The Theory of Everything

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    Ghiaccioli
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    Belcourt


    Hogwarts era rimasta esattamente come impressa nei suoi ricordi e al contempo era irrimediabilmente mutata. La Belcourt non sapeva se questo fosse dovuto al fatto che era una docente ora, Professoressa Belcourt suonava ancora strano nelle sue orecchie, forse il suo periodo in Francia le aveva fatto scordare dei brulli paesaggi scozzesi, preferendo i campi di lavanda alla selvaggia vegetazione delle Highland, ma gli occhi color malva che si posavano sul profilo del castello sembravano cogliere aspetti sempre nuovi e inediti. Era sempre stata una studentessa molto diligente, nonostante la sua mente volasse spesso sulle nuvole e si distraesse molto facilmente, non aveva mai davvero vissuto il castello in modo tale da conoscerlo: oltre al tragitto dalla Sala Comune di Tassorosso, alla Sala Grande, Alle Aule di Lezione o alla Biblioteca non poteva dire di aver mai esplorato il castello, di conoscerlo intimamente, di sapere qualcosa di più. Non era mai finita in infermeria, mai nell'ufficio del preside, mai si era persa per le scale o aveva provato ad avventurarsi nei sotterranei più in là dell'aula di Pozioni. Diventata docente si era resa conto di quanto poco conoscesse del resto del castello che non fosse un aspetto puramente scolastico. La sua timidezza la faceva restare in una comfort zone che le apparteneva, contenta di cogliervi elementi sempre uguali e abitudinari, ma ora che si trovava dall'altra parte certe cose erano destinate a cambiare. Eppure era tornata a Hogwarts proprio per cercare quel senso di casa che non aveva mai trovato in alcun luogo, mai aveva trovato una persona che la facesse sentire a proprio agio come lo era nella sua stessa pelle, e in quei trent'anni di vita si era ormai convinta che si sarebbe sempre sentita a disagio in qualunque posto, ma che al castello di Hogwarts il disagio era più sotto controllo. Questa era la sua massima aspirazione nella vita, anche se dietro lo sguardo malinconico di malva si celavano i sogni e le speranze di un cuore romantico che anela il classico e vissero per sempre felici e contenti. Un giorno, forse...

    Essere un insegnante implicava una certa dose di solitudine, solitudine con cui lei aveva stretto amicizia molto tempo prima, trovandosi bene con i suoi pensieri e con le sue idee. Detestava esprimere la propria opinione in pubblico, non voleva ferire i sentimenti di nessuno, preferiva tacere e lasciare che altri intervenissero in un dibattito, restando sempre sullo sfondo, là dove la solitudine la fa da padrona. Aveva colto, nella sala insegnanti, alcuni malumori di chi era abituato a un certo cameratismo, all'essere tutti insieme sempre, una famiglia, degli amici. Immaginava, ma si sentiva a disagio per questo pensiero tanto razzista, che i Grifondoro fossero quelli che ne soffrivano di più, perchè li aveva sempre visti come i più festaioli, i più casinisti, i più corali... sì, c'era una punta d'invidia nella ragazzina con la frangetta troppo lunga sugli occhi attraverso cui osservava il mondo. Avrebbe voluto di più...

    Ronda, detto nel suo classico accento francese, assumeva una strana connotazione che la faceva sentire ridicola. "Sono di ronda" non aveva quell'aria autorevole che ci si aspetta abbia qualcuno incaricato di sorvegliare sui ragazzi minorenni di una suola di magia e stregoneria, la faceva sembrare più che altro una straniera che diceva di provenire da un paesino sperduto nelle campagne di nome Ronda. Lontano udì il rintocco della Torre dell’orologio, erano le dieci di sera, ufficialmente era scattato il coprifuoco per gli studenti che da quel momento dovevano trovarsi tutti nelle rispettive sale comuni. Avvolta in una lunga toga bianca, di un tessuto leggero ma coprente, sembrava un fantasma che si aggirava nei corridoi del castello, con la punta della bacchetta a illuminarle la strada. Da studentessa non si era mai avventurata così lontana dai soliti percorsi noti e i suoi occhi si posavano sui quadri, semi-addormentati che non aveva mai visto, dimenticandosi la strada dalla quale era arrivata. Era al quinto piano, no no, era al sesto. Forse era già al settimo.
    " La couleur est mon obsession quotidienne, ma joie et mon tourment. "
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    James l'avrebbe definitavemente ucciso. Era tardissimo, che ore si erano fatte? La correzione dei compiti di Difesa Contro le Arti Oscure gli avevano preso più tempo del previsto, colpa sua che aveva deciso di far scrivere un saggio a tutti i ragazzi e, beh, correggerli uno ad uno era stata una faticaccia, soprattutto perché alcuni non avevano compreso bene la consegna e si erano persi in argomentazioni fuori contesto che avevano fatto rabbrividire il Professore della materia. Brad aveva guardato fuori dalla finestrella del sesto piano, dove si trovava il suo ufficio, e aveva visto che il sole non solo era calato ma non c'era più. Era sera. Sicuramente era passato l'orario di cena e lui, tra l'altro, nemmeno aveva mangiato lì a scuola, quindi non poteva nemmeno usare quella scusa con la Kennegan. Rigriel probabilmente si era già messo a dormire ed era certo che la strega si era mangiata anche la sua porzione, un po' per dispetto un po' per ingordigia. Era fatta così, se le si faceva un torto trovava subito il modo di vendicarsi e non passare la serata con lei era un torto piuttosto grave a dire la verità.
    L'unica speranza che aveva era farle vedere tutti i saggi che aveva corretto, magari buttandola sul ridere per quegli strafalcioni che gli avevano fatto perdere più tempo del previsto. Però, sotto sotto, sapeva che non sarebbe affatto facile convincerla.
    McNeal, comunque, ritirò tutti i fogli nella sua borsa, raccolse la piuma, l'inchiostro e con un colpo di bacchetta sistemò tutta la scrivania del suo ufficio, chiudendo nei cassetti le varie cianfrusaglie. Le campane avevano scandito ben dieci rintocchi, segno che gli studenti erano ormai nei loro dormitori. Già e probabilmente anche James, nel suo letto, con il muso, pronta a non parlare per tutta la sera con Brad. Quasi rabbrividí all'idea. Scese dalle scale del suo ufficio, facendo ben attenzione a chiuderlo dietro, per evitare che qualsiasi studente potesse aprirlo con un semplice Alohomora, e quindi dall'aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Il castello era ormai buio, le candele erano state spente e nessuna voce, se non quella di qualche quadro si udiva nei corridoi. L'unica cosa che risuonava erano i tacchetti delle scarpe che portava. Fastidioso rumore a dire il vero, totalmente inutile e fuori luogo in un contesto del genere. Brad ormai sapeva bene dove andare e non tirò fuori la bacchetta, non gli serviva. Doveva pensare ad una scusa valida per impietosire la coinquilina e alla svelta. Fortuna che la materializzazione ad Hogwarts era vietata.
    Tuttavia, da lontano, Brad notò un accenno di luce. Beccato! Uno studente fuori dal letto in cerca di chissà cosa a quell'ora di notte. Stupido da parte sua trovarsi proprio in vicinanza all'ufficio del Preside. McNeal accelerò il passo, avvicinandosi sempre di più alla luce in questione e, una volta girato l'ultimo angolo, si trovò davanti a colui che voleva infrangere le regole... O meglio, colei. E a dirla tutta non stava per nulla infrangendo le regole. Gli occhi di Brad passarono in rassegna la figura bianca, dalla testa ai piedi. Le guance del Professore si colorirono un po' di rosso. Era una vestaglia quella? L'imbarazzo cominciò a farsi sentire.
    "Professoressa Belcourt! - disse quasi sorpreso di trovarla lì, in quelle condizioni. - Buonasera. Mi dispiace se l'ho spaventata o colta di sorpresa. Ero nel mio ufficio fino a poco fa per correggere gli ultimi compiti dei ragazzi, domani volevo consegnarglieli ma ero in forte ritardo e non mi sono reso conto dell'ora. Nemmeno ho cenato."
    Abbozzò una risatina, era un po' ridicolo farsi prendere così tanto dalla correzione addirittura da dimenticarsi di mangiare.
    "Fortunatamente ho finito tutto, quindi ora posso tornare a casa. Lei è di guardia questa notte o passava di qui solo per andare nell'ufficio del Preside?"
    Domandò, infine, curioso. Erano giorni che il Preside non si vedeva e Brad dubitava della sua salute, ma non voleva pensar troppo male, né mettere in testa alla gente finte notizie. Avrebbe dovuto indagare lui e quale miglior momento se non quello. Se la Belcourt fosse andata da lui, dopotutto, avrebbe saputo sicuramente qualcosa di più e, per Merlino, Brad se lo sarebbe fatto raccontare ad ogni costo.

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