[ESPERIENZA 10] - mayday

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    [Esperienza 10]
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    M A Y D A Y

    chapter 1

    Attraverso i grandi occhi nocciola di Helena Afterwards il mondo appariva come un parco giochi di possibilità e buone intenzioni, un posto magico che la cattiveria del mondo dei grandi non aveva ancora infettato con il suo velenoso essere, un mondo che poteva essere dipinto con questi colori di speranza soltanto da una bambina di 7 anni. Alla sua età la più grande preoccupazione che avesse era fare in modo che Gerlad, il gatto dal pelo fulvo dei vicini, non spaventasse la piccola comunità di gnomi che infestavano il prato antistante alle loro case e il suo più grande sogno era poter avvistare una fata o un unicorno. Sapeva che era molto difficile che potesse accadere di vederli in una cittadina affollata e piena di insediamenti umani come era Hogsmede ed era per questo motivo che con sua mamma, Lia Graham, si avventurava ogni fine settimana oltre i confini della cittadina per andare alla ricerca di fate. Era il momento della settimana che preferiva, più della cioccolata calda con panna e dei pancake, lo aspettava con la stressa trepidazione con la quale ogni bambino babbano aspetta l'arrivo del Natale e dei suoi doni. Purtroppo, per un periodo di tempo che al suo giovane spirito era sembrata un'eternità, non avevan più potuto andare alla ricerca delle fate, ma la madre le aveva assicurato che d'inverno con la neve era improbabile che uscissero dalle loro case sugli alberi, preferendo il tepore domestico e per Helena questa spiegazione aveva perfettamente senso.

    Ma c'erano crude verità che agli occhi nocciola dell'innocenza venivano celate, verità che avrebbero strappato troppo presto dalla spensierata infanzia il cuore puro della bambina che doveva essere protetto. Era per questo motivo che Lia aveva raccontato alla figlia che dovevano interrompere le loro passeggiate per qualche mese, il fatto che fosse accaduto in inverno le aveva dato la possibilità di raccontarle quanto poco le fate amassero il freddo e che fino alla primavera non si sarebbero fatte vedere, una storia che aveva convinto quasi immediatamente la bambina, togliendo la madre dall'incombenza di dirle la verità. Infondo, si era detta rigirandosi nel letto in una delle molte notti insonne, era una bugia a fin di bene, non aveva senso preccupare Helena per il suo stato di salute, una questione che si sarebbe risolta nel giro di qualche mese. L'incidente, così definiva tra se e se il fatto, era avvenuto in un pomeriggio di lavoro nel suo laboratorio di manufatti. Lia Graham adorava collezionare manufatti babbani e magici, antichi e misteriosi, studiarne la magia che li animava o i componenti di tecnica innovativa che stavano sviluppando i babbani, comprenderla ed estrapolarla per re-inventarla e adattarla. Era un lavoro molto dispendioso, sia mentalmente che economicamente, ma la passione che l'animava non l'aveva mai fatta pentire della scelta di vita intrapresa. Certi periodi erano duri, da quando il marito era morto il suo stipendio bastava appena a mettere in tavola due pasti e per finanziare le sue ricerche, ma capitava di inventare oggetti che le venivano pagati diversi galeoni. Erano eventi occasionali e mossi da mera fortuna, si riteneva quasi miracolata se questo avveniva più di una volta l'anno. Ma la fortuna le aveva voltato le spalle quando, in una mattina di inizio ottobre, esaminando un misterioso manufatto di natura celtica - poteva dirlo per via di alcune incisioni che ricordavano le rune, ma non era nulla di simile al Fuþark antico- era esploso tra le sue mani. Istintivamente aveva lasciato cadere la scatole e la deflagrazione aveva intaccato con centinaia di schegge la sua gamba destra. Per questo motivo non aveva più potuto camminare per lunghi tratti per diversi mesi, impedendole di accompagnare Helena a cercare le fate. Mentirle era stato difficile, per una madre è sempre difficile nascondere qualcosa alla figlia, persino se è convinta che si tratti di una menzogna a fin di bene.

    Mano nella mano, Helena molto contenta di tornare a caccia di fate e mamma Lia a passo più lento del solito, stavano attraversando il cuore del villaggio magico passando per una High Street quasi deserta.
    Domenica mattina di un inizio primavera per le vie di Hogsmeade scorreva lentamente e placida, con volti ancora assonnati e solcati da profonde occhiaie, con gente ancora vestita come la sera prima, una ragazza che tornava a casa - o era appena uscita da una porta non sua- con i tacchi in mano incurante di camminare a piedi nudi in una strada che era sporca, fredda e probabilmente piena di germi. Un ragazzo con i primi bottoni della camicia allentati affrontava incurante il vento gelido, forse con troppo alcol in corpo per rendersi conto delle rigide temperature. C’era un gruppetto di studenti con alcuni libri sotto braccio che si dirigevano verso i Tre Manici di Scopa, discutendo già su come scaglionare le portate di cibo e caffè per garantirsi un perfetto apporto energetico durante il gruppo di studio. C’era una nonna che usciva da Mielandia, con una busta piena di caramelle e dolciumi per corrompere qualche nipotino. C’era l’intrecciarsi di volti nuovi e vecchi, di conoscenti e sconosciuti, di passanti ignari l’uno dell’altro ma tutti comparse del quadretto che tratteggiava la vita del villaggio magico. E c’erano una madre con una gamba rigida e con qualche difficoltà a camminare e una bambina che, come un cane a guinzaglio che tira troppo trascinando il suo padrone, non vedeva l’ora di spostarsi dalla vita cittadina per avventurarsi in qualche sentiero alla ricerca di creature incantate.
    «Mamma, mamma, guarda!» cominciò a gridare Helena in un climax vocale in crescendo, tirando la madre con forza e poi lasciando andare la presa, divincolandosi dalla mano materna. «Helena, non ti allontanare. Helena! » la voce della madre si levò stanca e rassegnata, autorevole ma con la patina di chi conosce il suo interlocutore e sa che non lo ascolterà. La bambina, così come qualche passante richiamato da questo siparietto che bruscamente aveva interrotto il placido scorrere mattutino, non sentiva nemmeno più la voce della madre, troppo concentrata a rimirare il fantastico scintillio d’argento. Tra i presenti qualcuno riuscì a cogliere il «May-d-a-y» che proveniva a tratti dal colibrì argentato.

    Helena Afterwards in vita sua non aveva mai visto un Patronus. Non sapeva nemmeno cosa fosse, a cosa servisse, perché si doveva generare e soprattutto che ogni mago e strega abbastanza forte da generarne uno in forma completa poteva affidargli un messaggio. Nella mente della bambina quindi quel bagliore d’argento non poteva che essere una fata. Il cuore della piccola aveva preso a battere così forte che non riusciva a sentire i suoi stessi pensieri, si era dimenticata persino di dove si stesse trovando e della madre lasciata alle spalle, mentre aveva preso a correre a perdifiato dietro alla scia d’argento, scomparendo rapidamente dalla vista della mamma. Il sentiero che aveva intrapreso iniziava con la consueta pavimentazione di High Street ma si faceva via via più impervio e dismesso, e dove prima c’era il selciato di pietra lastricata ora iniziava a sorgere del muschio sempre più fitto e man mano la natura aveva preso possesso della via percorsa dalla bimba. Anche il Patronus, già troppo debole alle porte di Hogsmeade, si era dissolto lasciando la piccola disorientata e incapace di capire da dove fosse venuta.
    matthew ryle ✖ aries anaken black ✖ adeline walker
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