un accento irlandese, che subito mi scaldò il cuore, arido e aspro per la guerra, con il ricordo delle acque fresche d’Irlanda. La seguii, quella voce squillante e allegra, fino a trovare la proprietaria di questa. Era una donna dalla chioma bionda, con un fisico discretamente bello e un lungo vestito argentato. Ascoltai, non visto, la conversazione soltanto per bearmi delle battute con la cadenza irlandese così rara e particolare da sentire, soprattuto in America. La strega di una bellezza genuina era ovviamente accompagnata da un uomo, del quale però non riconobbi l’accento. Una breve frazione di felicità, che mi riportò nella tranquillità della mia casa in collina, subito strappata quando i due, con il loro accento, si allontanarono fino a non essere più uditi. Come sempre la vita mi ricordava di quanto effimero e sfuggente fossero questi attimi di serenità. Non interagii con nessuno e ascoltai parecchio annoiato lo sproloquio che venne vomitato dalla maschera, enorme e pacchiana, del nostro ospite. Poi accaddero in rapida sequenza due fatti inimmaginabili. Un bicchiere volò nelle mani di ciascun presente, me compreso, e poi tutti quanti bevemmo un sorso di questo. Il gusto dello champagne era troppo dolce, frizzante e fastidioso. Ne ebbi ribrezzo, ma soprattuto mi trasportò immediatamente con la mente in Francia. Uscire dalla Francia era molto difficile per me, gli orrori della guerra mi davano il tormento, i fantasmi dei soldati mi inseguivano mentre proiettili volavano sopra la mia testa, facendomi credere di essere ancora lí.
    Mi trovavo ancora in Francia, da quanto tempo ero tornato non sapevo quantificarlo, quando una mano mi toccò facendomi sobbalzare. L’aria della guerra sfumò dal mio campo visivo fino a mettere a fuoco il viso di una donna che mi parlava di Grace. Parlare di Grace mentre ero in Francia, sempre con la mente, era drammatico. Mi faceva perdere ogni senso dell ragione. Le parole scritte nella dolce calligrafia della mia amata sorella erano come acqua sulle ferite, un po’ lo stesso effetto dato dal accento irlandese della strega di prima, e mi convinsi a tornare nel luogo e tempo presente. Non volevo farmi vedere debole da lei. Volevo essere forte e rassicurante e per questo motivo arrivai allo studio 1B, dove bussai con tre colpi sordi per farmi aprire da mia sorella. Aveva avuto un bel pensiero, non vedevo l’ora di riabbracciarla.
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    [ESPERIENZA 9]:

    Escape from Last Year
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    Nella sala principale era iniziata una frizzante muscia jazz, fatta di trombe e da una soave voce blues, che era in grado di far dimenticare qualunque preoccupazione alla mente umana, portando i presenti a ballare con spensieratezza senza più soffermarsi sulla poca libertà di arbitrio riguardo al precedente brindisi. Persino Seraphina Picquery, inizialmente pronta a sporgere denuncia e a far immediatamente fermare la farsa del Cavalier, ora iniziava a muovere la testa a ritmo del jazz, con la testa leggera e senza troppi pensieri.
    E mentre le prime strofe iniziavano a colorare la stanza con un buon ritmo, in lontananza si sentiva un orologio rintoccare le 21.15, mentre cinque ospiti ricevevano una speciale informazione. Allarmati, incuriositi o semplicemente convinti dai criptici messaggi ricevuti tutti quanti i destinatari si mossero verso lo studio che era stato loro indicato.
    A muoversi per primo fu Brad McNeal sospettoso e cauto, ma comunque fiducioso della buonafede del suo ex insegnante, poi fu il turno di Hedel Crawford che voleva aumentare i propri profitti stilando un vantaggioso accordo con il Canada. Seguirono poi l'aspirante auror Chloe Walsh, che era stata messa in soggezione da una strillettera del proprio capo, e James Kennegan invitata a un icontro personale con un Capitano di una prestigiosa squadra di Quidditch; avrebbe giocato il prossimo campionato per i Pride of Portree? Per ultimo si mosse Callum Mahoney chiamato dalla sorella Grace, per la quale era andato in guerra. Nascosto nel suo punto di osservazione privilegiato il Von Der Schwarz osservava compiaciuto come i messaggi avessero ottenuto esattamente la risposta desiderata e prevista da lui stesso. Tutti si erano diretti verso uno studio differente ma non sapevano cosa avrebbero trovato dall'altra parte della porta... La Crawford trovò davanti a se qualcosa di inaspettato.

    E proprio sulla porta si erano concentrati gli sforzi del Cavalier: un solo tocco con essa, sulla superficie per bussare o sulla maniglia per aprirla, bastò ad attivare le Passaporte del mago. Chi conosceva, o aveva già usato, questo tipo di trasporto si accorse del passaggio nel vuoto prima di entrare nella stanza.
    McNeal fu il primo a sperimentare il tiro mancino lanciatogli dal Cavalier, anche se aveva preso tutte le precauzioni del caso si ritrovò in quello che effettivamente sembrava essere a tutti gli effetti uno studio. Walsh, con il capo cosparso di cenere, aveva bussato due volte sulla porta, attivando la Passaporta che l'aveva portata nello stesso studio. Decisamente Brad McNeal, che già si trovava lì, non era il James Wright che si aspettava di incontrare.
    Passarono pochi istanti, il tempo di scambiare un paio di convenevoli, che la figura bionda della Kennegan, che era entrata nella stanza convinta di trovare un Capitano, era bastato abbassare la miglia per attivare la Passaporta, apparve alle spalle dei due ospiti precedentemente arrivati. Seguì quasi immediatamente la figura di Mahoney, con il pugno ancora alzato per il terzo colpo alla port che aveva attivato la Passaporta, che decisamente non si trovò di fronte alla sorella.
    Non fecero tempo a domandarsi che cosa ci facessero in quel posto tutti assieme, come fossero arrivati o a scambiarsi eventuali congetture, che un bagliore argentato irruppe nella stanza.

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    Bastarono un paio di balzi a mezz'aria per portare il patronus in forma completa a mettersi seduto sopra la scrivania, posta al centro della stanza. Il bagliore argentato prese forma nella nebbia, addensandosi nella forma di un gatto siamese Snowshoe, dal muso arrabbiato e con due grandi occhi scettici. Come sulla maschera apparsa in precedenza era visibile una cicatrice sul suo sopracciglio. «Mi scuserete questo ennesimo eccesso di teatralità, ma ci tengo a mantenere il mistero sulla mia persona...»la voce che risuonò nella stanza partì proprio dal Patronus era riconducibile alla stessa fuoriuscita dalla maschera, anche se il tono era meno lezioso e metallico del precedente discorso metteva comunque i brividi. «Siete stati scelti per via delle vostre abilità magiche, per alcune doti che vi hanno fatto spiccare sulla comune folla...lasciate che vi dica quanto sono grato di avere persone di tale prestigio alla mia festa. Tuttavia...» il gatto si mosse lungo la scrivania, sospeso a mezz'aria «devo essere certo delle vostre reali doti. Sono una persona molto scettica.» l'uomo parlava come se i presenti fossero assolutamente d'accordo ad essere lì, ancora una volta il Cavalier considerava inutile il libero arbitrio. Ma avrebbe subito messo in chiaro che per quella situazione dovevano scordarsi di ogni loro diritto. «Non c'è modo di uscire, non un modo ortodosso. Non proverei a smaterializzarvi fossi in voi.» si portò subito avanti nel discorso. La porta dalla quale erano arrivati era l'unica presente nella stanza, ma ben presto avrebbero scoperto essere chiusa e sigillata per non essere ne aperta ne scalfita. La materializzazione, come in ogni altro livello del M.A.C.U.S.A. era stata disattivata, il sistema di metropolvere non era attivo. «E quindi prima di dirvi perchè a voi, cosa voglio da voi, dovrete riuscire ad uscire di qui...Sono certo che troverete qualcosa di utile nella stanza.» E il patronus scompare così come era comparso, lasciandoli soli e chiusi in una stanza dalla quale doveva uscire.

    BRAD MCNEAL ✖ CALLUM MAHONEY ✖ JAMES KENNEGAN ✖ CHLOE WALSH ✖
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    chloe walsh
    Con il capo cosparso di cenere ero consapevole del fatto di essere in difetto nei confronti del Capo Auror Wright. Non era trascorso molto tempo dalla ramanzina che mi aveva fatto per essermi assentata dal training dando per scontato che gli Auaror avessero dei turni di riposo e delle festività come tutto il resto del mondo, era una lezione che avrei dovuto apprendere già da ora, credevo di averlo fatto e di essere effettivamente libera per capodanno, ma evidentemente qualcosa era stato frainteso.
    Mille più una preoccupazioni attanagliavano la mia mente in una spirale di dubbi mentre bussavo alla porta. Avvenne tutto in un attimo, appena il tempo di realizzare che si trattava di una passaporta ma non quello di poter concretizzare in qualche azione questa sorpresa. Arrivai dopo un breve tragitto nel vuoto in uno studio. Conoscendo il Wirght poteva anche starci una sorta di prova-punizione, ma non riconobbi il volto della persona che stava lì. "Ti ha mandato Wright?" feci appena in tempo a domandare all'uomo, quando una bionda e un altro ragazzo fecero la loro entrata, analogamente alla mia.
    Non feci a tempo ad identificarli, scoprire le loro generalità o effettuare delle presentazioni che un bagliore argentato colse la mia attenzione. La voce che uscì dal patronus in forma di gatto era la stessa della maschera quindi immaginai che si trattasse dello stesso cavaliere che aveva organizzato la festa di capodanno, ascoltai con attenzione le sue parole. Crescente stupore si dipinse sulla mia faccia, sia per l'essere stata chiusa dentro una stanza sia perchè qualcuno aveva notato delle doti straordinarie che nemmeno io conoscevo. Ma sopratutto mi domandavo cosa avessero di speciale i miei compagni. Il solo volto noto che identificai era della bionda, dovevo averla vista su qualche giornale sportivo ma non ne ricordavo il nome, mentre i due ragazzi non mi dicevano nulla. "Chi siete voi? Avete idea delle qualità di cui parla Von Der Schwarz?" domandai alle altre tre persone nella stanza. "Suggerisco di dividerci per iniziare a cercare questo qualcosa" avrei aggiunto poco dopo, decidendo di fare affidamento sull'addestramento auror per quella delicata faccenda. Ero abbastanza tranquilla che se Wright mi aveva mandato un messaggio mi avrebbe cercato in capo al mondo se non mi fossi presentata, se non altro per potermi prendere a schiaffi.
    Avrei iniziato a cercare sulla parete alla mia destra, verificata l'integrità dello sgabello per salirci e cercare nei ripiani più altri, iniziando dallo scaffale accanto ai quadri, esaminando i libri in blu lungo la colonna, spostandone alcuni, quelli che erano più spostati e meno allineati, per vedere se aprivano qualche passaggio segreto. Poi si sarebbe spostata lungo la parete perpendicolare alla scrivania, sempre a destra, aprendo i cassettini in basso e controllando i pannelli di legno, agendo nuovamente sui libri dai molti colori per cercare qualcosa o un oggetto o un apertura segreta. Si sarebbe issata sullo sgabello per cercare intorno al busto, spostando la candela e guardando sull'altro lato. Analogamente avrebbe esaminato la rientranza ancora più a destra, dentro la cassettiera nella colonna sotto al busto, spostando i libri e cercando qualche cimelio antico, oggetti fuori dal comune o molto rari.

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    Aveva toccato la maniglia con un piano ben preciso in testa. Brad voleva aprire la porta, tirare fuori dalla tasca la bacchetta e aspettare sull'uscio, per controllare chi ci fosse dentro. Quel messaggio ricevuto da parte di Quattordici non era stato accettato di buon grado da McNeal, soprattutto dopo essere rimasto abbastanza sconvolto dalla totale forzatura subita per brindare e bere lo champagne. Vincentius poteva trovarsi lì come poteva essere da qualsiasi altra parte, a quella festa oppure ancora in Inghilterra. C'era solo un modo per scoprirlo.
    Un vortice allo stomaco lo risucchiò con tremenda foga, più forte di una materializzazione, più inatteso e più spaventoso. La porta era in realtà una passaporta e qualsiasi parte di essa lo avrebbe fatto partire per chissà dove. Già. Chissà dove. Si ritrovò in una stanza, uno studio in realtà, pieno di libri e di manufatti. Il tempo di realizzare ciò che lo circondava e subito si accorse di una figura femminile mai vista prima di allora, se non, forse, alla festa di capodanno, ma era difficile ricordare il volto di ciascuno dei presenti, data la quantità ingente di persone. Poco dopo di lui, nello studio arrivò un'altra persona e poi un'altra ancora. Brad imprecò dannatamente forte nella sua testa. James Kennegan si trovava lì, con lui, chissà dove. L'altro mago, invece, era un altro sconosciuto. Perché anche James era lì? Era venuta a cercarlo? Era preoccupata? L'aveva seguito e aveva visto il momento in cui lui toccava la maniglia? Le domande non potevano avere risposta, non in quel momento almeno, dato che un Patronus Corporeo, un gatto, cominciò a comparire sulla scrivania della stanza e a parlare. Brividi gelati percorsero la schiena di McNeal che riconobbe la stessa voce della maschera che l'aveva forzato a brindare e a bere lo champagne. Cosa voleva da loro?
    Brad ascoltò ogni parola, rimanendo immobile, senza annuire né guardare gli altri. Inevitabilmente si domandò quali fossero le sue doti. Quelle di James erano note, una giocatrice di quidditch di quel calibro poteva essere ricattata davvero facilmente e prenderla in ostaggio avrebbe portato a Von Der Schwarz un certo guadagno. La minaccia successiva fece ancor di più gelare lo Scozzese: non potevano smaterilizzarsi né uscire in modo normale dallo studio. Li stava mettendo alla prova, ma... Perché? Cosa voleva davvero da loro?
    Il gatto scomparve ma poco dopo la ragazza che già si trovava lì prima dell'arrivo di Brad cominciò a parlare, ponendo domande e dando un giusto ordine. Dividersi e cercare qualcosa di utile per uscire era decisamente la cosa migliore da fare.
    "Io sono Brad McNeal, semplice mago."
    Rispose alla domanda, implicitamente dicendo anche che non aveva idea del perché il Cavaliere l'avesse scelto.
    Gli occhi di Brad si ipnotizzarono due oggetti dietro la scrivania che lui, ex studente di Hogwarts, conosceva molto bene. La Coppa Tremaghi e il Calice di Fuoco erano leggendari e... Perché si trovavano in quel posto? Che fossero davvero all'interno del castello di Hogwarts?
    McNeal si avvicinò alle coppe, osservandole per bene, cercando con lo sguardo qualcos'altro di utile sul mobile dietro la scrivania. Notò, inevitabilmente, il quadro, che si guardava attorno.
    "Mi scusi se la disturbo."
    Brad cercò di attirare la sua attenzione.
    "Lei sa dove ci troviamo? Ha per caso idea di come uscire di qui e di chi ci ha buttati qui dentro?"
    Domandò subito dopo, sperando che il quadro potesse dare risposte sensate al mago che, onestamente, non sapeva da che parte girarsi. Avrebbe quindi atteso le risposte e avrebbe continuato a osservare le coppe e il mobile, sperando di notare qualche dettaglio utile.

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