[ESPERIENZA 2] something lost

Andrea Dumont, Irving Graham, Kimiya Pearson

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    [ESPERIENZA 2]: something lost
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    Lunedì. Ore 9.00. Nella Grand Central Station non si vede nemmeno il pavimento tanti sono i No Mag che vi si avvicendano. Sembrano laboriose formiche che si rincorrono, infaccendate ed instancabili. Nel mondo senza magia sembra che tutti abbiano questa frenesia di costruire una carriera, di lavorare, di fatturare e produrre. Il grande luminare che torreggia opulente nella stazione tentenna per qualche istante. Dagli autoparlanti arriva una comunicazione metallica, gracchiante e sconnessa. << L..na ..te... V....Bo...on Avenue.>>
    Non sembra che un simile annuncio abbia grandi ripercussioni sulla popolazione No Mag presente, ma non si tratta delle solite inefficiente metropolitana: dall’altra parte di New York al Woolworth Building l’orologio schizza a 5 nel Livello di Rischio Smascheramento Magia, ovvero intensa attività inspiegabile.
    Immediatamente viene informata la popolazione con una card che avvisa del pericolo, massima cautela per non essere scoperti: viene così imposto che si limiti l'uso di magia in luoghi pubblici ed è data autorizzazione ad obliviare qualunque possibile spettatore di magie. Analogamente viene mandata una richiesta di volontariato, prima estesa ai membri del MACUSA, poi ai Medimag ed infine ai docenti di Ilvermorny che possano formare un gruppo di ricerca per scoprire maggiori dettagli. Il punto di incontro segnalato come picco di attività magica è la Grand Central Station verso la quale sono indirizzati i tre volontari: un sistema segreto di metropolvere li farà comparire in una stanza attigua all'ampio atrio della stazione. Giunti lì sarà tutto quanto nelle loro mani. Ma prima di tutto è il caso di capire da dove sia originata questa inspiegabile fonte di magia.
    ANDREA DUMONT ✖ IRVING GRAHAM ✖ KIMIYA PEARSON
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    Edited by Wizarding World Master - 5/8/2018, 18:56
     
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    23 y.o.
    ReaDumont

    Era lunedì, e già questo era abbastanza deprimente. Era mattina, e a lavoro aveva il turno di mattina, ciò significava riprendersi dalle ore piccole fatte la notte precedente per poter essere operativi in reparto. Per di più il tempo faceva schifo, faceva caldo ed era afoso: altra fregatura. Si diceva sarebbe migliorato in quei giorni e che l’umidità non sarebbe restata a lungo ma Rea ormai non credeva più a quelle stupide previsioni. Sapeva solo che quella settimana era iniziata nel peggiore dei modi, poteva andare peggio di così? Ovviamente sì.
    Arrivarono due urgenze in reparto: la prima riguardava un gruppo di adolescenti che arrivò vomitando in ospedale, dopo aver probabilmente bevuto qualche infuso che speravano desse loro qualche sensazione simile a quella della burrobirra. Poppanti. La seconda urgenza fu segnalata dalle card magiche che avvisavano i maghi e le streghe di qualche pericolo, ma che ovviamente Rea aveva lasciato a casa o in qualche borsa. Confusa dal gran movimento che si era creato in ospedale afferrò un’infermiera per il braccio, anche in malo modo « che sta succedendo?» questa, spaventata dalle maniere della ragazza, rispose balbettando « c’è un’emergenza nella Grand Central Station » e dopo essersi sciolta dalla stretta della medimag se la svignò. Fu poi la volta del caporeparto, al cui passaggio si allontanavano tutti come un Mosè che apre le acque. «Dumont! Venga immediatamente qui! » Rea, avendocelo di spalle, alzò gli occhi al cielo. Se avesse potuto sbraitare qualcosa l’avrebbe ovviamente fatto. Perciò si voltò e lo raggiunse con una calma apparente. «Serve un volontario che vada alla Gran Central Station come membro di un gruppo di ricerca per capire che sta succedendo. Servirà qualcuno che aggiusti le ossa se qualche dipendente del MACUSA si fa male, non crede? » disse con l’aria di chi stava per fregare qualcuno. «Bene, le mando subito qualcuno.» si era già voltata quando il capo medimag insistette «Non ha capito Dumont, è lei il volontario.» «Ma non mi sono offerta di andare» la pigrizia di Rea era tale che mai nella vita aveva fatto qualcosa per semplice volontariato. Non sapeva neanche cosa fosse un volontario. Tutto aveva un costo, e il suo tempo e le sue energie più di qualsiasi altra cosa. «Invece sì, lo ha appena fatto. Vada dalla mia infermiera, le darà informazioni più precise. Si diverta! » Rea lo vide allontanarsi sogghignando, e in quel momento giurò che prima o poi gli avrebbe messo un acromantula nel suo appartemento oppure qualche goccia di Distillato della Morte Vivente nel suo infuso mattutino. Inspirò rumorosamente. Rea ormai non aveva molta scelta. Raggiunse quell’infermiera consapevole che prima avrebbe iniziato a fare questa cosa prima avrebbe finito. Quanto poteva essere lunga quella giornata?

    Rea comparve in una stanza accanto all’atrio della stazione grazie al sistema della metropolvere. Già da lì il caos era evidente e quasi incontrollabile. Si avvicinò a una grande vetrata trasparente che dava sulla stazione cercando di scorgere qualcosa di interessante. I NoMag correvano da una parte all’altra, alcuni perché erano indaffarati nelle loro faccende quotidiane, altri perché probabilmente avevano visto o sentito qualcosa. Nel loro affaccendarsi era difficile capire chi stava scappando da quelli che correvano e basta. La Gran Central Station era la stazione più grande e affollata di tutto lo stato e quella mattina tutti i NoMag d’America avevano deciso di stare proprio lì, a sgomitarsi e a pestarsi i piedi a vicenda. Perciò rimase lì ad osservare nell’attesa che comparissero gli altri due volontari. Vide maggiore calca provenire dalle scale che conducevano alla Metropolitana e dai corridoi che portavano ai binari più lontani. L’unica possibilità era chiedere direttamente ai NoMag se avessero sentito o visto qualcosa e spacciarsi per uno di loro.

    Un dipendente del Macusa e un docente di Ilvermorny avrebbero partecipato a quell’avventura insieme a Rea. La giovane medimag, non appena arrivarono, espose loro ciò che aveva visto, l’ammasso di gente che scorreva via come un fiume in piena, e propose il da farsi. Più che altro chiarì cosa avrebbe fatto lei. «I NoMag corrono da una parte all’altra, non tutti hanno ancora capito che è successo qualcosa ma penso sia questione di tempo.» la medimag cercò di esporre le cose le in maniera diplomatica, sapendo di dover ‘collaborare’ anche se alla fine tagliò corto. «Dobbiamo chiedere a qualcuno di loro se ha visto o sentito qualcosa. Qualunque cosa sia successa non potrà essere passata inosservata. Possiamo usare la card per avvisarci oppure ritrovarci qui e darci un tempo. »

    Dopo aver nascosto la bacchetta sotto gli indumenti, Rea uscì di corsa dall’atrio e si intrufolò nell’ingorgo di gente che rispetto a pochi minuti prima si muoveva con molta più impazienza. Raggiunse uno dei due posti dove si era accalcata più gente, almeno secondo quanto aveva visto: l’entrata per la metro.
    «Mi scusi!» disse a vuoto. Cercò di avvicinarsi a qualcuno ma le persone la evitavano. Nel frattempo, una signora sulla settantina forse convinta che Rea stesse tentando di fregarle la borsa le diede una gomitata nello stomaco che la fece piegare in due dal dolore. «Stupidi NoMag! » disse, ovviamente a bassa voce. Più di una volta tentò di fermare dei NoMag fino quando non vide un uomo a cui era caduta la valigia e che era stata travolta dalla calca di gente. Fece quindi finta di aiutarlo a recuperare la sua valigia sfruttando l’occasione per chiedere informazioni. «Scusi signore! Mi scusi. Mi sa dire perché tutta queste sta correndo? Cosa è successo? Per caso ha sentito qualcosa? »

    medimag ♣ pureblood ♣ lover

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    La storia è maestra di vita, ma chi ascolta ancora gli insegnanti!
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    LimpRecklessGuineapig
    Probabilmente, se l’impiegato del Ministero avesse potuto scegliere non avrebbe deciso di far intervenire proprio Kim fra i vari insegnati di Ilvermony. Tanto per cominciare, perché lei era la professoressa di storia della magia: bravissima a studiare, per carità, competentissima di sicuro … solo, non esattamente un’immagine di abilità e potenza magica. Inoltre perché Kimiya era la persona meno avventurosa e combattiva che si potesse immaginare. Oh, e poi c’era il fatto che la sua bacchetta non le rispondeva proprio alla perfezione: quando l’aveva ricevuta tutti avevano commentato come vite e piuma di thunderbird dessero vita a bacchette potenti ma difficili da controllare, con anche una spiccata predilezione per trasfigurazione! Dunque, i “tutti” che avevano mormorato ammirati nel vederla si erano dovuti rimangiare in fretta i loro commenti, perché la piccola Kim non riusciva proprio a far fare a quel pezzettino di legno quello che voleva quando lo voleva. Era migliorata negli anni, ovviamente, ma aveva sempre passato le esercitazioni pratiche per un pelo. Per questo aveva preferito darsi a materie più teoriche, come pozioni e storia della magia. Lentamente, invece che un’amica la sua bacchetta era diventata solo l’ennesimo ostacolo che non era abbastanza forte per superare, e che doveva quindi aggirare con un po’ di furbizia. Non avevano mai stabilito un gran rapporto, nonostante Kim avesse visitato spesso dei fabbricanti di bacchette che potessero spiegarle il problema. Problema che, a quanto pareva, non c’era. Anzi si erano detti tutti stupiti, perché le bacchette di vite in genere erano le più sensibili di tutte nel riconoscere il loro proprietario, e quella bacchetta evidentemente riconosceva proprio la giovane Pearson come sua padrona. Dunque, non si spiegava. Kim aveva continuato a studiare, la sua bacchetta aveva continuato a prendere polvere, senza fare i grandiosi incantesimi per cui era sicuramente destinata. E, ora, Kimiya malediceva il non essersi mai esercitata: era stata mandata ad aiutare per l’emergenza semplicemente perché era l’unica insegnante a scuola in quel momento, poco prima dell’inizio delle lezioni. Gli altri insegnanti dovevano arrivare entro pochi giorni, poche ore addirittura … ma in quel momento nel castello c’erano solo lei, la preside e suo marito. E gli ultimi due erano troppo importanti per scomodarsi, quindi avevano mandato lei. Lei, che faceva fatica con gli schiantesimi. Per fortuna ci sarebbero stati anche un medimago e un dipendente del MACUSA, di certo maghi capaci e abili, che sarebbero stati in grado di cavarsela. Ne era assolutamente certa. La ragazza che aveva parlato, perlomeno, sembrava competente, sembrava sapere cosa fare. Aveva un piano. Kim adorava le persone con dei piani.

    Non possiamo impiegare troppo tempo. Direi di darci un quarto d’ora al massimo

    Propose, toccando nervosamente la tasca con la card magica che l’avrebbe avvisata dello scorrere del tempo. Un secondo dopo, era in mezzo alla folla, la bacchetta ben nascosta sotto la giacca. Riuscì a fermare una vecchietta dopo pochi minuti – Kim aveva il potere innato di piacere all’istante a chiunque con più di settantacinque anni … era un’abilità incredibile, lo sapeva.

    Scusi, sa dirmi cos’è successo? C’è qualche ferito? Un guasto alla linea?

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    Misterioso come lo Yin; Veloce come il Tuono.
    ▬Irving Graham▬
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    Se l'erba del vicino è sempre più verde ed è meglio un uovo oggi di una gallina domani, l'ultimo pensiero che si manifestò nella mente dell'Incantatore non appena udì le nuove direttive impresse nella card che, da un momento all'altro, venne recapitata presso la sua abitazione privata fu che, sicuramente, il diavolo faceva le pentole ma non i coperchi.
    Il motivo? Beh, se il Signor Lucifero avesse voluto creare una cosina per bene, Irving avrebbe potuto fare il suo dovere coadiuvato da un'intera squadra di Auror e di MediMag. Ormai da tempo, in verità, l'uomo cominciava ad avere dei dubbi sugli organi plenipotenziari del M.A.C.U.S.A. . Non che non si fidasse: il suo morboso bisogno di schierarsi al fianco delle persone gli impediva categoricamente di pensar male di chicché sia; non fosse stato che il livello di RSM era salito a 5 e l'epicentro dell'emergenza risultava essere la Grand Central Station: notoriamente, per chi non lo sapesse, il luogo chiuso più frequentato in assoluto da NoMag. Perché, ordunque, la Presidentessa Madam Picquery aveva deciso di affrontare il problema armandosi di...un team di volontari?
    L'alba era ormai andata a nascondersi dietro al monte (beata lei) ed il sole aveva cominciato a becchettare col suo calore ogni fibra del corpo del trentaduenne, sempre meno invischiato nel sacro vortice di padre Morfeo, come d'abitudine, e sempre più perso in quello (altrettanto sacro) di fratello Caffè: il risveglio era terminato tra sbadigli e mosse meccaniche; la pausina era stata svolta con successo affacciato alla finestra della sua camera da letto presso Villa Graham e, quando la sua muscolatura si stava abituando al relax derivato dall'arietta piacevole che gli sferzava la testa, come un fulmine a ciel sereno, le sue orecchie captarono tristemente qualcosa di fastidioso come un moscone. Non solo doveva portare a termine un incarico a coppie (indi non poteva avere grandi margini di manovra autonoma, come da sempre era abituato a fare) ma avrebbe persino dovuto accontentarsi di due, soli, collaboratori: un MediMag (grazie a Dio) e un altro docente di Ilvermorny.
    << Ma dai... >> sospirò, spalancando gli occhioni scuri per un secondo, prima di ripiombare nell'apatia assonnata di poco prima. Troppo sforzo, la protesta; meglio usare le proprie energie per accendere la pipa.
    Restò disteso sul suo giaciglio per diversi minuti prima di realizzare che ne erano passati, per l'esattezza, trenta e che, quindi, erano le otto in punto. Irving fece capolino verso l'armadio e dopo aver aperto entrambe le ante con un moto decisamente simile ad un abbraccio fraterno a un vecchio amico o all'amore della propria vita, infilò la mancina all'interno di esso per poi farla riemergere in compagnia di una comoda camicia bianca in cotone e un pantalone nero estivo. Nella tasca destra di esso, incantata con un Estensivo Irriconoscibile, l'Incantatore infilò prima la sua amata bacchetta, la sua Lancia d'Argento, contenuta nel vecchio Mokessino che vinse a scuola come premio in una lotteria natalizia, e poi la sua Prince of Wales. Nell'altra tasca, invece, Irving teneva ben stretta la card ricevuta d'urgenza.
    Senza pensarci troppo, scese al piano di sotto e si recò al Salone Centrale dove era posizionato il camino più grande di tutta la villa; lì, infatti, si accorse che il fuoco era stato già acceso e tanto le fiamme quanto le scintille prodotte dallo scoppiettio dei rami e dei legnetti, che costituivano la base del focolare, erano di colore verde acceso: un chiaro segno, quello, di fuoco incantato e, precisamente, di un Fuoco-Metropolvere.
    << Grand Central Station. >>
    Le parole erano state scandite, la destinazione ben stretta nella sua mente e ben presto avrebbe preso posto sulla scacchiera. Per una nuova partita non voluta né, tanto meno, attesa. Per salvare ciò a cui lui teneva di più in assoluto, innanzitutto: l'equilibrio del mondo magico; e, se possibile, per cercare di aprire di più le menti dei suoi colleghi e dei suoi consimili sull'opportunità di un'apertura, seppur piccola, nei confronti di coloro i quali erano stati per troppo tempo tenuti all'oscuro di una realtà che, prima o dopo, avrebbe dovuto involgerli: i NoMag stessi.
    Qualche istante ed il suo piede toccò il pavimento desiderato all'interno di una saletta completamente isolata antistante alla grande stazione, appena in tempo per guardarsi attorno e scoprire che prima di lui erano già giunti i suoi due compagni: due donne, per la precisione. Si trattava di Kimiya Pearson, docente di Storia della Magia ad Ilvermorny e di un'altra donna che, prima di quel momento, Irving non aveva mai visto.
    Non fece neanche in tempo a presentarsi che la donna sconosciuta, la MediMag con ogni probabilità, uscì dalla porta, catalizzatore in pugno e nascosto sotto la manica a chiedere informazioni a qualche d'uno che si fosse fermato a parlarle. Lo stesso fece la sua collega che teneva ben stretta la sua bacchetta nella mano anch'essa nascosta sotto i vestiti e la card nell'altra, dopo aver dato ad entrambi un nuovo appuntamento in quello stesso luogo da lì a quindici minuti esatti.
    << Scusate, signore! Non dovremmo prima mettere in sicurezza la zona? Oh... >> mormorò lui, dopo essersi accorto di essere rimasto completamente da solo in quell'angusto spazio che, una volta oltrepassato, l'avrebbe messo finalmente faccia a faccia con la dura realtà. << Frettolose, le colleghe. E non mi sono neanche presentato...>> bofonchiò, mentre prendeva comodamente posto sopra un piccolo tavolino posto esattamente al centro della stanza e raccoglieva, nella mancina, la sua pipa; con un movimento delle prime due dita della mano destra, molto simile ad uno schiocco, evocò una fiammella che apparve proprio sul pollice che poi avvicinò all'arnese per accenderne il fornello. Serviva una strategia: agire giocando non una ma cinque mosse in anticipo rispetto al nemico era la chiave per la vittoria di qualsiasi battaglia. Irving, dal canto suo, adorava i piani, in particolare quelli ben riusciti: e fu per questo che non si precipitò fuori come avevano fatto le altre due, pochi istanti prima, alla ricerca di eventuali informazioni fornite da NoMag spaventati a morte che avrebbero, secondo lui, soltanto alimentato il caos e la confusione.
    In quel momento, il rampollo Graham si trovava in quella struttura in veste di membro ufficiale del M.A.C.U.S.A. : era lì, infatti, in vece dell'intera amministrazione e, nello specifico, in rappresentanza della Presidentessa. Per questa ragione, si disse, non doveva agire da professore ma da agente. La prima, e più importante in assoluto, regola dell'istituzione magica americana era evitare che il RSM salisse esponenzialmente; qualora ciò non fosse stato possibile, era dovere di ogni membro del M.A.C.U.S.A. fare in modo che il livello critico non aumentasse. Ebbene, era da lì che sarebbe partito il suo piano: chiudere le porte. Ce n'era solo una, molto grande e più simile ad un cancello, che permetteva ai NoMag di entrare e uscire dalla stazione ed era situata un po'più a nord rispetto alla sua posizione attuale.
    Quella del "collaborare" è una delle arti più difficili da apprendere e metabolizzare a questo mondo e, di questo, l'Incantatore ne era pienamente cosciente: si sarebbe premurato di dire un paio di paroline alle sue colleghe una volta che si fossero ritrovati tutti insieme, anche se nessuna delle due sembrava particolarmente avvezza al gioco di squadra. Il rampollo Graham si decise, dunque, a riporre la sua Prince of Wales all'interno della tasca incantata e a quel punto, con lo sguardo ben focalizzato nella calca di persone che correvano e strillavano senza nessun tipo di ordine o contegno ed una leggera punta di tremula insicurezza verso ciò che lo stava attendendo nell'ombra dell'incertezza, proseguì avanti per un lungo corridoio satollo di individui terrorizzati, allertando i sensi se ci fosse stato il malaugurato bisogno di difendere qualcuno dalla minaccia imminente; arrivato al primo bivio svoltò a sinistra, aspettandosi da un momento all'altro di trovare facce amiche (o nemiche) che erano state inghiottite in precedenza da quel dannato uragano di NoMag. Deluso ed in continua aspettativa di un qualcosa che pareva non sopraggiungere mai, rallentò un po' il passo fino a farsi più prudente in quello strano immobilismo muto degli eventi, girando ancora a sinistra e scorgendo misteriosamente un clima decisamente più disteso e rilassato rispetto a quello all'interno di cui si era immerso qualche decina di metri prima.
    Osservando al di sopra di alcune testoline che parevano concentrate su tutt'altro che un imminente catastrofe, Irving si rese conto che nei pressi dell'entrata quasi nessuno era venuto a contatto con il pericolo. La massa era sì caotica, ma allo stesso tempo uniforme, lineare e decisamente...indaffarata.
    Nonostante ciò, il suo subconscio sapeva bene che oltre quell'apparente calma piatta esisteva una via di fuga per coloro che sereni non lo erano per niente e che, di contro, erano stati investiti in pieno petto da una realtà che fino a quel momento avevano ignorato con ogni fibra e particella del proprio essere; spinto dalla necessità di non permettere a costoro di allontanarsi dal luogo del misfatto, si prese qualche attimo di raccoglimento spendendolo ad ossigenare al meglio tutti i distretti corporei, inspirando ed espirando per arrivare a prendere il respiro finale con l'intenzione di catturarlo a pieni polmoni, immagazzinando più aria possibile fino a rinchiuderla senza uscita, imboccando dunque , la strada alla sua destra e trovandosi faccia a faccia con il portone della stazione.
    Ridusse gli occhi a due fessure, decise, mentre ogni fibra del suo essere si preparava a ciò che sapeva di dover fare: con la bacchetta ben impugnata nella mancina, pronto ad usarla, i muscoli tesi quanto bastava per fargli assumere una tipica posizione da attacco non statica, assicuratosi di avere almeno un minimo margine di spazi, divaricò in automatico le gambe portando il piede sinistro un po' più avanti rispetto al compagno per guadagnare una certa stabilità che l'avrebbe portato ad ottenere un inizio di postura richiesta per il corretto svolgimento dell'incantesimo, lasciando aderire al meglio i piedi al suolo per scaricare la tensione che, in quei momenti, cominciava ad attanagliargli le viscere; successivamente, si occupò di piegare appena le ginocchia, per dare elasticità ai suoi movimenti che dovevano essere leggeri, decisi e fluidi, senza alcun intoppo. Ruotò di qualche grado il busto verso sinistra, stendendo la schiena, dando il lato preferito al suo obbiettivo, irrigidendo un poco i muscoli del torace, vigili, in attesa di ulteriori ordini; in tutto questo, il braccio mancino venne steso come una frusta, immediato, per poi affinarsi, piegandosi appena grazie all'intervento del gomito, che contribuiva a rendere il tutto pronto all'esecuzione di qualsiasi incanto che il cervello volesse scagliare, mentre le dita della mano sinistra stringevano sicure la bacchetta in legno di Pioppo Bianco, dritta come una Lancia d'Argento in attesa di essere scagliata verso un nemico.
    Occupatosi del fisico, il secondo step prevedeva la concentrazione che, in tali circostanze, poteva risultare l'elemento più difficoltoso: tante persone, tante urla, un Essere Non Definito che minacciava l'equilibrio di tutto il mondo che Irving conosceva. L'uomo sapeva di avere molti difetti, ma una cosa che non gli era mai mancata era il sangue freddo. Socchiuse per qualche frazione di secondo gli occhi scuri, ascoltando il battito del suo cuore e beandosi momentaneamente di una ventata di aria fresca che gli entrava nei polmoni, senza chiedere alcun permesso, tentando di acciuffare quella pace dei sensi di cui tanto aveva bisogno in quel momento di difficoltà. Oscurandosi il tempo necessario d'una frustata la vista, stabilì una connessione con i propri pensieri, organizzandoli e gettando in un angolo ciò che non gli sarebbe servito, sgomberando il più possibile ed estraniandosi al meglio da ciò che lo circondava. Focalizzò le proprie sensazioni e riflessioni sullo stabilire un disegno mentale del sortilegio che avrebbe dovuto bloccare il passaggio, mirando dritto alla serratura situata nell'esatta metà dell'anta destra della cancellata col semplice fine di fare si'che questa si riavvicinasse magicamente alla sinistra, già posizionata e pronta ad accogliere la sua gemella per chiudersi in un lucchetto magico e inespugnabile senza un degno controincantesimo.
    Così, delineò rapido, una volta riacquistata la vista grazie all'apertura delle sue palpebre, il punto esatto dove il suo incantesimo si sarebbe impattato, trovando sul bersaglio una croce rossa immaginaria dalla quale tracciare una linea simbolica che lo avrebbe connesso con la sua bacchetta,
    A quel punto, abbastanza soddisfatto di come stava gestendo le cose, si premurò di scrutare lo spazio attorno a sé e riprese contatto col mondo, tenendosi ben stretto nella mente quel che aveva costruito fino a poco fa, obbiettivo compreso. Osservò la punta del suo catalizzatore ben stesa verso il target davanti a lui, visualizzando di nuovo lo spazio in cui avrebbe dovuto lanciare l'incanto con l'unico scopo di chiudere il passaggio e concentrarsi sulla ricognizione del luogo prima di passare alla pratica obliviatoria dei presenti.
    Di conseguenza, tirò fuori tutta la determinazione, la volontà e la decisione che riusciva a trovare dentro di sé, aggrappandosi con ogni fibra del suo essere alla concentrazione necessaria per praticare al meglio l'incantesimo, focalizzando i pensieri sull'intento di eliminare dalla sua strada ogni possibile ostacolo.
    Con movimenti rapidi e coordinati, Irving rilassò un poco il braccio, stendendolo per dare la frustata in maniera repentina; al contempo, iniziò a pronunciare la formula magica, stando ben attento a scandire al meglio ogni lettera, senza però risultare lento o impacciato, ma anzi, cercando di trasmettere tutta la determinazione e la volontà di cui era carico.
    << Colloportus! >>
    Il polso, accompagnando il singolo movimento precedente, dette la scoccata finale con tanto di movimento circolare, cercando di assestarla al meglio delle sue potenzialità, tenendo la punta del Legno ben dritta, terminando contemporaneamente a tutto ciò, di scandire la fine della formula, sperando intimamente che il destino gliel'avesse mandata buona. O sarebbe stato il momento adatto per iniziare a ripudiare la magia pratica per dedicarsi alla sola teoria.
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    Essere maghi in un mondo di NoMaj non era un impresa semplice, soprattuto in quegli anni dove ci si doveva aggirare con prudenza. Erano passati una decina di minuti dall'innalzamento del Livello di Rischio Smascheramento Magia aveva fatto scattare le procedure previste in questo caso: personale specializzato che intervenga nel minor tempo possibile. Ma questo a volte richiedeva che individui con interessi e strategie differenti si trovassero a collaborare assieme.
    Fatto rapidamente il punto della situazione, Andrea Dumont fece leva sul suo carisma avviandosi verso Bob Swetheart - la donna avrebbe avuto modo di scoprire il nome passando al proprietario la sua tessera della metro - che a discapito del nome non nutriva grande simpatia per gli estranei.
    << EHI!>> la apostrofò piccato strappandole dei documenti dalla mano e raccogliendo più in fretta possibile i suoi oggetti << Qualcosa sulla settima, che ne so... ho fretta. >> aggiunse con tono di sufficienza, non mancando di indicare un tabellone con i prossimi vagoni che si sarebbero fermati. In effetti una linea sembrava essere più in ritardo delle altre.
    Anche la Pearson tentò la strategia di fermare un passante ma la dolce vecchietta che aveva cercato di fermare non la sentì nemmeno, forse aveva problemi di udito, e sbattendo candidamente le palpebre tornò alle sue faccende: sembra in effetti che sesse vagando per la stazione senza meta precisa.
    Unico dipendente del M.A.C.U.S.A. presente optò per una strategia più di azione, posizionandosi in un luogo appartato per lanciare un incantesimo che bloccasse la porta ed impedisse ai NoMag di uscire dalla stazione: scoprendo di essere in trappola si sarebbe scatenato ancora di più il panico? Era ancora presto per dirlo, e c'erano altre strade per uscire dalla stazione. Treni che andavano e venivano.
    Un gruppetto di operai, facilmente riconoscibili dalle divise da lavoro blu con catarifrangenti d'argento, si avviarono spediti attraverso la folla.
    Irving Graham incantesimo riuscito!
    ANDREA DUMONT ✖ IRVING GRAHAM ✖ KIMIYA PEARSON
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    L' esordio era andato bene: non era inciampato nei suoi stessi piedi, non era andato a sbattere con la mano che reggeva saldamente la sua bianca bacchetta sul primo passante che avesse, incautamente, intralciato i suoi intenti e né si era fatto toccare spintonare dalla folla marciante come una rapa sul fondo della cassetta, sbagliando clamorosamente la mira del suo incantesimo; cosa più importante, però, non era manco scivolato su una, imprevedibile sempre, buccia di banana. Prendendo, dunque, definitiva coscienza che tutto era andato per il meglio e che le due enormi ante del cancello che costituivano, insieme, la grande entrata principale della Grand Central Station si erano misteriosamente avvicinate l'una all'altra per poi chiudersi in un suono molto simile a quello di un invisibile lucchetto, un moto del tutto involontario gli fece distogliere l'attenzione dal portone per spostare lo sguardo scuro direttamente al lato opposto rispetto ad esso: sbattendo per diverse volte le palpebre, cercando di stabilire se si stesse immaginando tutto o se, al contrario, fosse tutto vero, al di là delle ultime file dei tonti NoMag che affollavano il corridoio centrale della stazione che tramite le varie biforcazioni dava agli innumerevoli binari che conducevano, ognuno, ad un specifica linea metropolitana, l'Incantatore vide spuntare evidenti e decisamente NON-ordinarie divise blu corredate da strisce catarifrangenti color argento, segno evidente che il Signor Destino aveva in serbo per lui ancora delle sorprese e, in quel momento, Irving non riuscì a sperare ad altro se non che quelle novità fossero state positive. La sua strategia comportava dei rischi: quando le persone si sarebbero accorte che la stazione era chiusa, infatti, avrebbero iniziato a strillare e gridare ancora più di prima e dell'ulteriore caos era, senza dubbio, l'ultima cosa che il rampollo Graham aveva intenzione di creare in una situazione già particolarmente spigolosa di suo.
    Istintivamente, le labbra fini si deformarono in un piccolo sorrisetto a metà tra lo stizzito e il divertito in onore di quel malsano pensiero che lento ma inesorabile prendeva forma nella sua mente ed era esattamente a forma di NoMag che si accalcavano al cancello per sfondarlo senza riuscirci e quasi perse l'attimo fuggente per iniziare a pedinare la squadra di presunti addetti ai lavori; ritrovata la concentrazione, si impegnò a ricalibrare il tiro della vista su di loro: si stavano muovendo e lui non se li poteva perdere. Perciò, ripose la bacchetta nel suo Mokessino situato sotto la manica destra della sua camicia bianca e facendo un po'di spintoni e spalle larghe provò a farsi largo tra la folla per tenere il più nitidamente possibile i loschi individui all'interno del suo campo visivo. Cercò di tenere una certa distanza per evitare di essere scoperto, camminando all'incirca ad una decina di metri di distanza da essi, nella speranza di non perderli di vista da un momento all'altro, pronto a farsi scudo con una qualsiasi altra persona nel caso in cui lo sguardo di uno di essi si fosse poggiato su di lui.
    La capacità di cogliere la giusta opportunità al momento adatto, esattamente come il recepire il corretto input tra una marea di falsi indizi e avvertimenti risulta essere una delle doti più preziose che possono appartenere all'essere umano e, spesso, protagoniste assolute della salvezza individuale o collettiva; tuttavia, ascoltare attentamente quella voce appena sibilante che ci spinge verso la via più sicura può essere tanto faticoso quanto azzardato poiché quella strada suggerita, più o meno flebilmente, non sempre è anche la più facile da intraprendere. Il trentaduenne era sempre stato una persona piuttosto deduttiva, mai passionale, sempre lucido verso ciò a cui teneva e forte della convinzione di aver fiducia nei propri mezzi: in ogni avventura in cui si buttava, qualunque fosse il percorso imboccato, alla fine il risultato era comunque farina del suo sacco. L'ex Horned Serpent era, da sempre, in condizione di udire chiaramente perfino il più piccolo suono che la sua anima poteva bisbigliargli nell'ombra del silenzio e dell'incertezza, guidata da quell'intuito che lo aveva reso prima un bambino unico nella sua sensibilità ed intelligenza empatica verso il prossimo, passando per l'adolescente estremamente brillante, intellettualmente vispo e mai fuori posto, fino a giungere all'uomo: l'uomo retto, integro, inflessibile nei confronti di ciò che è giusto. Ma passo dopo passo, goccia dopo goccia, c'erano state delle difficoltà, dubbi, timori; e il senso di inadeguatezza aveva progressivamente provato a mettere le mani su quella luce, affievolendola fino a tramutarla in un lieve brillio seguito da un soffio di vento lontano. Ebbene si, il caos delle situazioni e una diversa percezione delle cose proprie dello stesso Irving avevano quasi soffocato qualsiasi forma di contatto tra lui ed il suo io interiore, scindendo come entità diverse ed autonome la ragione ed il sentimento, non riuscendo oltremodo ad uccidere definitivamente quella parte fastidiosa di emotività dolce e remota di quand'era ancora una creatura innocente. Ma mai nessuna maschera avrebbe preso il posto del suo stesso volto: era una questione d'onore; di principio; di Giustizia. Lui sarebbe stato lui, sempre: nel bene o nel male. E fu per quello che decise di non pigiare subito la card per richiamare la Dumont e la Pearson: finché fosse stato possibile, avrebbe agito da solo. Come quella vocina, da sempre, gli sibilava dentro l'anima.
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    23 y.o.
    ReaDumont

    Rea sapeva di non poter avere grandi pretese da quella giornata, e questo la disturbava non poco dato che ogni giorno si svegliava cosciente del fatto che da qualsiasi giorno avrebbe dovuto trarne qualche profitto ad ogni costo. Per questo aveva sviluppato la strabiliante capacità di trasformare persino la più inutile e monotona giornata in qualcosa di più interessante, anche grazie ad una semplice bevuta o ad un incontro piccante in cui divertirsi. Il problema però sorgeva nel momento in cui ciò non accadeva, e in quel caso sarebbe stato difficile gestire il suo crollo narcisistico che nel frattempo sarebbe andato a schiantarsi violentemente contro la dura realtà. E una cosa del genere stava accadendo proprio quel giorno. Non poteva sperare di poter avere qualcosa in cambio se fossero riusciti nell’intento, né si sarebbe fatta bastare la vittoria della riuscita, semmai fossero riusciti a risolvere il mistero, dato che non gliene importava granché. Perciò, mentre si impegnava nel cercare di trovare la giusta motivazione per affrontare quel compito e per non piantare tutto in asso, attese che arrivassero i due maghi che avrebbero collaborato con lei (o perlomeno ci avrebbero provato). Quei maghi erano in realtà un mago, il dipendente del Macusa, un tipo molto, se non troppo, serio e sicuro di sé e delle sue capacità; e una strega, la docente di Ilvermorny, secondo Rea troppo giovane per essere già docente. Probabilmente la medimag aveva altre aspettative su quella che sarebbe stata la sua squadra perché ne rimase leggermente perplessa. Il primo era un tipino tutto composto, rigido, quasi vecchio stampo (o forse era Rea quella dallo stampo troppo moderno e ribelle), la seconda, una ragazza che con ogni probabilità non avrebbe mai voluto trovarsi lì, esattamente come Rea. Volendosi togliere dagli impicci non attese neanche le presentazioni di circostanza, risultando forse un tantino sgarbata o frettolosa. Ma perlopiù fu una esclamazione a farla sparire per non lanciare la bacchetta addosso a qualcuno: «Scusate, signore!» Signore. Ma siamo seri? Oltre alla bacchetta dovrei lanciargli addosso pure un incantesimo, pensò. Una volta che fu sparita dalla vista dei suoi colleghi si disperse velocemente tra la folla in mezzo alla quale non ebbe molta fortuna. O forse no.. Bob Swetheart, un NoMag che stava raccogliendo i suoi effetti personali sparsi per il pavimento, disse qualcosa di interessante che assomigliava molto ad una traccia da seguire. «Qualcosa sulla settima, che ne so…» ammise, indicando poi il tabellone che segnava gli arrivi dei treni. Alzò lo sguardo ed in effetti uno di quelli continuava ad accumulare ritardo. Senza ringraziare, come al solito, Rea iniziò a correre per quel che poteva verso la linea 7, scansando con molta fatica tutti quelli che le andavano addosso. In effetti era l’unica che si muoveva controcorrente rispetto a tutti i NoMag che la circondavano. Cominciò ad intravedere il binario della sua destinazione quando si ricordò che stava collaborando con altre due persone che probabilmente avrebbero apprezzato quella notizia. Frugò nelle sue tasche in cerca della card magica che avrebbe usato per avvisare i colleghi, ma che ovviamente non trovò perché ovviamente l’aveva persa. «Porc.. e adesso?!» era ormai quasi vicina alla linea 7, doveva realmente tornare indietro e sperare di trovare almeno uno dei due (com’è che si chiamavano? Ah già, non lo sapeva)? E se invece avesse proseguito per la sua strada e si fosse ritrovata a combattere da sola la creatura o l’essere che aveva causato quello scompiglio? La medimag non aveva paura di farsi mettere KO da chiunque si celasse là in mezzo ma avrebbe preferito di gran lunga evitare danni a se stessa, per cui optò per il tornare indietro e sacrificare del tempo prezioso in virtù di quella magica collaborazione che sperava almeno sarebbe stata utile.
    Tornando sui suoi spassi riconobbe tra la folla la voce della docente, la ragazzina più piccola di lei, che cercava informazioni come Rea poco prima. «Questa sì che è fortuna! Ehi! Andiamo di là! Un NoMag ha sentito qualcosa riguardo la linea 7. Non c’è tempo per tornare indietro. ». Probabilmente non ci misero molto a raggiungerla, ma quei minuti passati a scansare gente, di nuovo, sembrarono interminabili.
    Raggiunto il posto, Rea non vide nulla. Letteralmente nulla. Il tabellone in alto segnava il ritardo di quella linea così come lo aveva fatto notare il NoMag poco prima nel piazzale centrale, ma davanti a sé non c’erano tracce. «Mettiamoci a cercare. Se è vero che è qui il problema troveremo o sentiremo qualcosa, prima o poi». Si chinò a terra vicino al binario, tentando di scorgere tracce come macerie, sangue, dita mozzate, denti, zanne o qualsiasi altra cosa. La sua fantasia l’avrebbe potuta aiutare probabilmente, dato che vendendo e stando a contatto con gli ingredienti più strani che c’erano nel suo negozietto di pozioni e intrugli vari, ormai qualsiasi cosa la scambiava per un potenziale ingrediente. Aveva l’occhio allenato per i particolari, se così vogliamo dire.

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    Lo squadrone di operai si muoveva compatto come un branco di pesci in un mare di pendolari e uomini in vestito, mentre il silenzioso predatore Graham li inseguiva a debita distanza. In realtà non era il solo ad essersi unito come codazzo a quell’avanzata. Una signora dai capelli così biondi da essere quasi fluorescenti sotto le luminarie ad olio della stazione si era avvicinata eseguendo spiegazioni sul perché il metrò della sette non fosse ancora giunto a destinazione. Un guasto, fu il rapido e scocciato commento di uno degli operai che per un istante si era levato il cappello da baseball per indossare un caschetto da lavoratore. La donna sbuffò sonoramente, ma da abile predatrice non ci mise molto ad essere ammaliata dal bel aspetto del mago.
    << Mi scusi, mi scusi lei sa che è successo? Aspetto da venti minuti il metrò per la Fifth ma non arriva nulla dal Queens. Va anche lei verso Manhattan?>> parlava come ogni NoMag avrebbe fatto con un altro, dando per scontato che l’interlocutore, in questo caso Graham, la comprendesse.
    Una scalinata più giù, lungo i binari della metropolitana Andrea Dumont esaminava la zona concentrandosi con dovizia di particolari sul terreno, abbassandosi anche a terra. Cicche di sigaretta, fuliggine e chewing-gum masticati erano appena visibili nella foresta di scarpe lucide e tacchi a spillo che si levavano dalla banchina. Qualcuno notò la donna accovacciata al terreno << Sta bene? È da molto che aspetta?> la voce di uomo arrivava calma e pacata attraverso un completo inamidato << Sembra che il problema sia in una stazione del Queens, ci vorrà un po’... > lo sguardo si posò su un tabellone sopraelevato sul quale i minuti di ritardo del convoglio si accumulavano con il passare dei secondi, come una roulette impazzita.
    Ormai sembrava che il luogo fosse stato circoscritto più o meno chiaramente: la situazione alla Grand Central Station era tranquilla, ma bisognava capire in quale delle stazioni si era fermato il convoglio. Materializzandosi o percorrendo a ritroso i buii cunicoli della metropolitana newyorkese. Infondo qualcuno sosteneva che i coccodrilli li abitassero... nella migliore delle ipotesi avrebbero trovato un alligatore. Nel frastuono del mondo NoMag però la Pearson non si era mossa, restando a vagare senza meta e senza uno scopo preciso.

    ANDREA DUMONT ✖ IRVING GRAHAM ✖ KIMIYA PEARSON
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    Evitare le persone era una disciplina in cui Irving eccelleva da tempo, nonostante la sua fama di romantico corteggiatore e, se del caso, anche di estroverso buontempone; la vera natura del newyorkese era, infatti, tutt'altro che simile a ciò che ogni giorno mostrava al mondo intero: era sì capace di scherzare ed alleggerire la tensione a suon di battute pungenti ed argute, ma non disdegnava affatto neanche la tranquillità di una vita placida, all'ombra di un se stesso pieno di anima e di bon ton spinto in prima linea. Poteva essere, quindi, piuttosto difficile da inquadrare quell'uomo dal fisico snello e slanciato e tanto misterioso intellettualmente in un contesto come quello della Scuola di Ilvermorny o, perché no, in un luogo come la Grand Central Station della Grande Mela, dove risate, urla, stramazzi e passi riecheggiavano nell'aere come granelli di polvere attanagliano le pagine di un libro; eppure...il vero se stesso che campeggiava nelle profondità della sua anima non aveva dimenticato il bambino timido e scavezzacollo che fissava tutto e tutti con quei due grandi occhioni scuri e curiosi di capire come le cose funzionassero e si evolvessero nel corso del tempo. Sì, ne aveva fatta di strada da quel punto. Un punto in cui la sua infanzia fu travolta dall'età adulta in un mero battito di ciglia, senza l'intermezzo dell'adolescenza, ed imparare a convivere con certi pesi che squarciano da dentro le sue stesse membra non era mai stato facile; da lì il passo per conoscere l'oscurità e tingere con un po'di nero quella tela che era rimasta di un candido bianco per così tanto tempo era stato breve, acquisendo la non tanto gradevole capacità di non riuscire a tenersi stretto nessuno. E, il più delle volte, neanche a volerlo questo qualcuno. Un piccolo sbuffo dal retrogusto amaro si mescolò, nel silenzio momentaneo della sua mente appena prima che un pensiero tutto nuovo si facesse strada dentro di lui: da quando si era trasformato in un ibrido senza che nessuna fazione dentro di sé dominasse sull'altra? Probabilmente dai fatti accaduti in un passato neppure troppo lontano, direttamente dalle mura di Villa Graham che, in quel preciso momento, ai suoi occhi grondavano di molto più sangue rispetto a quanto lui ne avesse visto scorrere prima tra le insenature. A volte si stupiva di quanta fatica facessero il Bene ed il Male a sopraffarsi l'un l'altro, nella sua anima, in una battaglia senza esclusione di colpi ed il suo recente essere lunatico derivava proprio da questo scontro epico in cui, al momento, non era stato proclamato nessun vincitore.
    << No, signora. Mi dispiace non poterle essere d'aiuto. Peraltro, vado in direzione opposta alla sua: sono diretto a Long Island.>>rispose, sfoggiando il suo canonico charme da nobile aristocratico, fissandosi sul colore biondo platino dei capelli della donna che, all'improvviso, gli aveva chiesto delle informazioni in merito al presunto guasto commentato con leggera stizza da uno degli operai che Irving stava tenendo d'occhio. Erano chiarissimi, per inciso: color platino, più che biondo; non fosse stato per il colore degli occhi e per la carnagione non eccessivamente pallida, il rampollo Graham avrebbe senza dubbio constatato che la sua interlocutrice era affetta da albinismo. Non ne poteva essere sicuro, ma era ragionevolmente convinto che la donna, una volta ascoltata la sua risposta, si sarebbe fatta da parte e avrebbe cercato soluzione ai suoi problemi altrove. Fu per quello che, senza perdere il contatto visivo con la evidente macchia blu che camminava, veloce, nella folla, l'Incantatore riservò un gentile e delicato sorriso alla NoMag, chinando leggermente il capo verso sinistra.
    << Arrivederci.>> continuò con educazione, regalandole un ultimo sguardo, per poi concludere << E buon proseguimento di giornata.>>
    Così, quell'atmosfera di dolce cortesia venne bruscamente interrotta dall'innocente ma audace passo in avanti mosso dal dipendente del M.A.C.U.S.A. che andò a cozzare con l'immobilismo momentaneo della sua interlocutrice. Poggiò in avanti il braccio mancino, alla ricerca di spazio libero davanti a sé per muovere le gambe e riprendere a camminare per continuare il pedinamento degli uomini in blu. Deglutì, cercando di restare impassibile, tentando di darle un'impressione quanto più distaccata era possibile e che non lasciasse trasparire l'ansia, la fretta e la necessità di venire a capo di una situazione che, in quel momento, cominciava a snervarlo più del normale.
    Pausa.
    La situazione cambiò ancora quando Irving si rese conto, per l'ennesima volta, di non essere solo: c'erano due persone, in quel momento, a poca distanza da lui ma con lo stesso obiettivo e a quel punto, pensò lui, la cosa giusta da fare era riunire le forze per procedere insieme. Sarebbe stato facile, in quel momento, agire d'impulso e ruotare la testa per ignorare la card che giaceva, al sicuro, nella tasca del suo pantalone; ma lui non era mai stato tipo da cose facili né tanto meno da scelte prese alla leggera e fu esattamente per quella ragione che si lasciò trasportare dai movimenti delle sue prede per altri metri senza far niente Restò ancora inattivo, facendosi trasportare dalla scia di olezzo pregnante e unto che proveniva dalle divise un po'sporche e un po'logore dei NoMag, lasciando che gli occhi spaziassero liberamente su di loro, prima, e sul resto dei passanti, poi, alla ricerca di un qualsiasi segno o indizio utile a restringere il campo. Il Queens, in effetti, è il quartiere più grande di tutta New York, in quanto a superficie; non sarebbe stato per niente facile trovare la vera origine dell'improvviso innalzamento del RSM con così pochi indizi. Era fondamentale andare più a fondo nel minor tempo possibile. Fu solo a seguito di tale constatazione, che Irving decise di coinvolgere il resto della squadra e di rendere partecipi le due donne delle sue scoperte. Tese la mano destra all'interno della tasca del suo pantalone e ne riemerse con la card fornitagli dal M.A.C.U.S.A. : con il pollice ben fisso sull'estremità sinistra, dov'era posto il sensore di riconoscimento, bisbigliò il messaggio che doveva apparire sulle gemelle della Dumont e della Pearson: << Guasto nel Queens. Riaprire il cancello principale e poi seguire i tunnel o materializzarsi.>>

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    23 y.o.
    ReaDumont

    «Tieni d’occhio questa parte della metropolitana, io mi sposto più in là.» disse, rivolgendosi a Kimiya. Nonostante la metropolitana non fosse grande quanto l’intera stazione di NY, dividersi anche lì non sarebbe stata una cattiva idea. Il tempo scorreva troppo lentamente. Rea sentiva ogni singolo secondo che scivolava verso l’altro, come in una eterna danza, senza fermarsi, senza rallentare e senza neanche accelerare. Era snervante, ma questo non era una novità dato che bastava veramente poco per innervosirla. Non era mai stata una tipa alquanto paziente. Aveva sempre ottenuto tutto e subito, la pazienza non sapeva proprio dove fosse di casa. Per giunta odiava che fossero gli altri a fare il lavoro per lei. Non era un’incapace e aveva anche abbastanza cervello da sbrigarsela da sola. Non fosse stato per quel piccolo difetto probabilmente sarebbe stata perfetta. Ma oltre ad essere saccente era anche abbastanza femminista e indipendente. Non si preoccupava di potersi sporcare le mani perché lei era convinta che nulla fosse così puro da rimanere immacolato per la vita, per questo odiava vedere gli altri fare i moralisti davanti a lei. Andrea sicuramente non era mai stata una santa, più che altro una anarchica fai-da-te. Per questo quella missione semi-suicida non le andava a genio. Non aveva scelto di partecipare, non poteva giocare secondo le sue regole, e soprattutto doveva stare attenta a non torcere un capello a tutti quei NoMag, o il Macusa l’avrebbe sbattuta da qualche parte. Ma erano seri? Come era possibile fare tutte queste cose insieme senza commettere neanche un errore? Per cosa, poi? Il suo umore per giunta non migliorò neanche quando, piegata per terra, si accorse delle schifezze che erano sparse per il pavimento della metropolitana. Quella non era una stazione, era una discarica! Come se non bastasse, chinata com’era e guardando tra le gambe dei passanti, si accorse di un cane al guinzaglio che si apprestava a fare i bisogni in un angolo della metropolitana, non lontano da lei. Infuriata com’era si alzò di scatto e puntò il dito contro il proprietario dell’animale, un ragazzino che sembrava essersi appena fatto una dose di erba magica. «Ehi! Questa non è una toilette per cani! Tu e il tuo amichetto sparite da qua se non vuoi che ti lancio un..o zoccolo!» sì, stava per dire incantesimo, ma non lo fece, e questa cosa la rese ancora più irascibile di quanto già non fosse, ma nonostante la frase ad effetto finita male il ragazzo sembrò abbastanza spaventato da trascinarsi via il cane che non apprezzò quel cambio di programma. Nel frattempo Rea perse di vista, o, meglio ancora, si dimenticò completamente della sua collega Kimiya che come lei era in cerca di tracce. D’un tratto, però, si accorse di qualcosa a terra, una macchia rossa che si allargava lentamente. Ma non appena si chinò un uomo le si avvicinò preoccupato. Se non fosse stato un NoMag era certa le avesse lanciato un Legilimens perché le disse esattamente quello che Rea stava aspettando da tutta la giornata. «Sembra che il problema sia in una stazione del Queens, ci vorrà un po’…» Rea si sollevò da terra, dimenticandosi della macchia rossa che evidentemente non aveva alcun valore. Che si trattasse di succo o di sangue vero, ormai non aveva più alcuna importanza perché la fonte del problema non era più alla Grand Central Station ma nel Queens. Per una volta che Rea avrebbe potuto ringraziare sinceramente qualcuno non lo fece. Piuttosto rimase immobile a fissare l’uomo con un ghigno, anche se non era lui che stava fissando. Si concentrò su un punto qualsiasi e pensò. Prossima mossa sarebbe stata quella di andare nel Queens, ma come? Voleva materializzarsi ma c’era troppa gente anche se con ogni probabilità non si sarebbero mai accorti di lei visto il caos che c’era in circolazione. Perciò l’unica possibilità era quella intrufolarsi nel tunnel per allontanarsi dalla calca e cogliere il momento giusto per sparire da lì. E così fece. Facendosi largo tra i NoMag arrivò all’inizio di una delle bocche del tunnel dal quale sbucavano le metropolitane. In altre circostanze non sarebbe stata un’idea molto intelligente ma ora doveva essere sicuro, no? La metro aveva accumulato talmente tanto ritardo che secondo i tabelloni non sarebbe arrivata fino a domani. Proseguì con molta calma, accertandosi che nessuno la vedesse, e andò oltre, dove il buio si infittiva sempre di più e la puzza di umido le riempiva le narici. Si voltò. Da lì sicuramente non l’avrebbe vista nessuno. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi nonostante il frastuono ormai in lontananza. Liberò la mente fissandosi solo e soltanto sulla sua destinazione: la stazione del Queens. Il suo inconscio era già lì, ed era già in cerca di indizi. Respirò profondamente, e dopo che ebbe girato sul posto, quando riaprì gli occhi si accorse di non essere più a NY. Poi, un pensiero: «Dannazione! Kimiya! E ora come avviso l’altro cercando di non pensare a quel piccolo particolare, iniziò a girovagare per quella stazione. Le cose, forse, si stavano facendo interessanti anche per la Dumont.

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    Edited by Wizarding World Master - 29/8/2018, 12:07
     
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    Mentre l’attenzione dei tre maghi era concentrata sulla ricerca dell’origine del guasto, sugli operai che si stavano dirigendo sulla scala Ovest, per scendere in quello stesso cunicolo che aveva imboccato Andrea Dumont, qualcuno iniziava ad accorgersi che l’entrata principale della Grand Central Station era stata chiusa.
    Una piccola folla iniziava a radunarsi dinnanzi al cancello che sembrava non volerne sapere di aprirsi. Qualcuno iniziava a spazientirsi minacciando di sfondare la porta, un giovane avvocato con le braccia piene di fascicoli minacciava di fare causa al distretto newyorkese per sequestro di persone ed un gruppetto di turisti, con le spalle cariche di sacche da viaggio, iniziava a guardare confusa la mappa delle città.
    << Non hanno nemmeno avuto la decenza di mettere un avviso per il guasto!>> aveva replicato qualcuno dal gruppetto NoMaj. Era un problema da risolvere al più presto. Le porte dovevano essere riaperte con discrezione o quanto meno doveva essere giustificata la loro chiusura: o il rischio che qualcuno si accorgesse che le porte erano state sigillate magicamente era concreto.
    Qualcuno aveva notato la Pearson ferma in un punto, qualcuno le era sfrecciato accanto troppo interessato a raggiungere l’ufficio in tempo che a preoccuparsi di una sconosciuta ma una giovane tirocinante, con uno stetoscopio ad avvolgerle il collo come una collana, non aveva esitato un solo istante.
    << Soffre di pressione bassa? Signora? Signora, venga è forse il caso che si sieda per riposarsi...>>
    Andrea Dumont intanto sgusciava nelle tenebre, non vista ed indisturbata, infilandosi nel cunicolo sotterraneo. Per il momento il rischio che un treno passasse era molto basso per via del guasto, ma doveva fare attenzione. Intanto la poca luce che proveniva dalle sue spalle iniziava ad affievolire, ed un vento caldo soffiava nel suo orecchio sinistro, spostandole i capelli.


    Ho rimosso lo spoiler off gdr dal post di Andrea, per questo tipo di comunicazioni usate la discussione in Esperienze, grazie
    ANDREA DUMONT ✖ IRVING GRAHAM ✖ KIMIYA PEARSON
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    Edited by Wizarding World Master - 29/8/2018, 14:18
     
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    Gli eventi che affrontiamo ogni giorno, passo dopo passo, sono sempre qualcosa di più macchinoso rispetto a ciò che i nostri occhi vedono e a ciò che la nostra pelle sente, svelando la loro ultima e vera intenzione solamente quando, ormai, il traguardo finale è già stato ampiamente raggiunto; dimostrando che, in fondo, non siamo altro che piccole pedine in una scacchiera molto più grande di quanto potessimo immaginare.
    Irving, dal canto suo, aveva trascorso interi minuti a cercare di spiegarsi il perché, quella mattina, si trovasse proprio lì, nella Grand Central Station, a quell'ora, in quei minuti, nel secondo esatto che sanciva la sua presenza in quel gioco complesso architettato da un volto senza lineamenti chiamato, comunemente, Fato. Pura casualità o semplicemente destino? La risposta non era mai sopraggiunta e quel vuoto, quella voragine, che si apriva proporzionalmente al trascorrere inesorabile dei secondi, riempiva ogni pertugio come un morbo, spazzando via tutto ciò che faceva parte di lui, che lo caratterizzava, che lo faceva essere Irving Graham in ogni suo più piccolo pregio fino al più grande dei difetti, annientando quel se stesso che un tempo splendeva fiero nelle tenebre dell'ignoranza; e chi diceva che diventare qualcun altro era una delle cose più difficili d fare nella vita..beh, non capiva proprio niente o non aveva mai vissuto addosso, come era accaduto a lui, qualcosa di tanto tremendamente drastico da condurti ad oltrepassare e addirittura ripudiare tutto ciò che, fino a qualche istante prima, era stato difeso a spada tratta e che da un certo momento non significava altro che un grande, immenso, mucchio di bugie e false convinzioni.
    Il viaggio in Inghilterra aveva, in effetti, cambiato radicalmente la percezione della realtà dell'Incantatore: il modo completamente diverso di gestire la vita e il rapporto con i NoMag avevano fatto riflettere il professore di Ilvermorny, trasportando la sua mente e la sua anima su di un piano d'angolazione maledettamente distante da quello che era proprio della società magica statunitense e, purtroppo per lui, non gli era stata affidata alcuna scialuppa di salvataggio. In effetti, da quando le sue cugine portarono alla sua attenzione l'operato del famoso Albus Silente, tutte le certezze che il trentaduenne aveva faticosamente, ma saldamente, costruito attorno a sé e ai suoi affetti, semplicemente...crollarono; come un castello di carta travestito da muro di cinta che viene investito da un lieve alito di vento.
    Cooperazione; accettazione; rispetto. Niente di tutto ciò ispirava l'operato delle alte cariche magiche americane ma lui, Irving, stava cercando di cambiare le cose: da quando era entrato a far parte del M.A.C.U.S.A., infatti, non si era mai stancato di provare a sensibilizzare le anime altrui; di provare a convincerli che, ormai, era tempo di cambiare registro. A volte col dialogo, a volte scontrandosi col corpo Auror al completo e con la Madama Presidentessa; ma ci avrebbe, comunque, sempre provato.
    La partita tra l'autorità magica, da un lato, e i NoMag e l'ignoto, dall'altro, proseguiva tra le urla incitanti dei signori e delle signore che riempivano la hall centrale e che sostavano di fronte al cancello magicamente chiuso, dando vita ad un brusio alquanto preoccupante per lui e tutto quanto, ai suoi occhi, pareva non avere un gran senso perché...perché sarebbe bastata un po'di cooperazione che, purtroppo, i suoi colleghi politici e non si rifiutavano categoricamente di prestare: e allora l'amarezza, il senso di essere perennemente incompreso, defraudato dal poco che prima possedeva, l'aveva ridotto a qualcosa di più simile ad un guscio che camminava solo perché doveva senza che lo volesse veramente, fregandosene dove tutto ciò l'avrebbe condotto, una volta raggiunta la fine. Si, era così che si sentiva perché sapeva di non avere neppure la forza di levare le tende e di tornarsene a Londra, lontano da New York e dagli Stati Uniti; da quel posto che tanto lo faceva star male ogni volta che qualcosa inerente a quella chiusura mentale riusciva a raggiungerlo. Vigliaccheria, quindi, unita ad un potente senso di colpa che gli faceva sempre più pensare che fosse giusto restare lì, in America, proprio per avere perennemente di fronte gli errori compiuti, come una lama di coltello conficcata nelle carni pronta a ricordargli di non commettere gli stessi errori degli altri. In un certo senso, dunque, forse si era autocondannato a restare in quella situazione. Se lo meritava per questo non voleva mettere alcuna distanza, continuando a soffrire senza poter dimenticare.
    << Va bene, cominciamo.>> sussurrò a se stesso, in un nuovissimo e genuino moto di autosostegno e motivazione, mentre con la mancina sfilava la sua Lancia d'Argento dal Mokessino legato all'altezza del polso destro e si limitava a seguire gli operai in blu lungo una scalinata che li avrebbe condotti, con ogni probabilità, dentro ad un tunnel. Era pronto a tutto e avrebbe usato di nuovo la magia se fosse stato necessario.
    Avrebbe guardato avanti; solo avanti e sempre avanti perché, malgrado tutto, chi si guardava indietro era perduto.

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  13. ladydie
     
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    LimpRecklessGuineapig
    La storia è maestra di vita, ma chi ascolta ancora gli insegnanti!
    Kimiya Pearson

    Aveva ufficialmente perso gli altri due, questo era chiaro, e a giudicare dalla confusione – e dalla bassa statura delle Pearson – non li avrebbe ritrovati tanto in fretta. Anzi, era probabile che non li ritrovasse affatto. Kim si lasciò sfuggire un sospiro, mordendosi le labbra … che fare? Poteva provare a parlare con qualcuno, tornarsene nella stanza adiacente alla stazione della metropolitana oppure banalmente tornarsene ai suoi studi e lasciar perdere quella storia assurda. Nemmeno i suoi viaggi l’avevano mai preparata a tutto quel caos incontrollato di NoMag: era sempre rimasta in ambienti accademici, o al massimo in lande desolate circondata da pochi altri studiosi. Una volta aveva visitato il mercato in Egitto … ma era fuggita dopo pochi minuti, spaventata dalla confusione e dal chiasso. Quindi, tutto il rumore americano non poteva che terrorizzarla.

    Kim si guardò attorno, appoggiandosi alla parete: l’unica cosa di cui era certa era che per far cessare il rumore, doveva fare in modo che ci fossero meno persone attorno a lei. Tanto valeva sbloccare la porta della grande stazione dunque, in modo che la folla potesse defluire … inoltre, una massa di NoMag così desiderosa di raggiungere un’uscita poteva essere pericolosa, non solo per Kim ma anche per gli altri NoMag. Dunque, aprire la porta era l’opzione migliore. Sarebbe di sicuro riuscita a pensare meglio senza tutto quel caos. Si ritirò in un angolo, cercando di non farsi notare e osservando la porta: era aperta al suo arrivo, quindi probabilmente erano stati o il professor Graham o l’altra tizia, quella scortese e con i capelli scuri, a chiuderla per … per un motivo. Probabilmente sul momento la decisione aveva senso. Kim prese un respiro profondo, stringendo la bacchetta fra le dita e puntandola verso la porta. Doveva spezzare l’incantesimo, per prima cosa, e quello che aveva in mente era roba da terzo anno: in genere, nemmeno lei riusciva a sbagliare cose così semplici.

    Finìte Incantàtem

    Lo sussurrò piano, aspettando che la magia facesse effetto. Per fortuna, era un incantesimo che non richiedeva movimenti particolari, ma solo la volontà di spezzare un incantesimo. Per sicurezza, dopo un istante aggiunse anche un secondo incantesimo, pronunciando la seconda formula che aveva in mente:

    Alohomòra

    Un incantesimo da terzo anno, e uno da primo. Richiedevano solo un po’ di concentrazione e nessun movimento particolare. Kim sperò seriamente che bastasse … e che la sua bacchetta non decidesse di ribellarsi.

    Insegnante di Storia della Magia ♣ Purosangue ♣ outfit

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  14. .reverse
     
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    23 y.o.
    ReaDumont

    Rea amava stare al centro dell’attenzione, o perlomeno al centro di alcune attenzioni, così come amava passare inosservata, specie se aveva in mente qualcosa di losco da fare. Mettersi in mezzo durante una discussione non era poi tanto difficile, bastava iniziare con qualche battutina ed il ghiaccio era rotto. Ovviamente, si prendeva tutto questo fastidio solo se aveva notato qualcuno o qualcosa in particolare fregandosene altamente del resto. Forse era per questo che non andava a genio alla maggior parte delle persone, ma a lei questo non importava. L’ultima cosa che voleva era stare simpatica alla gente. Fare la carina per cosa? Tutto ciò di cui aveva bisogno ce l’aveva già o poteva ottenerlo da sola. Non sapeva fare la gentile, in questo non era mai stata brava, o forse non ci teneva abbastanza, ma quanto a sgattaiolare o a farla franca davanti agli occhi della gente era infallibile. Rea osservava spesso il mondo da un angolo, per poi decidere se valeva la pena entrare in scena o rimanere in disparte e trovarsi altri passatempi, e questa specie di abilità, forse, l’avrebbe aiutata a passare inosservata in mezzo a tutti quei NoMag.
    Con molta incoscienza si era intrufolata in quel tunnel buio e tenebroso, dove la puzza di umido e di sporco regnava sovrana. Ogni tanto sentiva squittire e pregava Merlino affinché non si imbattesse in qualche topolino. Tentò una prima volta la smaterializzazione nel Queens ma evidentemente non funzionò dato che era ancora lì, a scansare animali e a rischiare la vita. Perciò continuò a camminare, inoltrandosi dove era sempre più buio. Forse avrebbe dovuto attivare un Lumos per vedere dove metteva i piedi e per non andare proprio alla moscacieca, ma l’idea di sapere dove stava camminando e cosa stava pestando le metteva i brividi. Toccare, mescolare, tagliuzzare tutti quegli ingredienti strani per le pozioni non l’aveva mai disturbata, ma ciò che stava affrontando quel giorno la stava mettendo davvero a dura prova.
    Fare luce in quel cunicolo buio avrebbe significato rischiare di essere scambiato per un faro di un treno in arrivo ma davanti a sé non vedeva più nulla. Pensò che forse era il caso di rischiare. O forse no. «Al diavolo i NoMag!» esclamò alla fine. Non solo poteva andare a sbattere la testa contro il muro, con la luce che diminuiva ad ogni passo, ma doveva anche preoccuparsi di quell’assurda gente? Rea non faceva discriminazione tra maghi e NoMag, se non gliene importava di uno non gliene importava neanche dell’altro, tuttavia non si era mai neanche preoccupata di suo padre, perché andarsi a scaldare tanto per una massa di sconosciuti? Fece per afferrare la bacchetta, e quando stette per pronunciare l’incantesimo si accorse che alle sue spalle la luce, già fioca, cominciava a diminuire velocemente. E lei non si era neanche spostata. Un soffio di vento caldo le spostò i capelli ed ebbe un brutto presentimento. Sentiva le rotaie sotto i suoi piedi vibrare e vibrò anche tutto il suo corpo. Si voltò di scatto e si accorse che un treno in corsa si stava dirigendo verso la sua direzione. PANICO. Mise in moto il cervello per cercare una soluzione, ma nessuna delle alternative l’avrebbe messa in salvo senza danni. La prima opzione consisteva nel tornare indietro, alla bocca del tunnel, e raggiungere gli altri pendolari, ma considerando la velocità con cui andava il treno difficilmente sarebbe arrivata prima lei per salvarsi. La seconda opzione prevedeva di tentare nuovamente la smaterializzazione nel Queens, ma se non aveva funzionato la prima volta cosa le faceva pensare che la seconda sarebbe andata a buon fine? E se si fosse smaterializzata di nuovo all’ingresso della linea 7? La conosceva meglio del Queens, non avrebbero dovuto esserci problemi, se non fosse per quei NoMag che si sarebbero chiesti da dove fosse sbucata. L’ultima opzione prevedeva, invece, un incantesimo: l’Aresto Momentum. Se fosse andato tutto bene avrebbe rallentato la corsa del treno anche se non l’aveva mai sperimentato su un corpo così grande. Era un incantesimo del secondo anno, avrebbe dovuto funzionare necessariamente. Per giunta, per quell’incantesimo, non era necessario neanche l’utilizzo della bacchetta e questo significava che non ci sarebbero state emissioni di luci che avrebbero potuto attirare attenzioni particolari. Tuttavia, se avesse esitato troppo prima di scagliarlo sarebbe potuta morire oppure avrebbe rischiato di farsi vedere dall’autista del treno. Calcolare il momento esatto era quindi indispensabile.
    Perciò optò per l’ultima opzione, nonostante avrebbe comunque tentato la smaterializzazione. Per quanto l’idea la facesse rabbrividire Rea sapeva che avrebbe dovuto aspettare almeno di veder comparire il treno davanti a sé prima di lanciare quell’incantesimo. Non l’avrebbe mai ammesso ma in quel momento iniziò a tremare. Lei non riusciva a vedersi ma lo sentiva. Con la mano sinistra si appoggiò alla parete arrotondata della metropolitana mentre i binari cominciarono anche loro a tremare sempre di più. Iniziò a respirare cercando di riprendere il controllo su se stessa. Si raddrizzò, e puntò la bacchetta davanti a sé, stringendola per darsi forza. I fari del treno cominciarono ad intravedersi, e subito dopo anche il treno. Adesso!, pensò. «Aresto Momentum!» scandì ad alta voce e con precisione ogni sillaba, nonostante Rea non riuscì nemmeno a sentirsi. E ora? Anche se l’incantesimo avesse funzionato il treno non avrebbe mai rallentato così velocemente per poterla scansare, quindi doveva per forza smaterializzarsi o nel Queens o sulla linea 7. Chiuse gli occhi, pensando intensamente ad uno dei due posti prima di roteare su se stessa.

    medimag ♣ pureblood ♣ lover

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    Edit Master: cancellate parti del treno in arrivo per autodeterminazione.

    Edited by Wizarding World Master - 5/9/2018, 11:41
     
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    [ESPERIENZA 2]: something lost
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    Tenendenosi discretamente a distanza per non essere notato, ma abbastanza vicino da poterli seguire senza perderli di vista, sembrava essere il piano ben riuscito del dipendente M.A.C.U.S.A. Dopo due rampe di scale, finalmente la serie in discesa parve essersi conclusa ed il manipolo di operai si fermò dinnanzi ad uno che invece che la tuta da lavoro indossava un completo quasi elegante ed un caschetto giallo. La luce da minatore accesa sulla sommità puntava dritta sul gruppo in divisa blu.
    << Non sappiamo di che natura sia il guasto, ma abbiamo localizzato l'interruzione a due miglia dalla Stazione di Vernon Boulevard-Jackson Avenue, lungo il binario est. >> La voce, squillante e decisa, rimbombava lungo le scalinate appena percorse, udibili chiaramente anche dal Gramh che manteneva una distanza di sicurezza. <<vi ricordo che c'è un treno bloccato in quel punto, dobbiamo raggiungerlo il prima possibile... gambe in spalla e mettiamoci in marcia.>> quello che sembrava il capo della squadra operai indicò i binari e poi il proseguire di un cunicolo. Il mago che li ascoltava poteva decidere di seguirli nella loro impresa, avviandosi alle loro spalle o se fare le cose più velocemente, alla maniera dei maghi e materializzasi nel luogo preciso del guasto.
    Proprio lì a pochi metri dal collega, appena oltre quello che la luce della stazione permetteva di vedere si trovava Rea Dumont. La giovane strega, spaesata e confusa dall'ambiente così poco magico che la circondava non aveva idea di come agire. Ancora una volta tentò di Smaterializzarsi ma l'indecisione sulla destinazione nella quale comparire non le rese possibile muoversi di un solo passo dal punto in cui era. Ora però la sua urgenza era quella di nascondersi dal gruppo di operai che si avviava a passo diretto lungo quello stesso cunicolo: se vista giustificare la sua presenza lì sotto sarebbe stato complicato.
    Intanto in superficie la docente di Storia della Magia rispolverava qualche incantesimo: il primo fallì miseramente, poichè l'incantesimo sul quale cercava di agire aveva un controincantesimo ben specifico. Non vista riuscì comunque ad eseguire l'incantesimo di apertura della porta, non eccelso ma sufficiente a permettere ai cardini che la tenevano incollata al suolo di aprirsi e dopo qualche deciso strattone della folla il portone si aprì.


    Andrea: parte di post invalidata per autodeterminazione.
    Materializzazione non riuscita, non posso scegliere io il luogo nel quale materializzarti.
    PROVA DI CAMUFFAMENTO: cerca di nasconderti dal gruppo di operai.

    Kimiya Pearson, Finìte Incantàtem fallito.
    Kimiya Pearson, Alohomòra incantesimo riuscito.

    ANDREA DUMONT ✖ IRVING GRAHAM ✖ KIMIYA PEARSON
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15 replies since 5/8/2018, 17:32   334 views
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