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Corvonero
Maverick Bristol
Avevo sviluppato una sorta di relazione odio e amore con la domenica. Più odio che amore a ben guardare. C’erano indubbiamente alcuni lati positivi nel ultimo giorno del weekend, ma il primo fra tutti era che non era obbligatoria la divisa. Era l’unico momento in cui, anche dentro alle mura del castello, era possibile indossare qualcosa di diverso dalla divisa grigia con i colori della casa, eleganti certo ma decisamente poco personali. La polo arancione con il colletto bordato di verde sarebbe sicuramente valsa un giro in presidenza, se l’avessi indossata in qualunque altro giorno non fosse la domenica. Ma avevo pazientemente aspettato, con questa meraviglia sartoriale appesa con attenzione per evitare pieghe, e il weekend era arrivato. Orgoglioso ero sceso in Sala Grande, lieto di sfoggiare il mio outfit, ma nessuno mi si avvicinò per complimentarmi. Il mio ego ne era ferito, anche se la parte introversa di me si sarebbe sentito molto a disagio nel ricevere occhiate indiscrete e complimenti. Avevo fatto colazione in silenzio, accompagnato solo dalla croccantezza dei fiocchi d’avena sui denti, beandomi della seconda e ultima condizione che rendeva la domenica una bella giornata. Non c’è posta la domenica. Niente gufi svolazzanti in giro, lettere recapitate in ogni angolo della stanza tranne che al sottoscritto. Per una volta potevo godermi la colazione senza quell’asfissiante peso nel petto che mi ricordava quanto fossi emarginato rispetto a un mio qualunque coetaneo. Nessun amico, pochi conoscenti, solo mamma e papà mi scrivevano.
Detestavo la domenica. Presto la Sala Grande, fatta eccezione per qualche dormiglione ritardatario, e l’intero castello si sarebbero svuotati, orde di studenti si sarebbero così riversate a Hogsmeade per godere di uno degli ultimi weekend al villaggio magico prima dell’arrivo dell’estate. Il clima era anche mite, una vera leccornia per chi adorava passeggiare. Ma non il sottoscritto, che aveva visitato sporadicamente il villaggio e solo per rifornirsi di caramelle o per un pensiero ai miei per Natale, che non riusciva a cogliere nulla di così affascinante a Hogsmeade. Imputavo la colpa principale di questo al fatto di non essere mai andato in compagnia nel villaggio, ma avevo comunque imparato a convivere con questa cosa: Hogsmeade ed io non ci piacevamo. Ed era una cosa reciproca.
Presi la direzione opposta sulle scale, schiacciandomi contro il corrimano per evitare di essere travolta dall’onda entusiasta che si riversava verso il basso, mentre salivo fino al quarto piano e svoltavo, avrei potuto farlo ad occhi chiusi, verso la Biblioteca.
Sotto la maglia decisamente appariscente avvertii il prurito dell’ansia sociale che mi attanagliava: era quasi periodo di esami e molti si erano recati nella biblioteca per ripassare o studiare. Per quanto ero stato mattiniero gran parte dei posti risultavano occupati. Osservavo i volti concentrati dei presenti, facendomi assalire dal panico: non riconoscevo nessuno. Ero così tronfio della mia buona memoria ma senza le divise a etichettare Corovnero o Grifondoro, non riconoscevo nessuno. Il dubbio mi assillava, facendomi sudare freddo. E non potevo certo mettermi a pingere o a sudare. Detestavo la domenica. Avrei voluto che tutti fossero in divisa, avvicinarmi verso un Corvonero e… e nulla, perché non mi sarei mai avvicinato a qualcuno perché la mia timidezza mi paralizzava. Mi arrestai, in mezzo alla biblioteca, la mia bellissima polo arancione che mi faceva apparire come un cono stradale: lavori in corso.
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