Goodbye Black Mamba

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    L a notizia era uscita con l’edizione serale del The New York Ghost. Ma io non ero abbonato a questo giornale ed ero stato informato di questo tragico avvenimento soltanto con una lettera che mi era stata mandata da Norbert Johnson, Grifondoro con il quale non avevo grandi trascorsi ma con cui condividevo una grande passione per il Quidditch. Quella sera non erano previste partite quindi il gufo nero del ragazzo mi giunse inaspettato, ma con un triste presagio. Le parole contenute nella lettera erano poche, veloci e avevo notato alcune sbavature sul inchiostro segno evidente che un paio di lacrime erano scese dal mittente del messaggio.
    Era morto.
    Idolo di entrambi ci aveva spinto a seguire il Quidditch e a entrare nella squadra della scuola io come battitore e Norbert come Cacciatore, lo stesso ruolo ricoperto da Kobe. Kobe era un giocatore straordinario che deteneva tutt’oggi il record di punti segnati in tutta la carriera. Era un idolo per diverse generazioni, era una fonte di ispirazione per chiunque si approcciasse a questo sport, ma soprattuto era un esempio di umanità che raramente brillava con la sua stessa genuinità.
    Kobe era americano, avrebbe potuto seguire la via del Quodpod, ma era troppo portato per il lancio della Pluffa nel Quidditch dove c’erano molte più squadre e anche molti più campioni con i quali competere.
    Non potevo credere, non volevo credere, a questa notizia motivo per il quale mi materializzai a New York per prendere una copia del giornale. Le facce sconvolte di chi mi circondava sembravano soltanto confermare la triste notizia e il titolo, nero su bianco, sul Ghost risaltarono come una condanna definitiva.
    Mi avviai al Blind Pig, amareggiato, triste e sconfortato da questa perdita improvvisa, una tragedia che mi toccava nel profondo come se si fosse trattato di un lutto di un famigliare.
    - Dean...- il mio migliore amico era di turno ma io non avevo molta voglia di parlare, anche se presi posto al bancone e lasciai i galeoni appoggiati per poter pagare - fammi un Villpile in memoria di Kobe -
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    Era rimasto in America più a lungo quel giorno, segno che il lavoro stava cominciando a dare i suoi buoni frutti. Mai Brad McNeal aveva deciso di lavorare fino a tardi di sua spontanea volontà, solo costretto dal padre qualche rara volta. Aver deciso di scrivere un saggio per avanzare una tesi ben specifica nel Mondo Magico, tesi che avrebbe fatto apprendere ai suoi studenti, era stata una delle scelte più ardue ma soddisfacenti mai presa. Aveva contattato la sua amica James Kennegan e le aveva chiesto di fargli da editore e lei, inaspettatamente, forse fiduciosa delle capacità dell'ex compagno di scuola, aveva accettato. Era arrivato il momento di scrivere seriamente e di darsi da fare per seguire il sogno della sua vita. Ci stava riuscendo, piano piano, ed era totalmente orgoglioso di se stesso e di come gli avvenimenti lo stavano aiutando in quell'arduo compito.
    Aveva deciso, dopo la chiusura della scuola, di continuare a scrivere a New York, al famoso Blind Pig. Ne aveva sentito spesso parlare ma solo poche volte c'era stato, con accompagnamento, visto il tipo di locale. Quello era il momento perfetto per andarci da solo. Con le pergamene sotto braccio, Brad si smaterializzò nella Grande Mela. Sapeva dove andare senza farsi vedere e senza essere seguito da nessuno. Certo, se qualcuno l'avesse beccato non avrebbe fatto una bella figura, dato il suo ruolo da insegnante, ma confidava che nessuno di conosciuto si potesse addentrare in zone così fuori dagli schemi. Mentre camminava preso e compreso tra le sue idee di scrittura, decidendo cosa fosse meglio aggiungere all'introduzione del saggio, McNeal sentì una notizia che lo fece raggelare. Lui era un amante del Quidditch, come quasi tutti gli scozzesi dopotutto, e se quel che aveva sentito fosse stato vero sarebbe stata una tragedia per lui, quanto per tutto il mondo dello sport. Ad ogni passo la voce della morte di Kobe si faceva sempre più comune e veritiera. Kobe era morto e con lui era morto un pezzo di Quidditch. Brad non era americano e non poteva immaginare cosa potesse dire perdere un giocatore connazionale di quel calibro, ma era pur sempre un suo grande sostenitore da quando era piccolo. Si ricordava perfettamente delle sue gesta, dei suoi tiri precisi al millimetro e della sua stupenda agilità. Era una leggenda e sarebbe stato ricordato alla storia, senza dubbio, come uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Brad buffò, scocciato, triste, abbattuto. Quasi si dimenticò di avere del lavoro da fare e, una volta entrato al Blind Pig, si avvicinò al bancone, senza nemmeno guardare se ci fosse un tavolino dove poter scrivere. La musica lo faceva concentrare, ma non quella sera. Quella sera non era in vena di sentire alcuna nota, perché qualsiasi canzone lo poteva buttare giù più di quanto già non fosse. Accanto a lui un ragazzo era ammutolito, intento a ordinare qualcosa di alcolico dati i galeoni poggiati sul legno. Fu la frase successiva ad attirare l'attenzione di un McNeal realmente a pezzi.
    "Per me un Aunty Vera's Rum, per favore. - aggiunse subito dopo il ragazzo. - Rendiamogli memoria assieme."
    Disse poi per far capire al ragazzo che non si trattava di un malvivente o che cosa, ma un semplice tifoso di Quidditch che si trovava sulla sua stessa barca.
    Posò i fogli di pergamena sul bancone per tirare fuori dalla tasca i galeoni necessari, come un'ameba, decisamente scosso. Posati sul bancone, si girò verso il vicino.
    "Quindi è vero, eh?! Non volevo crederci. Sono arrivato a New York sentendo questa notizia e... Mi ha sconvolto."
    Ammise. Perdere una leggenda come Kobe, ancora così giovane, era una tragedia per il Quidditch. Già immaginava gli amici, i giocatori moderni e tutti gli sportivi in generale rendere omaggio al campione con qualche Scintilla Bianca o Rossa in cielo.
    "Comunque io sono Brad, piacere di conoscerti. E scusami per l'intromissione, ma questa notizia non mi farà dormire, ne sono certo."
    Non cercò la mano del ragazzo per stringerla, non ne avevano bisogno. In quell'istante Brad e probabilmente anche il vicino volevano solo bere qualcosa di forte per buttare giù il dispiacere e pensare il meno possibile all'accaduto. In compagnia, forse, sarebbe stato più semplice.
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    Non avevo mai visto Dean senza un sorriso stampato su quella stupida faccia da culo che si ritrovava. Al funerale di sua nonna aveva passato il tempo a fare scherzi, nascondendo addirittura l'argenteria facendo imbestialire la zia, convinto di dover indossare anche in questo frangente un'atteggiamento da giullare di corte. Ridere era nella sua natura, ero convinto che avrebbero potuto cavagli gli occhi ma non strappargli dalle labbra il solito sorrisetto da cazzone che lo contraddistingueva. Era come privarlo del cognome. O del nome. Privarlo della sua stessa identità.
    Ma quella sera anche lui non aveva alcun sorriso con il quale rassicurare i clienti, gli amici, anche lui cresciuto con il mito di KB mentre ci fronteggiavamo sul campo di quidditch di Hogwarts, non sapeva celare il profondo sconcerto che la sua dipartita aveva causato.
    Con il capo chino sul bancone avevo deciso di lasciare che il mio migliore amico svolgesse il proprio lavoro senza interruzioni, senza distrarsi con la mia faccia sconvolta, cupa, perchè era giusto così.
    Estraniato dal tempo e dallo spazio, con l'opprimente senso di vuoto e di impotenza che solo questo tipo di perdite possono dare, non mi ero accorto di avere un compagno di sgabello finchè non venni interpellato direttamente.
    Annuii un paio di volte con il capo, riconoscendo lo stesso profondo senso di smarrimento sul volto del mio interlocutore, specchio del mio stato d'animo.
    - Non riesco nemmeno a ricordare che stavo facendo quando la radio ha fatto l'annuncio...- confessai, in quel modo genuino che si può fare solo con uno sconosciuto al bancone di un bar. La radio era la novità del secolo in America, portata con cautela nel mondo magico anglosassone e poi trapiantata in quello staunitense, sempre più rigido e conservatore dell'Inghilterra. - Ho sentito che è- mi arrestai al pensiero del verbo che avrei dovuto utilizzare, ma era ancora troppo presto per dire quel morto che avrebbe completato la frase - in volo. Quanti rischi avrà corso in vita sua? Centinaia... e poi... così- proseguii con voce incredula, tremante.
    Ancora si sapeva poco delle dinamiche che avevano spezzato la vita di uno dei più grandi del Quidditch mai esistiti, non solo per i successi conquistati sul campo, ma per il suo modo di arricchire i compagni, migliorare e motivare la squadra, e soprattutto per i successi ottenuti fuori dal campo. - Sarebbe potuto diventare presidente del M.A.C.U.S.A. dopo la Picquery- commentai concludendo un ragionamento solo mentale.
    In quel momento dare un nome al mago che mi stava accanto, compagno in quella sera carica di tristezza, improvvisato confessore sembrava così superfluo, eppure necessario per aggrapparsi alla realtà. - Io sono Nate - replicai allungando la mano verso di lui per stringerla.
    Dov'erano i nostri drink?

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    Lavorava al Blind Pig da ormai più di un anno e poteva dire di aver visto cose che certi umani potevano soltanto immaginare. O sentirsi raccontare come leggenda metropolitana. Beh, lui avrebbe potuto confermare che tutte le leggende avevano un fondo di verità. Aveva assistito ad una retata degli Auror, che erano rimasti seduti sotto copertura durante tutto lo spettacolo di Ellen, per poi esibire distintivo e arrestare tre maghi sbattendogli la faccia sul tavolo. Aveva visto uomini dal dubbio gusto accompagnarsi con ragazza che avrebbero potuto essere loro figlie, diverse ogni sera che passava. Aveva assistito, proprio davanti ai suoi occhi perché era avvenuto lì sul suo bancone, al traffico illegale di quello che sembrava un uovo di drago e anche allo scambio di qualche tipo di erba non propriamente medica. Avventori avevano rimesso su ogni superficie del locale, dal bancone al pavimento, ma persino sugli sgabelli e sui tavolini della sala ed altrettanti avevano provato ad avere rapporti sulle medesime superfici. C'erano state risse di ogni genere, dalla scazzottato per un commento troppo spinto alla rissa che aveva coinvolto più della metà della sala, con sedie e bottiglie spaccate sulla testa. La vetrina portabottiglie alle sue spalle era stata distrutta, insieme con le bottiglie piene e alcuni bicchieri esposti, almeno 3 volte, e solo nel corso di quell'anno. A san Valentino c'era stato un evento con baci ovunque, a St Patrick non aveva contato la gente vestita di verde o ubriaca, in estate qualcuno aveva allagato il Blind Pig per fare una piscina, a Natale frotte di gente si era riversata in fuga da cenoni con i parenti e a capodanno non ci si riusciva quasi a muovere. Poteva dire di aver visto il meglio e il peggio del locale dalla sua postazione privilegiata, ma non era stato uno spettatore passivo. Aveva fratturato un paio di nocche per tirare un cazzotto a uno che era saltato dietro al bancone cercando di rubare delle bottiglie di whiskey, più di una donna era stata conquistata con passionali baci sopra quel bancone, alcune avevano avuto anche la fortuna di fare un tour privato del magazzino e di un altro tipo di parco dei divertimenti, aveva versato litri di alcol ovunque fuorché in bicchieri, infilato la faccia in prosperosi seni e le mani in profonde tasche per scovare gli ultimi galoeni con i quali far pagare i cocktail.Lavorava al Blind Pig da ormai più di un anno e poteva dire di aver visto e fatto cose che certi umani potevano soltanto immaginare.
    Ma quel giorno era successo qualcosa che mai si sarebbe immaginato di vedere nel locale più malfamato di tutta New York. Era stato Big George a dare per primo la notizia. Era entrato barcollando nel locale, il volto stravolto e il puzzo di birra scadente presa già a ora di colazione, biascicando che Kobe era morto. Nessuno gli aveva creduto e tutti si erano fatti una risata. Poi era stato Fanculo Fred, uno dei peggiori gangster della malavita, a riportare la notizia mentre ancora le risate di prima aleggiavano nella stanza. La certezza di molti aveva iniziato a vacillare. Ellen che aveva iniziato il turno da poco riportò a Dean Lawrence le prime indiscrezioni, voci dell'incidente che c'era stato, coincidenze che sembravano essere tratte da un romanzo del Ghirigoro. Non ci aveva voluto credere, ma sul petto aveva iniziato a sentire l'opprimente peso dell'angoscia. Poi le notizie si erano susseguite, rapide, veloci come i proiettili di una rivoltella. Da semplici voci fuori dal coro, pettegolezzi, si era arrivati tutti a raccontare un'unica versione dei fatti con una costante ben precisa. Il più grande giocatore di Quidditch se ne era andato. L'animo frenetico del Blind Pig, inarrestabile e scorretto nello stile, si era bloccato. Tutti entravano con la faccia sconvolto, lo schiamazzo che faceva da sottofondo ai suoi turni lavorativi si indeboliva a bisbiglio, ogni tanto un singhiozzo interrompeva l'immagine da duro che si erano costruiti negli anni. Dean si muoveva a rallentatore, svolgendo azioni elementari e consuete: ghiaccio, versa l'alcol, mescola, aggiungi lo zucchero, limone, lava il bicchiere, pulisci il bancone, incassa i galoeni, segna il nuovo ordine, ripeti. Ma non era davvero presente a se stesso in quello che faceva, come se il suo campo visivo fosse sfocato e l''unica cosa messa a fuoco fosse l'immagine di Kobe. Non sapeva quanto tempo fosse passato tra la conferma di quella terribile tragedia e l'arrivo di Nathaniel nel suo volto visivo. Forse si erano salutati, forse gli aveva anche sorriso, ma non avrebbe saputo dirlo. L'amico gli ordinò un Villpile, un altro avventore un Rum.
    Annuì, senza dire una parola, voltandosi e preparando i due drink. “ Ecco qui... sono 10 Galeoni FOR+10 per il rum, mentre per te Nate è 12 galoeni FOR+10 . Non devo ricordati di non superare un certo limite perchè questo Villpile è nocivo vero?” avvisò il suo migliore amico, cercando di concentrarsi sui questo evento. Come colto da un'illuminazione il suo sguardo si spostò sulle sedie accanto al Crawford nella speranza di avvistare la più piccola di famiglia, ma il volto di Hedel non si mostrò davanti ai suoi occhi.
     
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    Brad non era un cliente abituale del Blind Pig, ma poteva scommettere che giornate come quella poche volte erano capitate. Dopotutto si trattava di uno dei Pub più ricercati d'America proprio per l'ambiente rumoroso, forse anche inappropriato per alcuni maghi o streghe, come ministeriali o, più facilmente, come professori di una scuola. Eppure, quella sera, sembravano essere tutti spaesati, sembravano essere tutti lì solo perché dovevano essere lì; un'abitudine, quella, che alcuni avventori difficilmente riuscivano a cancellare, anche dopo quelle brutte notizie. Come si poteva ridere, festeggiare, ballare e cantare quando una leggenda sportiva diceva definitivamente addio non solo al Quidditch giocato, ma anche ai tifosi, alla famiglia, al mondo intero? McNeal era come tutti i presenti, nulla di più, nulla di meno. Era in preda allo sconforto, con lo sguardo perso e un senso di vuoto che pervadeva il suo animo. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa pensare, probabilmente le pergamene sulla quale pensava di poter scrivere qualche riga con il jazz di sottofondo sarebbero rimaste intonse così come le aveva lasciate una volta uscito da Ilvermorny. Si trovava lì solo perché c'era capitato, tutti i buoni propositi e le precedenti idee erano finite nel cesso come ci finisce una pozione sbagliata, o una piuma bruciata dopo un incantesimo lanciato male.
    Si era seduto al primo sgabello davanti al bancone perché di cercare posto al tavolo non ne aveva le forze. Solo poco dopo si era reso conto di avere un vicino e lo stesso vicino era identico a lui, sofferente per una perdita che andava ben oltre un lutto di una celebrità. Il vuoto che aveva lasciato Kobe era incolmabile, davvero. Strinse la mano a Nate, dopo che quest'ultimo gliela porse, per non risultare scortese. Sorridere era impossibile, ma Brad apprezzò moltissimo l'espressione usata dal ragazzo. Kobe era in volo, l'ultimo volo. Sentire che KB fosse morto era straziante; dirlo, forse, ancora di più. Le dinamiche della morte ancora non erano ben chiare, ma di certo si escludeva l'intervento di fedeli di Grindelwald o di auror eccessivamente violenti. La politica, quella volta, non c'entrava. Nulla poteva salvarlo, nemmeno i tanto amati Incantesimi di Segnalazione su cui Brad stava scrivendo il saggio. Il fato aveva deciso questo per lui e nemmeno uno degli migliori divinatori di questo mondo avrebbe potuto prevedere una morte così, dopo gli incredibili rischi che aveva corso in sella alla sua scopa.
    Nate aveva ragione, comunque: Kobe sarebbe potuto diventare qualunque cosa perché, oltre allo sport, era una persona magnifica amata e ben voluta da tutta la comunità. Se si fosse candidato come Presidente del M.A.C.U.S.A. sarebbe potuto essere tra i più papabili vincitori e così come in qualsiasi altra carriera avesse voluto seguire. Tuttavia, Kobe non sembrava il tipo da voler puntare così in alto, non più del volo della sua scopa almeno. A lui bastava essere un grande uomo e un grande padre e lo dimostrava ogni giorno della sua vita, con quel sorriso di chi ha passato tanti drammi, ma li ha superati nel migliore dei modi. Quel sorriso non sarebbe mai morto nei cuori dei tifosi, degli sportivi e dei maghi e delle streghe comuni.
    Arrivò il rum e con esso anche il Villpile per il vicino di sgabello. Brad afferrò il bicchiere, lo sollevò e lo guardò per qualche istante, pensando.
    "A Kobe. Alla leggenda che vivrà per sempre."
    Un brindisi, se così si poteva definire, per rendere memoria alla più grande leggenda di Quidditch (e non solo) di tutti i tempi. Bevve un sorso di alcolico fin troppo lungo, tanto da far infuocare la bocca e l'esofago. McNeal non mosse un ciglio, come incapace di reagire a quella sensazione di dolce dolore che stava subendo.
    "Cosa pensi succederà ora? A chi daranno la colpa, questa volta?"
    Domandò a Nate. I Ministeri dovevano trovare un colpevole per ogni cosa, poiché assumersi responsabilità significava rischiare la poltrona ed era impensabile che un ministeriale, soprattutto dei piani alti, potesse fare una mossa del genere. In quel periodo storico nulla poteva essere lasciato al caso, nemmeno dal più sincero dei politici. Brad si aspettava qualche tipo di discorso, qualche tipo di commemorazione speciale, ma chissà... Bevve un altro sorso di rum, con più calma questa volta. Stropicciò le pergamene che aveva davanti a sé, provando a leggere qualcosa, ma si accorse che gli occhi erano lucidi e non riusciva a distinguere le lettere. Era l'alcol? Probabilmente no, ma era il rum era il modo migliore per nascondere il dolore, il vuoto, la tristezza.
    "Tu giochi a Quidditch?"
    Domandò poi a Nate, per parlare un po' di quello sport che Kobe gli aveva tanto fatto amare.
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    Nel domandarmi dove fossero i nostri cocktail il mio sguardo era andato a posarsi sul barista, nonché mio migliore amico, Dean Lawrence. Sembrava muoversi a rallentatore, rispetto al frenetico ritmo con il quale ero abituato a vederlo sfornare drink e flirtare con una ragazza al bancone, estraniato anche lui dal tempo e dallo spazio come il sottoscritto. Distolsi rapidamente lo sguardo per evitare di farmi notare a osservarlo e per schivare il dolore che avrei visto anche nei suoi occhi che sarebbe stata un ulteriore coltellata al cuore. Il Villpile che avevo ordinato mi arrivò seguito da un ammonimento amichevole e sapevo che era un modo del Lawrence per dirmi di riguardarmi e che era abbastanza lucido nel dolore da potermi fare raccomandazioni. Sorrisi e annuii con il capo, prendendo il bicchiere e alzandolo come il mio imporrviaato compagno di bevute.
    - Ciao Kobe-
    Inghiottii il liquido con tanta velocità che se fosse stato uno shot lo avrei già finito. Il lungo sorso che deglutii immediatamente fece divampare l’alcol lungo la trachea e sulla lingua, un fuoco che bruciava piacevolmente, un dolore quasi avvolgente nel quale annegare per attenuare, almeno in parte, quello causato dal dolore della perdita. Un dolore improvviso per un evento inaspettato. Crediamo sempre che la morte sia qualcosa di lontano, che sia una cosa da comuni mortali e che non possa toccare i nostri idoli, quei vip baciati dalla dea fortuna così intensamente da aver conseguito il diritto dell’immortalità. E poi la vita aveva colpito duramente anche questa volta, ricordando a tutti noi quanto effimera fosse la nostra presenza terrena.
    Alla domanda su chi sarebbe stato incolpato di questo incidente scosso il capo, strappato al triste sentiero della caducità della vita sul quale mi avevano condotto i miei pensieri.
    - Non saprei... al costruttore della scopa? A chi gli ha dato il permesso di volare su quell zona che era comunque una porzione babbana, devono esserci delle autorizzazioni...- era rigenerante per la mente avere qualcosa di diverso dalla tragedia sul quale concentrarsi, lavorare era lenitivo. In effetti non avevo pensato al dopo... alle indagini, alle rilevazioni, agli imputati... ci sarebbe stato un processo? Il Wizengamot sarebbe intervenuto personalmente? Cosa sarebbe successo da questo momento in avanti era difficile dirlo, anche per qualcuno come me addetto ai lavori. Più o meno. - Forse, per una volta, non daranno la colpa a nessuno...- aggiunsi con una certa rassegnazione ma senza crederci davvero.
    Bevvi un altro sorso, ripensando alla domanda che mi aveva rivolto Brad, cercando di immaginarmi come sarebbe stato io futuro di quella vicenda. Era difficile dirlo, soprattutto perché mi sembrava di essere fisso e immobile, statico. Come se non ci si potesse muovere da questo preciso momento. Era strana la staticità che c’è subito dopo un evento come questo. Non si può fare nulla, se non aspettare che sorga il sole su un nuovo giorno. - A Hogwarts, nei Serpeverde... ma poi non era la mia strada, sono stato un Cacciatore mediocre.- risposi con un sorriso amaro, ripensando alle giornate trascorse sul campo di Quidditch, con scarsi risultati ma era il modo migliore per rimorchiare qualche ragazza. - Tu?- domandai, grato per questa distrazione e di questa conversazione sullo sport che Kobe ci aveva fatto sognare.
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    Salutare Kobe, per l’ultima volta, era stata forse la parte più dolorosa dell’intera serata. Significava ammettere che era davvero la fine, era finito tutto e non c’era nient’altro da fare se non accettare la morte dell’idolo. L’alcool bruciava dentro il corpo di Brad McNeal ma sembrava quasi non dargli fastidio in alcun modo. Se avesse voluto avrebbe potuto bere fino a stare male, fino a non riuscire a tornare a casa o, comunque, tornarci in condizioni pietose. Fortunatamente, il Professore, guardando quei pochi fogli di carta che si era portato con sé, riuscì a trattenersi dal commettere un enorme sbaglio, dettato da una condizione psicologica precaria. Era strano, sì, stare così tanto male, ma questa era la forza di Kobe: era riuscito a farsi amare, a farsi volere bene proprio come un amico, un fratello, con le sue interviste, con i suoi discorsi e con i suoi gesti. Era una persona squisita, un esempio di uomo che tutti avrebbero dovuto seguire. Sembrava pazzesco, eppure in quel momento la frase sono sempre i migliori ad andarsene per primi aveva un certo senso, seppur amaro. Brad non era pronto a vedere un campionato di Quidditch senza Kobe tra gli spalti, senza le sue considerazioni, senza il suo sorriso. Non era pronto a leggere sui giornali del funerale, né tanto meno, a leggere degli addii dei suoi compagni e di altre leggende sportive, sicuramente strappalacrime e struggenti. A trentuno anni, McNeal si rese conto di essere tremendamente debole e di soffrire più di quanto potesse pensare per la perdita di una persona a lui, inevitabilmente, cara.
    Con gli occhi persi a fissare il bicchierino di Rum, lo Scozzese ascoltò le parole del vicino di sgabello. Forse aveva ragione lui e, per una tragedia del genere, la Stampa e i Ministeriali non avrebbero dato la colpa a nessuno, stringendosi anche loro nel dolore generale del mondo intero. Era l’unica speranza che aveva, perché sentire stronzate a riguardo l’avrebbe solo fatto arrabbiare, e tanto. Cosa sarebbe successo da lì a poco era un mistero, solo il tempo avrebbe potuto dirglielo, ma Brad non era più in sé, sentiva un vuoto dentro che cercava di colmare con mille e più quesiti senza una reale risposta.
    Tuttavia, sentir nominare Hogwarts fece risvegliare da un flusso di pensieri poco positivi il Professore. Quasi le labbra si piegarono, provando a rappresentare una sorta di sorriso. La domanda che aveva posto era stata efficace a quanto pareva, sia per lui che per Nate.
    Di Hogwarts anche tu? Io ero Corvonero.
    Disse, cercando di ricordare quel volto, anche se troppo giovane rispetto a lui, quindi difficilmente erano stati compagni di scuola. Ascoltò poi le parole del ragazzo, curioso davvero di sapere la sua storia. Lo sport, bene o male, riuniva tutti gli animi, anche quelli completamente diversi. E quella era una dimostrazione: due sconosciuti si erano messi a parlare davanti a un cicchetto grazie al Quidditch, seppur in una situazione che sarebbe stata più che evitabile per la volontà di entrambi.
    Battitore, ero bravino, ma poi ho dovuto lasciare per lavoro. Non ho mai perso la passione, però, e infatti continuo ad allenarmi e, recentemente, ho chiesto al Proprietario di Accessori per il Quidditch, a Diagon Alley, di assumermi come Negoziante, quindi… Sono sempre a contatto con quel mondo anche se, lo ammetto, mi manca giocare.
    Ricordò velocemente i suoi campionati scolastici, giocati sempre egregiamente sin dai primi anni. Eppure, per colpa di suo padre e della sua società, McNeal dovette lasciare per concentrarsi sul lavoro. Seguiva, tuttavia, tutte le partite e non mancava mai di allenarsi, almeno fisicamente, per rimanere in forma e, chissà, magari ritornare sul campo di Quidditch un giorno. Aver ottenuto il posto da Accessori, infine, era stata la ciliegina sulla torta che aveva permesso a Brad di non abbandonare mai quel mondo magnifico.
    Se vuoi passare in negozio, comunque, mi farebbe piacere.
    Bevve un sorso, l’ultimo a dir la verità, così da stare zitto e non continuare il discorso. Cosa voleva ottenere? Cosa gli avrebbe fatto vedere? Magliette di Kobe o il magazzino delle scope, ricordi troppo dolorosi di quel giorno drammatico.
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