Among Us

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    Grifondoro
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    DIVINATORE
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    ☞ MAX LYNCH

    Cinicamente, alle volte si chiedeva quanto tempo sarebbe ancora trascorso prima che la scusa della povera orfana venisse meno. Sapeva di essere un vero disastro, seguiva poco le lezioni e spesso non svolgeva i compiti, in classe era poco più interattiva che un elemento di arredamento e il suo rendimento era pressoché inesistente. Per ora nessuno però le aveva fatto notare la cosa, nemmeno i compagni di classe per cui non provava nemmeno a prendere un numero decente di punti. Il senso di colpa era un’altra delle emozioni che erano state cancellate dall’onda d’urto del suo lutto. Della sua nuova condizione. Della sua nuova vita. Skyfield era okay, ma non era casa. Sapeva che in qualche modo stava preservando la bolla di protezione che rendeva accettabili le sue mancanze scolastiche, ma prima o poi questa aura sarebbe esplosa, se non altro quando sarebbe giunto il momento di parlare di promozione.
    Non aveva mai creduto veramente di essere bocciata fino a quel preciso istante. Cosa avesse instillato questo pensiero nella sua mente non era riuscita a coglierlo, così come non avrebbe saputo dire quali erano state le esatte sequenze che la fecero ritrovare con un foglio di pergamena e una piuma d’oca tra le dita.

    Nella pergamena che aveva scritto regnava il casino, un casino quasi quanto lo era lei. C’erano intere frasi ricoperte da ghirigori neri, altre parole erano state fatte scivolare via da spasso gocce di lacrime cadute sulla pagina, altre parole erano state tracciate con tanta rabbia che il pennino si era flesso così tanto che aveva temuto si spaccasse in due e sulla carta era rimasto un solco più marcato che in altre parti.

    Caro Papà.
    Dove sei?
    Dove sei finito?
    Dove dove dove sei? Dove sei!!!! Sei sparito come un codardo.
    Sei un assassino?


    Non ti ho mai chiesto molto, il nostro rapporto non è mai andato al di la di un buongiorno brontolato. Sei sempre stato troppo impegnato sui giornali o sulle carte del lavoro per dire qualcosa di più. O sulle lettere delle tue varie amanti che so, so per certo tu abbia avuto. Le ho lette molto prima di tutto questo. E sai una cosa? Pensavo fosse normale, tutto questo. Mi andava bene. Non ho mai davvero avuto bisogno di aiuto che non provenisse da me stessa, ma questo.

    Dove sei?
    Hai ucciso mamma?

    Non potresti essere un padre meno presente di come lo eri prima anche se finissi ad Azkaban. Anche se non penso sia questo a tenerti lontano facendoti nascondere come un vile codardo e tiodio tiodio T I O D I O, se lo fosse non trattenerti per me. Sai una cosa? Una persona tanto schiva e burbera come il professor Skyfield si sta dimostrando più padre di quanto tu lo sia mai stato.
    Almeno abbi la decenza di tornare e affrontare la vita. La mia fa schifo e non posso scappare da nessuna parte. E se non ci riesci a tornare, almeno di dove sei, rispondi. Sono certa che sapranno trovarti prima o poi.
    Ma per me tu sei già come mamma: nel passato, non più qui. Per me tu sei morto.


    Ogni passo sugli scalini della torre della guferia era stato più pesante del precedente. E le lastre che si stringevano e si consumavano sempre di più, unito allo sterco, mano a mano che si saliva non c’entrava nulla. Teneva la lettera, sigillata e indirizzata soltanto a Darren Lynch, senza un luogo indicato, stretta in entrambe le mani, come se fosse un cimelio. Non sapeva se il gufo di famiglia, un magnifico esemplare grigio maculato, sarebbe stato in grado di rintracciare il padre. In effetti era stupido spedire un gufo senza una destinazione precisa, non sapeva nemmeno se sarebbe successo qualcosa. Sentì il flebile senso di delusione montarle dentro al pensiero che il volatile non avrebbe nemmeno provato a spiccare il volo senza un luogo preciso dove andare. Era un azzardo, ma doveva chiudere e in qualche modo dire addio a suo padre. Forse sarebbe rimasto un gesto simbolico, mai sarebbe giunta la lettera agli occhi del Lynch. Forse sarebbe stato posto sotto sequestro dagli Auror, il contenuto scandagliato e visionato, era stato questo a spingerla a cancellare molte cose dalla lettera. Sperava solo di poter rivedere Spanx il gufo. I pennuti si agitarono nel vedere arrivare qualcuno a un’ora così prossima al crepuscolo, emettendo versi acuti e sbattendo le ali, probabilmente aspettandosi del cibo. La Lynch si diresse verso la nicchia che preferiva Spanx, trovando ad accoglierla con un fischio da spaccare i timpani. Ricompensò l’esemplare con alcuni biscottini, poi assicurò alla sua zampetta destra la lettera e osservò io gufo spiccare il volo e sfrecciare oltre il castello, quasi come se avesse davvero una destinazione.


    Quella notte le restituì un sonno tormentato da incubi. Attraversava un lungo corridoio di pietra, vi erano alcune rientranze nei muri. No, altre nicchie, più grandi di quelle dove stavano i gufi. Sembravano celle, celle senza sbarre. Le sbarre non erano necessarie: al loro interno chiunque fosse trattenuto era incatenato da una spessa corda che ne reggeva le caviglie. Le zampe. La capra era così stupida che ogni volta che qualcuno passava si fingeva morta, riversa su un fianco. Non aveva nemmeno emesso un belato quando il coltello era calato sulla sua gola, il candido manto bianco imbrattato dal sangue. Rosso, rosso rosso. Le sue dita erano piene di sangue. Rosso. Anche il gatto era bianco. Lui graffiava e soffiava come una tigre. Non erano riusciti a piegarlo alla loro volontà, se non con gli incantesimi. Altro sangue sul bianco. Bianco e rosso. Rosso e bianco. Dalla nicchia più grande si irradiava una luce d’argento. Era stato il più difficile da trovare. Il sangue di unicorno è raro. Loro sono rari. Erano stati delicati con lui. Non lo avevano ucciso come gli altri. Lui sarebbe stato risparmiato. Per fortuna, era il suo preferito.

    Ti odio.
    Ti odio.
    Dove sei?
    Hai ucciso tu mamma?
    No, l’ho fatto io.
    Mi odio.
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