Lettera di famiglia

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    Draven Shaw

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    mattina
    hogwarts



    Sembrava un giorno come qualsiasi altro quando Draven uscì dai sotterranei per raggiungere la Sala Grande. Come tutte le mattine, infatti, era arrivato a fare colazione prima della maggior parte dei Serpeverde. Stava meglio da solo; eccezion fatta per il suoi compagni di squadra, non aveva molti amici. Si sedette a quello che, ormai, da quattro anni a quella parte considerava il suo posto preferito - di spalle ad una delle grosse finestre della sala - così da avere di fronte a sé tutte le altre case e cominciò a mangiare, guardandosi curiosamente intorno. All'arrivo dei gufi con la posta, la sala aveva già iniziato ad affollarsi di studenti e, di riflesso, Draven si era alzato per andare via, quando un barbaggianni grigio scuro atterrò vicino a lui lasciandogli cadere vicino una spessa busta delle lettere. Se la rigirò tra le mani, cercando il mittente, che non c'era, ma a caratteri piuttosto grandi e un po' incerti c'era il destinatario: lui, con tanto di secondo nome che in pochi conoscevano.
    Considerate le ultime conversazioni avute con sua madre e con il Preside, che aveva acconsentito a trasferirlo per un po' negli Stati Uniti, almeno finché non si fossero calmate le acque in Inghilterra, Draven non prese bene quell'anonima lettera... Ma l'aprì e comincio a leggerla: «Caro nipote, non so chi tu sia, nè in effetti, mi interessa davvero saperlo.
    Il mio nome è Adeline Walker, figlia dei rinomati e stimati Genophilius Walker e Lilien Shaw.
    I tuoi nonni ebbero di fatto, ormai parecchi Inverni fa, tre bambine: tua madre Cecilia, me, ed infine Ameliè.
    »
    Draven smise di leggere e accartocciò il foglio. Se era uno scherzo, non lo trovava affatto divertente. Uscì dalla Sala Grande, con la busta in mano, e raggiunse la Biblioteca. Si mise seduto in un angolo, ridistese il foglio che in preda al panico aveva rischiato di strappare e si mise a leggere tutta la lettera.

    «Il mio nome è Adeline Walker, figlia dei rinomati e stimati Genophilius Walker e Lilien Shaw.
    I tuoi nonni ebbero di fatto, ormai parecchi Inverni fa, tre bambine: tua madre Cecilia, me, ed infine Ameliè.
    La più piccola di noi, morta 26 anni or sono, spirando diede alla luce la sua unica figlia, che io presi sotto la mia custodia e a cui affidai per fierezza di sangue e di nome, il mio medesimo nome e cognome.
    Sino a qualche settimana fa, per via di un potente incantesimo obliviante immagino, non ero a conoscenza di avere una sorella maggiore nè tanto meno un nipote. Ad ogni modo, non mi interessa subentrare nella tua vita e spero ardentemente che tu non subentrerai nella mia.
    »

    Draven faticava a credere ai suoi occhi e, prima di poter proseguire, fu costretto a rileggere almeno un paio di volte l'inizio della lettera. Se non era uno scherzo e quella che gli aveva scritto era davvero una sua zia, lui non ne aveva mai saputo nulla, né da sua madre, né tantomeno da sua nonna. Non lo trovava strano, date le peculiarità che circondavano la sua famiglia e delle quali, ne era consapevole, non ne conosceva nemmeno la metà... Ma era strana la circostanza. Perché scrivergli proprio ora? Proseguì...

    «Mia nipote Adeline però potrebbe risultarti utile se mai ti servisse aiuto - perchè ti prego nuovamente di non venire a cercare me, con i miei innumerevoli impegni non potrei proprio star dietro ai tuoi problemi adolescenziali - . Quella ragazzina ha sempre avuto idee e modi di fare assurdi, perciò sicuramente sarebbe più che disponibile se avessi bisogno.
    La troverai a Londra, le mie ultime informazioni su di lei pare la identifichino come Medimag al San Mungo e come Ministeriale di non so quale livello, in quel covo di ignobili ed ignoranti ratti di fogna quali sono i "nostri" politici.
    Sperando che questa sia la nostra prima e ultima corrispondenza,
    Adeline Walker.
    »

    Si ritrovò a sopracciglia arcuate a cercare di dare un senso a quelle parole, senza inevitabilmente riuscire a smettere di pensare a quanto strana apparisse quella donna già solo nei modi di fare che esprimeva nella scrittura. Ma decise di non entrare troppo nel dettaglio su di lei, dato che aveva più volte esplicitamente chiesto di non essere in alcun modo rintracciata. Non voleva incuriosirsi troppo. Ma quelle rivelazioni erano... sconvolgenti.
    Doveva avvisare sua madre? Forse era meglio scoprire prima se quella lettera era vera. Insieme ad essa, nella busta, trovò un altro foglio piegato a metà: non appena lo aprì a libretto e ne sfiorò la pagina vuota, su di essa apparve un albero genealogico. C’era la nonna sopra sua madre, insieme alle altre due donne nominate nella lettera. C’era lui e lì vicino, sotto ad Ameliè, c’era Adeline Walker, omonima dell’Adeline Walker sorella di Cecilia, così come era descritto nella lettera.
    Richiuse tutto al sicuro nella busta e la nascose nel suo dormitorio. Quel pomeriggio non aveva lezioni e se fosse uscito presto, avrebbe potuto raggiungere il San Mungo e tornare per cena.

    pomeriggio
    san mungo



    Erano quasi le 16 quando, finalmente, Draven riuscì a mettere piede nell’ospedale. Dovette fingere di aver ricevuto un bolide in faccia durante un allenamento di quidditch per essere ammesso all’interno e chiese esplicitamente di Adeline Walker.
    Lo fecero accomodare su un lettino verde acqua in una stanza dalle pareti chiare e quello che percepì come un forte profumo di fiori che gli diede immediatamente alla testa, facendolo effettivamente sembrare stralunato come se avesse appena ricevuto un bolide in faccia.

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    Il globo di luce dorata che pigro vagabondava per la stanza, illuminava a tratti la schiena di Adeline Walker, china da ore sulla scrivania della sua camera da letto.
    Aveva speso così tutta la mattinata, a scrivere, lettere su lettere, da inviare nei più reconditi e malfamati buchi di cui ricordasse nome e indirizzo, memore di serate alcoliche – per le quali lei ai tempi era ancora troppo bambina per partecipare come se mai avesse voluto davvero parteciparvi, anche avendone la possibilità – in cui appiccicaticce dita di “amici” di sua zia Ada, avevano cercato di brancarla al suo rapido e silenzioso passaggio.
    Mai avrebbe pensato che quei malsani ricordi della sua infanzia le sarebbero effettivamente tornati utili: eppure, eccola lì, mentre con pressione veloce della mancina su una delle sue piume preferite, una dopo l'altra, sigillava le buste sopra le quali segnava per ciascuna un indirizzo diverso - nomi, luoghi e soprattutto bocche dal puzzo di alcool che sillabavano quegli indirizzi altrimenti impronunciabili, davanti a quella che credevano essere una innocua bambina – quale effettivamente era - stampati nella sua mente dorata come marchi a fuoco.
    Quando infine aveva chiuso e riposto su di una ordinata pila l'ultima busta, Adeline si era scoperta estremamente esausta.
    Si era alzata da quella sedia sulla quale le era parso di essersi messa seduta settimane prima, alzando le braccia sopra la testa per allungare la schiena indolenzita.
    Abe, il suo amato elfo domestico, silenziosamente le aveva indicato la colazione, ormai fredda, sul bancone della cucina, e la Bronzo Blu gli aveva abbozzato mezzo sorriso, muta, rivolgendo un ultimo sguardo a quelle lettere pronte alla partenza.
    Tutte, al loro interno, riportavano infine un'unica fondamentale domanda:
    Dov'era finita sua zia Adeline?

    I cinque giorni che si era data di tregua dopo la sconvolgente notizia per cui la sua unica parente di sua conoscenza in vita era scomparsa, erano passati estremamente in fretta.
    Tra il lavoro al Ministero e i suoi turni al San Mungo, le lancette dell'orologio non avevano mai corso talmente tanto: aveva anche fatto nuove conoscenze, tra un impegno e l'altro, e questo aveva aiutato ad alleviare un po' di quel peso che comunque, imperterrito, le era sempre gravato sul petto.
    Scaduti quei giorni ad ogni modo, la biondina si era data da fare: era tornata al Manor di famiglia, trovandolo vuoto – e quei grandi silenzi, le erano saputi così tanto di familiare – e lasciandolo la sera stessa con un sapore amaro in bocca.
    Non aveva trovato nulla, nessun indizio, nessun biglietto - tz, figurarsi se qualcuno come sua zia Ada si sarebbe mai preso il disturbo di rassicurarla rispetto a dove, quando, se sarebbe mai tornata.
    Ribaltando scrivanie, fogli, documenti di ogni genere e sorta della sua amata zia, una parte di lei le gridava che tutto quello era inutile, tutto quel darsi da fare, tutta quella preoccupazione, tutti quegli stupidi pensieri, tutti quegli ancora più stupidi tormenti.. sua zia era semplicemente in giro per il mondo, probabilmente per qualche suo dannato affare di lavoro, a svuotare bottiglie di costosissimo whisky posandole con poca grazia su altrettanto costosissimi tavolini di cristallo.
    Ma - perchè c'era sempre, un ma, un'altra parte di lei, la parte più assurdamente legata a quella donna, che tanto le aveva tolto quanto tanto le aveva dato, nel bene o nel male.. quella parte di lei in quel silenzio tanto familiare, in quel vasto vuoto delimitato da quelle alte pareti in fine marmo e legno pregiato.. quella lei che continuava a gridare un muto - Dove sei - DANNAZIONE! -

    A mani vuote, in piena notte, aveva fatto ritorno nel suo appartamentino nel centro di Hogsmeade, che mai le era parso tanto caldo ed accogliente.
    Silenziosa come non mai, come se viscide tracce di quel suo passato, di quella casa che era il suo passato le fossero rimaste addosso, si era buttata sotto ad un'interminabile doccia, per poi fare un piccolo cenno ad Abe e ritirarsi da sola nel suo letto.
    I giorni seguenti, tre per la precisione, oltre agli impegni quotidiani lavorativi, erano passati simili gli uni con gli altri. Sforzandosi però di fare tornare alla memoria voci, nomi e persone, alla fine, dopo quell'ultima notte passata insonne.. il risultato.
    L'uno dopo l'altro, quegli indirizzi e quei posti, quei nomi e cognomi, erano riaffiorati nelle pallide luci dell'alba, facendo in modo così, che Adeline potesse finalmente metterli per iscritto, chiedendo alla miglior rappresentanza della malavita britannica ed internazionale, se – in virtù della sua discendenza e del suo nome – qualcuno avesse dannazione notizie di sua zia.
    Così, quella pila di buste sigillate su quella scrivania.

    Di fatto, essendosi svegliata e messa a scrivere diverse ore prima del sorgere del sole, quando la ex Corvonero si buttò nella sua vasca in ceramica riempita di acqua bollente e sali, era appena mezzogiorno passato.
    La colazione era ormai andata, ma persino con la testa sotto la limpida superficie dell'acqua, i capelli dorati a danzarle offuscati attorno agli occhi, i suoni ovattati delle pentole smosse da suo elfo risultavano chiari nelle loro intenzioni.
    Mezz'ora dopo circa e la londinese stava mangiando quieta, mentre attimo dopo attimo si riprendeva quella pace dell'animo che tanto l'aveva aiutata nel corso dei suoi 26 anni di vita.
    Abe stava chiacchierando del più e del meno, cercando di distrarla ed aiutarla con il buon umore, e lei tranquilla lasciava trascinare i propri pensieri al ritmo caldo ed accogliente della sua voce, senza dare un vero peso ai contenuti ma lasciandosi cullare da quella sensazione, come in una bassa marea.
    Stava facendo tutto ciò che era in grado e le era permesso di fare.
    Dopo il suo turno pomeridiano al San Mungo avrebbe chiamato Gufo e lo avrebbe spedito con quelle dodici lettere verso i loro rispettivi destinatari.. ma per ora, null'altro.

    Alle 13 spaccate Adeline si era così immersa nel vociante e caotico mondo che aveva imparato essere suo nel profondo.
    Fasciata in un vestito dalle tonalità verde scuro, con una cinta marrone alla vita e sopra il camice da Medimag, i morbidi stivali che aveva ai piedi scandivano il ritmo frenetico con cui stava passando quella parte di pomeriggio: quasi correndo da un caso all'altro – a quanto pare un paio di Troll piuttosto irruenti si erano dati alla pazza gioia quel pomeriggio, in un'area di ristoro appena fuori città – solo intorno alle quattro si era potuta concedere una breve tregua che l'aveva vista passare più tranquilla in accettazione.. dove però, una voce squillante l'aveva quasi subito richiamata: c'era qualcuno, un paziente, che aveva richiesto la sua specifica presenza nel suo studio. E lì la attendeva.
    Nel complesso, Adeline era la solita Adeline alla soglia del suo piccolo ma accogliente ufficio: il leggero profumo di vaniglia che ancora si trascinava dietro dopo il rigenerante bagno caldo di poche ore prima la rassicurava mettendola persin quasi di buon umore, e la mente limpida era totalmente immersa nel lavoro che stava svolgendo.
    Una volta aperta la porta in legno così, un sorriso cordiale aveva incurvato le labbra piene della ragazza: -Buongiorno.- aveva esordito, richiudendo la porta dietro di sé per poi portare lo sguardo bicromatico sul paziente in attesa.
    Era giovane, un ragazzo probabilmente in piena età scolastica: aveva capelli corti di una bella sfumatura castana, e occhi verdi, proprio come l'iride destra che le aveva lasciato in eredità sua madre, Ameliè Walker.
    -Io sono Adeline Walker, mentre lei è..?- iniziò, sorridendo conciliante -Mi hanno riferito circa un colpo da bolide in volto e la richiesta specifica della mia presenza, è tutto esatto?-
    Chiese quindi l'attimo seguente avvicinandosi, lo sguardo bicromo di mare e di bosco che sondava con precisione chirurgica la figura ora di fronte a lei, alla ricerca di sintomi più o meno espliciti così com'era richiesto dal suo lavoro.
    -Solitamente questi incidenti sportivi non comportano gravi danni, ma dimmi tu quali sono i sintomi che percepisci.-
    Cercò infine di rassicurare il mago, allargando ancora di più il suo sorriso -A scuola, anche io avevo il mio posto in squadra. Battitrice, in effetti.-
    Erano già dispersi nell'aria i toni formali, che con Adeline avevano sempre avuto vita breve.
    Le piacevano gli occhi verdi di quel ragazzo, la cui sfumatura attraeva il suo sguardo senza neanche sapere il perchè.

    .. Senza ancora, sapere il perchè.
     
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    Draven Shaw

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    Più tempo passava disteso su quel lettino, più sentiva sormontare uno strano moto di agitazione. Era stata una buona idea andare lì per una lettera di cui non sapeva nient’altro che l’eventuale verità – ancora da constatare – scritta in essa? Forse aveva agito un po’ troppo d’impulso… E forse stava rischiando anche di mettersi nei guai, magari stava contavvenendo qualche regola di Hogwarts di cui non era a conoscenza. Ora si, che a quel pensiero, si sentiva male.
    Si mise a sedere e prese un respiro profondo. Si guardò intorno. Nonostante non gli piacesse l’odore dei fiori o della natura in generale, per quel che lo riguardava, e quell’essenza floreale nello studio medico gli avesse già dato alla testa, trovava estremamente piacevole l’ambiente. Lo faceva sentire a suo agio, per lo meno, ma comunque pensò di andarsene e fare finta di niente… Ma fu un pensiero rapido che dovette abbandonare subito, perché in quel momento la porta si aprì e, per restare nella parte, d’istinto tornò a distendersi sul lettino. Ora che ci pensava, non c’era niente che dimostrasse di aver ricevuto un bolide in piena faccia, tutt’altro, e, sebbene non ne avesse mai avuto il dispiacere, in un barlume di lucidità realizzò che probabilmente avrebbe fatto male, molto male e che sicuramente avrebbe lasciato segni evidenti sulla zona lesa dal colpo. Non era per niente credibile, ma in fin dei conti non serviva che lo fosse in quel momento. La bugia era bastata per entrare lì e aveva servito lo scopo: portarlo da Adeline Walker. Al suono della sua voce si rese conto di aver tenuto gli occhi chiusi per qualche secondo; forse perché voleva davvero fingere di stare male per restare lì ad indagare, o forse perché semplicemente non voleva dare un viso a quel nome. Una piccola parte di sé aveva sperato nello scherzo e che non esistesse nessuno con quel nome, perché realizzare di aver sempre avuto una famiglia dalla quale era stato tenuto lontano per tutta la vita, faceva presumibilmente più male di un ipotetico bolide in faccia.

    Buongiorno. - rispose secco, con la voce che gli si mozzò in gola. Bastò incrociare lo sguardo di quella donna per tornare a sentirsi dentro il moto di agitazione. Gli sembrò di avere delle api frizzole nello stomaco.

    Draven… - disse d’istinto, poi esitò. Mi chiamo Draven. - Era il caso di dirle il proprio cognome? Quello acquisito da sua nonna? Se ciò che diceva l’Adeline della lettera era vero, quel cognome era suo quanto della dottoressa che molto gentilmente gli sorrise.
    Si limitò ad annuirle, senza aggiungere altro per diversi secondi.

    Ho…mal di testa…credo… Io gioco da portiere. - non era per niente credibile, ma ormai non gli importava più. L’idea che potesse essersi messo nei guai con la scuola lo spronò a prendere in mano le redini della situazione e, di scatto, si sollevò con la schiena per mettersi a sedere.

    No, non è vero. Cioè, è vero che gioco da portiere, ma sto bene. – aggiunse subito dopo. Provò ad alzare lo sguardo sulla donna, ma incrociare i suoi occhi lo metteva in soggezione, così, in silenzio, si limitò a frugarsi nelle tasche per passarle la lettera.
    Prima di lasciare Hogwarts, aveva messo al sicuro nel suo dormitorio la busta e l’albero genealogico. Aveva pensato che se quanto scritto nella lettera era vero, aveva bisogno di un qualche tipo di assicurazione da mostrare a sua madre e, non sapendo se si potesse fidare o no di quell’Adeline, non lo aveva portato con sé. La lettera da sola conteneva sufficienti informazioni per avere una sua reazione.

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    Edited by Draven Shaw - 30/4/2020, 10:34
     
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    Le mani nascoste dentro alle tasche del suo camice, Adeline, mentre osservava con quieta minuzia quel ragazzo, di due cose era assolutamente certa.
    Primo: se davvero quel giovane mago era stato colpito da un bolide, allora doveva essere stato un bolide di gomma, magari dai tempi in cui frequentava lei quelle aule, gli allenamenti si erano evoluti – o involuti? - e adesso per causare meno danni ai ragazzi si utilizzava un'attrezzatura più leggera e meno.. beh, l'unico aggettivo che veniva in mente alla biondina legato a quelle piccole e bastardissime sfere incantate per fare male, il più male possibile era quantomeno aggressiva?
    Quindi, o l'ipotesi di attrezzi pseudo fasulli – e si parlava di Quidditch, avanti, cosa stavano combinando le scuole di quegli anni?
    O .. ”Qui mi si sa che stai dicendo tante balle”.
    Una piccola bugia bianca, dai.
    La ex Corvonero era troppo di buon cuore quando si parlava di esseri umani e creature magiche, natura, era troppo di buon cuore praticamente verso tutto e tutti difficilmente quindi avrebbe mai pensato a delle cattive intenzioni da parte di chi le sostava di fronte, tanto più quando chi di fatto aveva ora davanti.. era un ragazzo giovane e apparentemente mite come quel moretto.
    Ma torniamo a noi.
    Secondo: quel ragazzo era davvero, davvero alto.
    Accidenti, in piedi accanto a lei l'avrebbe superata almeno di una spanna, eppure se sedeva ancora tra i banchi, non avrà potuto di certo avere la sua età o più, anzi, se mai tutto il contrario.
    Adeline ad ogni modo, in cordiale silenzio, aveva ascoltato le brevi risposte del suo interlocutore:
    -Draven.-
    Aveva ripetuto brevemente, sorridendo gentile.
    Le creature magiche e le persone erano da sempre la specialità della londinese: e quella persona.. quel mago, in quei momenti, stava trasmettendo così tanto nervosismo che ad Adeline sembrava quasi di percepire l'aria vibrare, irrequieta, attorno alle loro due figure.
    Le dispiaceva, ed il muscolo cardiaco le si era fatto “piccolo piccolo” come si suol dire, all'idea che seppur in un ambiente tanto protetto come lo era un ospedale e ancor più il suo studio con lei dentro, quel mago sembrasse tanto a disagio.
    Neanche la guardava davvero in viso.
    -Ho…mal di testa…credo… Io gioco da portiere. -
    -Beh un ruolo da difesa anche tu quindi.- tentò quindi conciliante -a che anno..-
    Ma il movimento rapido che seguì, totalmente inaspettato, bloccò sul nascere le parole successive.
    Il ragazzo si era messo a sedere - accidenti se era alto rispetto a lei – e quel che seguì..
    -No, non è vero. Cioè, è vero che gioco da portiere, ma sto bene. -
    Oh beh, quanto meno così si confermava anche la sua prima ipotesi.
    Adeline sorrise, comunque -Beh se hai bisogno di parlare di qualcosa che può mettere a disagio..- ma il ragazzo si stava frugando nelle tasche, intento a trovare qualcosa.
    Poi, prima che potesse anche solo pensare di continuare a parlare, una lettera.
    Adeline la prese appena le fu porta, pensando per un brevissimo istante che magari, particolarmente irrequieto, quel ragazzo avesse preferito mettere per iscritto i propri problemi e/o domande.
    Ma quel pensiero, per l'appunto, durò assai poco.
    Appena dispiegata la pergamena infatti, le ci volle un millesimo di secondo alla londinese per riconoscere quella che per lei era la familiare calligrafia di sua zia.
    Ancora prima di concentrarsi sul contenuto di quella missiva, spontanea sorse la domanda -Quando hai ricevuto questa lettera?-
    Quella sera avrebbe spedito una dozzina di buste alla peggio malavita inglese e non, solo per sapere che diamine di fine avesse fatto sua zia Ada. E adesso quella lettera, quell'inconfondibile calligrafia? Dov'era? Cosa stava facendo? Perchè diamine consegnava una lettera destinata a lei ad un completo sconosciuto?
    La parola “nipote” dei primi righi, aveva infatti conquistato la sua attenzione: proseguendo però con la lettura... incredibilmente, quella missiva non era stata scritta per lei.

    Rabbia.
    Fu questa la prima, grande, travolgente emozione che pervase il petto di Adeline.
    Rabbia per quella scomparsa, rabbia per quelle settimane di pensieri e preoccupazioni, rabbia per quella donna che – non soltanto scompariva nel nulla più assoluto senza preoccuparsi della sua unica parente in vita lasciata da sola sempre, comunque, incredibilmente da sola, no, non si era limitata a questo MA ORA aveva avuto PERSINO la BRILLANTE idea di uscirsene con

    QUESTO.



    Mossa da un'emozione che di rado le aveva pervaso così mente e cuore, irrigidendole i muscoli come i pensieri – così improvvisamente immobile e silenziosa che qualcuno avrebbe potuto con facilità scambiarla per una fine scultura in marmo particolarmente realistica - lo sguardo di bosco e di mare in preda al caos, era fuggito da quelle parole, da quella pergamena, andandosi così a posare sull'unico altro principale protagonista di quel quadro..Draven.

    Paura.
    Fu la paura, pungente ed intensa, la seconda emozione che travolse la Bronzo Blu.
    Non le serviva qualche altra prova per constatare la veridicità di quelle parole, conosceva sin troppo bene sua zia e sapeva che tutto avrebbe desiderato meno che avere una nuova parentela da appiopparsi proprio tra capo e collo.. ma l'aveva in primis riconosciuta – perchè sì, Adeline sapeva bene che il solo aver scritto quella missiva, provava l'esistenza di uno dei gesti più affettuosi che la biondina avesse mai osservato e materialmente toccato da parte della propria zia: non era stata costretta a riconoscere quel nipote non voluto, né di fatto avrebbe mai voluto incontrarlo (come si era premurata di chiarire ripetutamente) ma in fondo.. si era assicurata che incontrasse lei, qualcuno che in caso di bisogno lo aiutasse e fosse presente.
    E contemporaneamente, si era assicurata che lei incontrasse lui.. che non si sentisse più così sola, abbandonata a sé stessa – e da lei.
    Anche se forse, su quest'ultima parte, l'inglese non aveva poi tutte queste certezze.
    Quella lettera, in tutto il suo splendore, di fatto riassumeva quello che da sempre era stato il loro rapporto zia-nipote: “Non ti volevo, nè mi sei mai interessata. Ma in fondo sei l'unica figlia di quella sorella che per me, a sua volta, è stata una figlia. Quindi stammi il più lontano possibile, che io farò lo stesso, ma abbi la decenza di non morire e non stare male, perchè potrei sentirmi vagamente in colpa in virtù del legame che avevo con tua madre”.
    Senza considerare poi, l'ambivalente “riconosco una nuova, indesiderata, parentela, ma lascio a te questa volta oneri ed onori, buona fortuna”.
    Ecco, sicuramente quest'ultima accezione di quella missiva, era la più vicina alla realtà dei fatti.
    Ma quindi, perchè la paura?
    Ad Adeline tremava l'animo ed il cuore, protetto sotto il suo costato.
    Aveva un cugino.
    Non era davvero sola, anzi, non lo era mai stata e questo... questo, forse, non causava in vero paura.
    Forse era qualcos'altro, qualcosa di molto più tiepido, molto più accogliente e dolce sul palato.

    -Sei davvero alto, sai.-
    Furono queste, stupidamente, le prima parole che dopo attimi parsi interminabili, fuoriuscirono dalla bocca della londinese.
    Finalmente Adeline Walker riprendeva vita, mentre scrollava un poco la testolina dorata e cercava lo sguardo smeraldo di quel mago.
    Quegli occhi verdi che aveva intravisto all'inizio, che le erano piaciuti tanto.
    Sbattè un paio di volte le lunghe ciglia, stringendo le labbra mentre pensierosa, ad un tratto, non sapeva assolutamente come comportasi e cosa dire.
    Accidenti, in 26 anni, era la prima volta in assoluto che si trovava di fronte ad un parente che non fosse sua zia.
    -Hai gli occhi verdi.- Iniziò quindi, mentre le labbra si allungavano in un sorriso imbarazzato -Mia zia ha sempre detto..- si fermò un attimo, riconsegnando al ragazzo la missiva che teneva ancora nella mancina -Beh, nostra zia, ha sempre detto che l'unico difetto genetico che mi porto dietro, è in realtà l'unico vero pregio che possiedo.-
    Carina e affettuosa come sempre, zia Ada.
    -Per.. beh l'iride azzurra pare sia della stessa sfumatura degli occhi di mio padre quindi..ma quella verde, per zia Ada è identica a quelli di mia madre.-
    Madre, sorella minore della madre di quel ragazzo. Ancora non le sembrava vero.
    -Tu..anche tua mamma aveva gli occhi verdi? O.. beh, tu hai ancora la mamma?-
    Ed ecco di nuovo, la paura.
    Lei era nata e cresciuta consapevole di non avere nessuno accanto, se non zia Ada. Per un attimo così, aveva quasi dato per scontato che anche quel ragazzo non avesse nessuno.. se non zia Ada.
    Ma adesso.. c'era la possibilità che non solo Adeline possedesse un cugino, ma persino una seconda zia, ancora in vita, e sperava di tutt'altro genere rispetto alla Adeline Walker con la quale era cresciuta.
    Sua zia d'altronde aveva due freddi occhi grigi..così distanti da quelli di Ameliè Walker.

    Così distanti dai suoi.
     
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    Draven era un ragazzo molto impulsivo, che reagiva sempre d'istinto seguendo un proprio e personale codice morale del quale nemmeno lui stesso conosceva i dettami. Era fatto così e basta... Sua madre aveva provato per anni ad inculcargli i suoi modi pacati e riflessivi, ma se da lei aveva ereditato i tratti del viso, il colore degli occhi, così come il fisico snello e atletico, il carattere lo aveva ereditato interamente dal padre. Non parlavano spesso di lui, forse ne avevano parlato di più quando Draven era ancora bambino, ma ricordava di tutte le volte in cui sua madre lo aveva ‘accusato’ di non riflettere prima di agire, hai l’impeto tedesco di tuo padre, gli diceva. Non aveva ancora avuto il piacere di conoscere un tedesco e appurare che quella fosse l’indole tipica del popolo, così come sosteneva sua madre, però era sicuro che almeno fosse quella di suo padre. E l’aveva ereditata senza possibilità di scelta, insieme al suo sangue babbano che gli aveva solo causato casini a scuola.

    Quarto anno… - rispose secco, senza troppe cerimonie. Gli sembrò maleducato non risponderle, ma non aveva molta voglia di intavolare una conversazione con lei. A meno che non avesse riguardato il motivo per cui si era trascinato fin lì a suon di bugie solo per constatare una verità. Si spostò di lato, così da avere le gambe ciondoloni dal letto e non restare ricurvo su sé stesso su quel lettino, ma si accorse che non stava abbastanza in alto, perché distendendo i piedi toccava il pavimento con la punta.. Ma almeno, adesso aveva la dottoressa Walker davanti. Sua cugina, di primo grado.. Così pareva.
    Non appena le passò la lettera, sentì come se un macigno gli si fosse tolto da sopra il petto; in qualche modo, aveva provato dei sensi di colpa per quella ragazza, perché quella che era stata sua madre era morta e chi l’aveva cresciuta l’aveva in qualche modo snobbata. E Draven non era affatto abituato a sentirsi così per altri, figuriamoci per un’estranea.. Era tutta l’assurdità della situazione a renderlo nervoso, agitato, preoccupato, per lei quanto per sé stesso solo perché stavano sulla stessa barca.
    Incrociò le braccia al petto e volse la testa di lato, come a voler ignorare ciò che gli stava capitando intorno. Aveva consegnato la lettera al vero destinatario e già da una primissima reazione alla grafia, Draven si sentì soddisfatto nel poter constatare che aveva visto in lei la reazione che si era aspettato da qualcuno in grado di riconoscere e quindi confermargli le verità di quelle parole. Poteva anche andarsene, a quel punto...

    Mi è arrivata questa mattina.. Da un barbagianni grigio, se può interessare. – disse poi, alzando finalmente lo sguardo ad incrociare quello di lei. Ormai era lì, tanto valeva cercare di capire che cosa avrebbe potuto comportare in lui, anzi, in loro, quella serie di notizie estranianti. “Non mi interessa subentrare nella tua vita”, aveva più volte ribadito quell’Adeline nella lettera e, sebbene snocciolando la questione fosse giunta alla conclusione che, almeno, avrebbe potuto far parte in qualche modo di quella che era sua cugina, in realtà erano solo le parole di una terza parte ad affermarlo; non poteva sapere se l’Adeline che aveva davanti avesse effettivamente interesse a far parte della sua vita. Glielo poteva solo dire lei stessa e, forse, era proprio questo il motivo di tutto.. Il motivo per cui Draven non aveva detto niente a nessuno di quella lettera ed era andato direttamente da lei. Magari, una volta tanto, il suo essere impulsivo sarebbe stato premiato, ma si disse che se la ragazza non avesse voluto avere niente a che fare con lui, se ne sarebbe fregato. In fin dei conti, non aveva avuto familiari fino a quel momento, stava benissimo anche senza. Aveva troppo a cui pensare per farsi distrarre da emozioni così stupide.
    Ancora con le braccia incrociate al petto, ma con lo sguardo alto ad osservare le varie reazioni che si palesarono sul viso di Adeline man mano che proseguiva nella lettura, si rese conto di essere sul punto di perdere la pazienza. Perché non diceva niente?
    Ma poi, al suono delle sue parole, semplicemente inarcò un sopracciglio.. Sorpreso da una tale nonchalance, tutto il resto parve scomparire.

    Quasi un metro e novanta. Nessuno si aspettava che potessi crescere di 35cm in due anni… – annuì, rispondendo stupidamente. Era diventata ormai una delle frasi che si ritrovava a ripetere di più nelle conversazioni, con gli amici, con i professori e con chiunque si fosse trovato a dovergli rifare le divise scolastiche e la bacchetta…
    In qualche modo, e non seppe spiegarsi come o perché – dato che non era mai stato un gran chiacchierone – il fatto di parlare come se nulla fosse lo tranquillizzò. Era ancora impaziente di capire se quella cugina avrebbe fatto o no parte della sua vita da quel momento in poi, ma si sentì perlomeno a suo agio. Riuscì a guardarla diretto negli occhi senza sentirsi in soggezione: aveva lo sguardo buono, che pensò fosse una gran bella caratteristica per un medimag, ma più che altro aveva un’eterocromia particolare, non tanto per l’occhio più chiaro, quanto per quello verde… Era lo stesso verde degli occhi di sua madre e dei suoi.
    L’ascoltò in silenzio, mentre esprimeva ad alta voce quanto Draven aveva appena pensato, e riprese la lettera per rimettersela in tasca; ma le sue parole, quel “nostra” gli fece inaspettatamente saltare un battito del cuore e le api frizzole ripresero a giocare a quidditch nel suo stomaco.
    Le annuì.

    Ho ripreso da lei… Il colore degli occhi e la forma. La forma di tutto il viso, in realtà. Le somiglio molto. Ma ha i capelli più chiari… simili ai tuoi, in effetti... – disse d’impulso, pentendosi immediatamente di averlo fatto. Era bastato così poco a fargli prendere confidenza? Era una sconosciuta e comunque non poteva essere certo che fosse sua cugina, la lettera poteva essere stata orchestrata da lei stessa, per… boh… non ne aveva idea. Soldi? Non erano poi così ricchi, anzi, col lavoro babbano di sua madre…

    Mio padre è morto che avevo più o meno otto anni. Siamo mia madre ed io da soli, abitiamo a Londra, ma io sto spesso a Hogsmeade da mia nonna… da Lilien, durante l’anno scolastico. – si corresse, per non sentirsi costretto a sua volta a dire un “nostro” che ancora gli stava dando fastidio nello stomaco. Ma perché continuava a darle informazioni? Aveva parlato più con lei in venti minuti che con chiunque altro in tutta la settimana e non voleva, non voleva parlare, non voleva condividere cose con lei… Le parole gli uscivano di getto come se non fossero sue. Maledetta impulsività.


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    -Mi è arrivata questa mattina.. Da un barbagianni grigio, se può interessare.-
    Quella mattina.
    Quella stupida lettera era arrivata durante quella stupida mattina, mentre lei - stupida - stava finendo di scrivere ed imbustare dodici - stupide lettere per quella stupida, stupida vecchia strega.
    Quella mattina.
    Significava che, ovunque fosse, qualsiasi cosa stesse facendo, quella stupida, vecchia strega.. era in salvo. Cosciente di sé – forse sin troppo -. Al sicuro – o quanto meno quella cosa più vicina all'idea di sicurezza che si poteva accostare ad una donna dai dubbi affari ma più che chiari gusti in fatto di alcolici.
    Adeline non si era resa conto di quel gelo nel petto, pesante e affilato quanto una spada di ghiaccio infilata giù per la gola sin dentro al costato, sino a che questo non parve sciogliersi, tutt' assieme.
    Improvvisamente, Adeline Walker, dopo settimane poteva respirare.
    Respirare sul serio, senza quel sottile ma trafiggente dolore che prima ad ogni ritmico alzarsi ed abbassarsi del petto, le feriva cuore e pensieri, lasciandola priva di ossigeno, ad annaspare nei suoi vani tentativi di sopprimere pensieri ed emozioni che altrimenti, se lasciati scorrere, l'avrebbero sommersa completamente senza più darle tregua ne appiglio a cui aggrapparsi.
    Ed Adeline Walker non ci sarebbe stata più, non come sino a quel momento era stata conosciuta, quanto meno.
    -Quasi un metro e novanta. Nessuno si aspettava che potessi crescere di 35cm in due anni… -
    Senza neanche rendersene conto, un enorme sorriso incurvò le labbra della biondina.
    Non doveva più preoccuparsi per sua zia Ada, almeno per il momento.
    Ed inoltre... aveva appena acquisito quel “quasi-un-metro-e-novanta” come cugino.
    Aveva un cugino.
    Un vero parente, una vera famiglia!
    La londinese stentava a crederci, mentre una miriade di pensieri e di domande si ingarbugliavano nella sua mente dorata, accavallandosi, inciampandosi gli uni con gli altri, in un vortice di emozioni del tutto estraneo ma mai così ben voluto come in quel momento.
    In piedi, quasi incantata dal suo interlocutore ora seduto proprio di fronte a lei, ascoltava la voce del giovane mago cercando di imprimere nelle membrane timpaniche ogni singola sillaba, ogni singolo suono da esso pronunciato.
    Se quello non era un miracolo, per la Bronzo Blu ci si avvicinava parecchio.
    -Ho ripreso da lei… Il colore degli occhi e la forma. La forma di tutto il viso, in realtà. Le somiglio molto. Ma ha i capelli più chiari… simili ai tuoi, in effetti... -
    Quindi, stava osservando un volto che riportava i lineamenti della sua famiglia.
    Una famiglia di cui né aveva mai saputo l'esistenza, né aveva mai sentito parlare, una famiglia che non aveva mai incontrato, intravisto sulle foto o sugli alberi genealogici..ma una famiglia.
    E poco importava, in realtà, se quella zia e quella nonna – aveva persino una nonna! Sua zia Ada le aveva detto che era scomparsa insieme al nonno secoli prima.. - di fatto non l'avessero mai cercata.
    Magari, come lei sino a pochi minuti prima, non sapevano della sua esistenza.
    Magari come per sua zia Ada, non gli interessava.
    Se c'era una cosa che dal suo passato e dalla sua infanzia Adeline aveva imparato, era che una relazione costretta, unidirezionale, in cui soltanto una persona su due tiene alla presenza e al calore dell'altro.. non è una relazione. Non è una famiglia – come non è una vera amicizia, un vero amore o Merlino sa cos'altro -.
    Nelle relazioni, quelle vere, quelle belle, piene, calde, alla base di tutto.. c'è la reciprocità.
    C'è la presenza, e l'affetto, e il tiepido calore di chi resta perchè è lì che vuole stare, senza obblighi né morale.
    Non le importava che quella seconda zia e quella nonna non si fossero fatte sentire né trovare in quei solitari e lunghi 26 anni.
    Le importava che Draven, appena ricevuta quella lettera di cui avrebbe anche potuto dubitare della veridicità, appena aveva potuto era venuto a cercarla.
    Diamine, si era pure inventato una scusa per poter uscire da scuola e raggiungerla sul luogo di lavoro!
    Lui l'aveva cercata, lui aveva scelto di trovarla, lui aveva scelto di esserci.
    Lui faceva davvero parte della sua famiglia.
    -Anche io ho perso mio padre.- la sua stessa voce quasi la colse di sorpresa quando prese parola, in risposta alle ultime parole del mago -La sera prima che io nascessi.. scomparso, morto, fuggito, non ne ho la più pallida idea.-
    Aveva lo sguardo bicromo incantato da quel mago, come se avesse avuto paura che svanisse al primo battito di ciglia, come se avesse avuto paura di perderlo o che si rivelasse essere un'allucinazione da mancanza di sonno e troppa caffeina assunta.
    Il sorriso tra le labbra però, non accennava a scomparire: -E anche io abito ad Hogsmeade sai, ho..ho un appartamentino proprio sopra i 3 manici, su High Street.-
    Piccola pausa, Adeline che cercava in tutti i modi di trattenersi da un solleticante tiepido desiderio che – conoscendola – avrebbe avuto infine la vinta su quel suo inutile cercare di limitare, lei, le sue emozioni e i suoi istinti.
    -Potresti.. potresti venire a vederla, una volta, se ti va. Magari per un pranzo, o una cena, Abe è meraviglioso in cucina - stavano iniziando a crollare tutte quelle finte pareti di carta velina che avrebbero dovuto trattenerla, la voce che faceva trasparire sempre di più il suo entusiasmo -Oh, giusto, Abe è il mio elfo domestico – comunque, altrimenti se ti va potremmo solo fare due passi in giro, magari potremmo prenderci un paio di Burrobirre – ti piace la Burrobirra? - io qui sono di turno sino a questa sera però magari domani.. lavoro anche al quarto livello del Ministero, se ti piacciono le Creature Magiche potrei portarti a fare una sorta di visita guidata! Però immagino che avrai scuola vero?-
    Non si sarebbe più fermata. Delle mille e uno storie di vita che da sempre l'avevano attratta e incuriosita, quella, quell'unica e sola storia.. probabilmente era quella che più avrebbe mai voluto ascoltare, dal principio sino alla fine.
    -In che casa sei stato smistato? E quali materie preferisci? Io amavo Pozioni, Erbologia, Cura delle Creature Magiche.. infatti beh, eccomi qui, in effetti.-
    Ridacchiò, prendendo finalmente respiro su quell'ultima conclusiva battuta.
    “Eccomi qui in effetti”.
    Ed eccola lì, in effetti, mentre all'improvviso si ritrovava con una buona dose di sani dubbi: magari, era stata eccessiva. Aveva esagerato, come suo solito, facendo crollare una diga che avrebbe travolto quel ragazzo, che magari, neanche aveva tutta questa intenzione e piacere di conoscerla, anzi.
    Magari neanche gli piaceva.
    Ma Adeline, speranzosa come pochi in quel mondo, prese comunque un respiro profondo, senza staccare gli occhi da quel giovane mago.
    Sarà stato grande e grosso, più grande e grosso di lei sicuramente, avrà anche avuto una famiglia alle spalle – di sicuro più di quella che poteva vantare lei - .. in sostanza, rispetto a quel che lui pareva avere, Adeline a quel moretto poteva davvero offrire pressochè poco e niente.
    Lei. La sua piccola vita, con il suo piccolo elfo, il suo piccolo gufo. I suoi mille e uno impegni lavorativi e le sue passeggiate domenicali. Le sue insicurezze, e la sua apparentemente sconfinata voglia di dolci alla marmellata di lamponi.
    Era solo.. lei.
    Ma a quel mago, avrebbe comunque dato ogni cosa le fosse stata possibile, anche i suoi "poco e niente".

    -Perdonami- disse infine, facendo spallucce -Mi sono fatta un po' trasportare.-
    Sorrise, mettendo a tacere una parte di lei che ancora fantasticava su futuri weekend passati con quel mago, su titoli di libri che avrebbe potuto consigliargli, su persino aiuti e suggerimenti che avrebbe potuto dargli con i compiti.
    Poi, considerando che aveva bene o male sopportato tutto quel mago .. con anche lei la sua buona quota di impulsività – a questo punto, di famiglia - la biondina si sporse in avanti, abbracciando delicatamente il ragazzo.
    Di fatto se solo lo avesse voluto, il moretto avrebbe potuto benissimo divincolarsi o direttamente evitare il suo contatto: sperò tuttavia che non lo facesse, avvolgendolo morbida con le braccia, solo per qualche istante.

    -Alla fine quello che volevo davvero dire è.. beh, benvenuto in famiglia, Draven.-
     
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    Non era una situazione facile da gestire. Pensò che non lo sarebbe stata nemmeno per qualcuno più inserito di lui in un vero e proprio ambiente familiare, perché era stato uno shock il solo ipotizzare di avere dei parenti di cui non aveva mai sentito parlare ed era stato così scioccante per tutta una serie di motivi, che andavano dal chiedersi perché sua madre non gliene avesse mai parlato, al perché ci fosse così tanto mistero alle spalle… Figuriamoci quanto difficile sarebbe stato realizzare che era tutto vero e affrontarne le conseguenze. Perché, certo, era stato semplice auto-convincersi che andare da Adeline fosse l’unica via rapida per capire meglio la situazione, ma la parte complicata doveva ancora venire… Parlarne a sua madre. Parlarne a sua nonna! Eventualmente presentare loro ad Adeline. E tutto questo, a pochi giorni dalla partenza per Ilvermorny. Era tanto a cui pensare… Troppo, per un ragazzino di sedici anni. Ma lei aveva un tale entusiasmo negli occhi che, almeno, Draven smise di rimuginare sull’ipotesi che potesse non voler avere nulla a che fare con lui. Forse, ciò che c’era scritto nella lettera, era vero. Lo stava interiorizzando ad ogni minuto che passava. Era una brava persona, che per lavoro si prendeva cura degli altri e che non aveva esitato neppure un istante prima di elargire per lui grandi sorrisi affettuosi.
    Non c’era abituato, tutto qui. E fin quando rimaneva in ascolto, andava tutto bene. Quando poi iniziava a fargli delle domande, si sentiva strano, non sapeva quanto in là poteva spingersi con lei; nonostante sentisse, per qualche motivo, di essere al sicuro con lei, non se la sentiva ancora di darle fiducia. Quando poi, presa dal momento, cominciò a fargli una domanda dietro l’altra, quella stranezza si trasformò in imbarazzo. Nessuno si era mai interessato così tanto a lui, era una cosa nuova… Provò un paio di volte ad aprire bocca per parlare, ma lei riprendeva subito e non voleva interromperla, così si ritrovò ad esternare la sorpresa per quell’entusiasmo con un paio di espressioni che si conclusero con una lieve risata, a sopracciglia corrucciate per l’incredulità della situazione.

    No, non fa niente. È divertente, in realtà… E' solo che non capisco perché ti interessi. - riuscì ad esordire, addolcendo l’espressione del viso.

    Ma: sono stato smistato nei serpeverde. Mia madre era una corvonero e quando ricevetti la lettera cominciò a dirmi che se avessi chiesto al cappello parlante di essere smistato in corvonero, mi avrebbe dato retta. Ma non capivo perché fosse così importante per lei, o per chiunque altro, scegliere senza sapere dove quella scelta ti avrebbe portato, così ho soltanto messo il cappello e mi ha detto “sei arguto, sei sveglio, intelligente e introverso, ambizioso” e tutta un’altra serie di aggettivi che non ricordo e concluse con serpeverde. Mi è andata bene così... – cominciò a raccontare, facendo spallucce. Però no, non mi piace erbologia e non me la cavo bene con gli animali. Sia piante che creature percepiscono se sei nervoso, così mi hanno detto, e non è il mio forte prendermi cura di… altro… - continuò, arricciando il naso e le labbra in una lieve smorfia. Me la cavo bene in pozioni. Gli incantesimi sono il mio forte. In particolare quelli di richiamo e quelli distruttivi, ho scoperto ultimamente… - proseguì, tornando a sorridere, divertito e ancora un po’ sorpreso. Era un tipo abbastanza curioso per natura, al quale piaceva osservare le persone e i loro comportamenti, ma solo come una sorta di studio perché sperava, un giorno, di diventare spezzaincantesimi, ma ciò non lo aveva mai portato ad avvicinarsi a nessuno in particolare, anzi, aveva piuttosto la tendenza a stare da solo, anche se non in disparte. Partecipava nelle conversazioni se ci si ritrovava in mezzo e non era impacciato, ma cambiava umore facilmente e difficilmente nel corso di una giornata tipo arrivava alla sera con la stessa capacità di sopportazione verso una o più persone che aveva incontrato quella stessa mattina. Era fatto così. E proprio mentre fermò, per un istante, quel flusso di informazioni per ricapitolare cosa mancasse all’appello, delle cose che gli aveva chiesto e aveva involontariamente saltato di dirle, si ritrovò stretto in un suo abbraccio. Quel gesto arrivò talmente inaspettato, che s’irrigidì e d’istinto si ritrasse indietro, ma fu solo per un attimo…

    Domani ho scuola. Domenica parto per gli Stati Uniti… in una specie di scambio culturale con l’Ilvermorny. Ma starò via solo un paio di mesi. Se vuoi… ti posso scrivere… - riprese a dire, con un tono che palesava del nervosismo, ma che era comunque gentile e non scontroso. Poi, si decise ad avvolgere di rimando le braccia intorno a lei, insicuro, ma teneramente.

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    Sull'onda dell'entusiasmo Adeline aveva davvero concesso poco fiato sia a a sé che al giovane mago.
    Una volta che però questo aveva preso parola rispondendo con diligenza al suo interrogatorio, la londinese era rimasta in ascolto, silenziosa, assaporando ciascuna di quelle piccole parti di una storia di vita che sapeva già a prescindere essere molto più complessa di così, ma per le quali ad ogni modo si sentiva enormemente fortunata essendone resa partecipe, anche se solo come spettatrice per quel momento.
    Arguto, sveglio, intelligente ed introverso, ambizioso.
    Serpeverde del quarto anno, portiere della sua squadra.
    Incantesimi e Pozioni ottima resa, meno portato per Erbologia e Cura delle Creature Magiche.
    Adeline si ritrovò senza quasi accorgersene a memorizzare quei piccoli-ma-poi-non-tanto-piccoli dettagli che caratterizzavano e rendevano unica la vita di Draven.
    Sorrideva, mentre al ritmo cadenzato della sua voce, mano a mano l'entusiastica gioia di aver acquisito un nuovo membro nella sua piccola – davvero piccola – e strana – davvero strana – famiglia, veniva sostituita da una più pacifica quiete, un tipo di calore diverso, che le faceva ancora vibrare sì il suo muscolo cardiaco, ma ad ondate più lente e profonde emanava un tepore dal centro del petto lungo tutto il corpo, percorrendo la colonna vertebrale, le braccia sino alla punta delle dita, il collo e la testolina dorata, sino agli occhi di bosco e di mare le cui iridi probabilmente stavano ben rispecchiando il bagliore che le illuminava da dentro.
    Con molta più calma di quanto poc'anzi avesse dimostrato perciò, la Bronzo Blu attese che il mago terminasse di parlare e quando questi si lasciò abbracciare, dopo un attimo di breve tensione, Adeline si sorprese della risposta nel gesto di quel ragazzo.
    Con un sapore agrodolce sulla lingua, il muscolo cardiaco vibrò di pura gioia per quell'abbraccio, che seppur breve, le seppe di casa.
    La mente dorata però, come sempre, non riusciva a smettere di lavorare.
    Tornò nella sua posizione originaria, di fronte al Verde Argento, rimettendo le mani in tasca ma continuando a sorridergli.
    Dunque, in ordine: -Il Cappello Parlante sa quel che fa, devi essere orgoglioso della casata in cui ti trovi. L'importante è che tu ti senta.. in famiglia. Il resto conta poco.-
    Ricordava bene quali fossero le etichette e gli stereotipi che si trascinavano da secoli quelle quattro casate, chi più chi meno. Lei però, agli stereotipi non aveva mai creduto.
    -Anche nostra zia Ada è stata smistata lì, all'epoca. Mia mamma invece è finita tra le schiere dei Grifondoro, ed io.. Corvonero.-
    Fece spallucce, dando alla questione “casate” l'importanza che lei le aveva sempre attribuito: poca.
    -Incantesimi e pozioni hai detto.. cosa ti piacerebbe fare quindi, una volta terminati gli studi? Per Erbologia e Cura delle Creature comunque non preoccuparti, se mai avessi bisogno, sai a chi chiedere.- ridacchiò con tanto di occhiolino complice, parlare con quel ragazzo era la cosa più estranea e al contempo familiare che le fosse mai capitata.
    Un piccolo sospiro infine, prese vita tra le labbra rosee: era perfettamente conscia del fatto che lei, nella vita di lui, aveva appena appena fatto capolino, così come viceversa lui in quella di lei.
    Eppure questo, non la esimeva dal provare un sincero dispiacere, all'idea che dopo aver davvero trovato qualcuno di tanto importante per lei - per come era fatta, per la sua vita e per come l'aveva vissuta sino ad allora - già doveva separarsene.
    Considerato poi quanto improvviso era stato il loro incontro-scontro e quanto altrettanto veloce sarebbe stata la partenza di quel giovane mago.. Quella stessa domenica, addirittura.
    Adeline non si sarebbe affatto sorpresa se, appena la settima successiva, avesse iniziato a credere di essersi inventata tutto di sana pianta.
    -Mi farebbe davvero piacere se scrivessi.-
    Disse così sincera, l'attimo seguente.
    -Sei fortunato a poter visitare un'altra scuola di magia, ti chiederò sicuramente i dettagli.- sorrise, ancora una volta, incrociando leggera le braccia al seno.
    La sua prima domanda, peraltro indiretta, che era rimasta ben impressa nella mente della bionda trovò infine in quel momento risposta, consapevole che in fondo, era la più importante di tutte.
    -Mi interesso perchè ci tengo. E so che può sembrare assurdo perchè, Merlino, sino a venti minuti fa non avevo la più pallida idea della tua esistenza su questo mondo.-
    Scosse un po' la testa, facendo un paio di piccoli passi indietro come se il peso – nel bene e nel male – di quanto stava per dire le fosse saltato improvvisamente addosso -Sono nata, cresciuta e ho vissuto la mia intera vita pressochè completamente da sola, Draven. Come avrai ben intuito, zia Ada non è mai stata così propensa a..beh, a me sicuramente.-
    Ma non voleva soffermarsi sui dettagli più tristi della sua infanzia, non con lui, non in quel luogo, non in quel momento.
    -E questo mi ha insegnato che bisogna accogliere nella propria famiglia, solo chi davvero ne vuole far parte. Ho anche conosciuto tante persone, ho avuto tanti amici e conoscenze nel corso degli anni. Ma nessuno si è mai fermato, alla fine..e d'altronde non ho mai voluto imporre niente a nessuno, come credo sia giusto che sia.-
    Fece un ultimo breve passo all'indietro, appoggiandosi così al piano ligneo della scrivania cui dava le spalle, sebbene lo sguardo non avesse lasciato un solo istante la figura del mago.
    -Ma tu..tu sei la prova vivente, che davvero sola in realtà non lo sono mai stata. Siamo legati dal sangue ma.. ma tu sei venuto a cercarmi. E questo per me, fa tutta la differenza del mondo.-
    ["Nelle relazioni, quelle vere, quelle belle, piene, calde, alla base di tutto.. c'è la reciprocità.
    C'è la presenza, e l'affetto, e il tiepido calore di chi resta perchè è lì che vuole stare, senza obblighi né morale.
    ..Le importava che Draven, appena ricevuta quella lettera di cui avrebbe anche potuto dubitare della veridicità, appena aveva potuto era venuto a cercarla.
    ..Lui l'aveva cercata, lui aveva scelto di trovarla, lui aveva scelto di esserci.
    Lui faceva davvero parte della sua famiglia."
    ]
    Accennò con un rapido gesto del capo alla lettera poco prima letta, in cui lampante si mostrava l'esempio di chi, invece, pur con lo stesso sangue di quella famiglia non voleva decisamente farne parte - ne in effetti, forse lo era mai stata.
    Il battito cardiaco aumentò, contrariamente agli attimi che nacquero e morirono in quei brevi istanti che per la strega parvero dilatarsi all'inverosimile: -Questo non significa che non darò anche a te la possibilità di scelta che ho sempre dato a tutti: puoi e potrai andartene, se questo è o sarà il tuo desiderio..ma da parte mia, sino a quel momento, ci sarò, se avrai bisogno o se semplicemente ti farà piacere avermi accanto.-
    Non sapeva che tipo di vita avesse alle spalle quel ragazzo, e appena poteva immaginarla: come fosse stato vivere e crescere con una madre, con persino una nonna accanto.. lei, la cui prima e unica compagna di giochi e di vita era stata l'eco dei suoi passi nell'ampio Manor di famiglia, il fruscio di infinite pagine sfogliate, e risate lontane, fantasmi di una dorata parentesi scolastica che tuttavia, com'era iniziata, così si era anche conclusa.
    Non sapeva Adeline, se a quel ragazzo fosse mai mancato qualcosa, fosse mai mancato qualcuno che gli fosse legato in un modo ed in una maniera unici: la londinese era stata legata per anni, solo per una discendenza di sangue, ad una strega che mai l'aveva desiderata davvero al suo fianco. Nessun desiderio, nessun affetto. Poi, era stata legata a diverse persone, persone che invece l'avevano desiderata – come amica, compagna, fidanzata – ma che alla fine, in un modo o nell'altro, se n'erano andati tutte. Nessun legame di sangue, desiderio ed affetto sì ma solo passeggeri, come una brillante ma fugace stella cadente.
    In 26 anni di vita quindi, di fatto, Adeline Walker non aveva ancora trovato nessuno a cui fosse o fosse stata legata e che alla fine.. a quel legame tenesse. Ci tenesse sul serio, sinceramente e spontaneamente tanto da poterci fare davvero affidamento. E tanto da poter ricambiare appieno, senza il rischio di ritrovarsi abbracciata ad un muro in pietra viva.
    Lei, che pur selettiva com'era, aveva così tanto da dare, così tanta presenza, e cura, e attenzione.
    Quel ragazzo era una possibilità, una possibilità vivente che davvero qualcuno si potesse dimostrare come reale, costante e sincera presenza nella sua vita. E tanto bastava alla londinese, per ora: una possibilità.
    Il tempo poi l'avrebbe magari sostenuta, magari no.
    Ma questa d'altronde era una storia ancora tutta da scrivere – e speranzosa e ottimista com'era Adeline Walker..

    “Dichiaro questa futura storia "felice", signor giudice, sino a prova contraria.”
     
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    Draven Shaw

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    Non appena Adeline si allontanò, Draven si rese conto che era durato molto quel momento, per essere un abbraccio tra due estranei e sentì come un improvviso freddo all’altezza del petto. Nonostante fosse pienamente consapevole di essere ritenuto un bel ragazzo, soprattutto negli ultimi tempi che con gli allenamenti di quidditch e lo sviluppo che lo aveva portato a diventare così alto, aveva acquisito un qualche tipo di fascino che faceva piacere alle sue coetanee, comunque non aveva avuto molte ragazze e comunque nessuna di loro lo aveva mai abbracciato così… con affetto. Si sentì in imbarazzo nel constatare che gli aveva fatto piacere quel calore familiare e sentì un’improvvisa mancanza di sua madre, come non gli capitava da anni a quella parte. Riabbassò lo sguardo, leggermente incupito, e si strinse nelle spalle, incrociando nuovamente le braccia al petto, più per sopperire a quella sensazione di freddo che per altro. Ma Adeline continuava a mostrare gentilezza ed entusiasmo e Draven si sforzò di sorridere nel modo più spontaneo e dolce di cui disponesse. L’ultima delle sue intenzioni era di metterla di cattivo umore; in realtà, non aveva mai pensato all’ipotesi di andare lì per sfogare la rabbia repressa che, ora che il momento divertente ed elettrizzante si era un po’ smorzato, risentì montare dentro al pensiero che gli era stato omesso per tutta la vita un dettaglio così importante della famiglia… Sin dal primo istante in cui aveva deciso di andare a cercare sua cugina, o quella che fino a pochi minuti prima aveva creduto essere solo una presunta tale, aveva pensato di farlo per scoprire la verità. Sebbene a spingerlo fosse ancora questa la motivazione più forte e ormai la si poteva considerare appurata, cominciò a considerare il rovescio della medaglia… Se sua madre non gli aveva mai parlato della sua famiglia ci dovevano essere dietro dei motivi molto, molto seri, che non osava nemmeno immaginare, ma che di certo aveva bisogno di scoprire il prima possibile. Per il momento, però, sentì più forte il bisogno di conoscere Adeline e passare un po’ di tempo con lei, prima della partenza per Ilvermorny.
    Pensò che fosse molto bello poter parlare di zie, soprattutto quando tra Cecilia e Adeline alla somiglianza dei capelli si aggiunse la stessa casa di appartenenza. Ora che ci pensava, anche sua madre, diversamente da lui, era sempre stata molto brava a prendersi cura degli altri, troppo spesso anche a discapito di sé stessa. Si chiese se nel corso della sua vita, anche ad Adeline fosse capitato di comportarsi così, ma non glielo chiese, gli sembrò troppo invadente. Piuttosto, cercò di rilassarsi e tornare a pensare alle cose belle di quell’incontro, anche se avere pensieri discordanti nella testa era una sua caratteristica.

    Va bene, ti racconterò tutto quello che vorrai sapere. Mi piace scrivere… - le rispose, provando curiosità e sollievo per la prima volta da quando altri avevano deciso per lui che la cosa migliore da fare fosse andare ad Ilvermorny per un po’. Poteva prenderla come una gita, in effetti. Ora aveva anche qualcuno interessato a sapere come fosse la scuola. Ma poi, così velocemente com’era apparso, l’entusiasmo contagioso di Adeline si velò di amarezza e al suono delle sue parole seguenti, Draven capì perfettamente che, come lui, aveva solo paura che di tutta quella faccenda si sarebbe ritrovata tra le mani una delusione, l’ennesimo allontanamento.

    No. – rispose di getto, scuotendo la testa. Resto, se vuoi. – si affrettò poi ad aggiungere. Aveva sempre fatto in modo, volontariamente e involontariamente, di tenersi lontano dalle persone per la paura di essere giudicato o, peggio, abbandonato come aveva deciso di fare suo padre. Voleva far parte della vita di quella cugina, per quanto poco interessante la propria potesse essere, ma era la sua famiglia… E poi, realizzò. Una triste agnizione lo colpì come un pugno nello stomaco: e se alla famiglia materna fosse stata rimossa la memoria perché l'unione di Cecilia con un babbano era stato causa di vergogna?
    Si alzò di scatto dal lettino e, se non fosse che quel pensiero lo intristì profondamente, avrebbe sorriso nel constatare che in effetti rispetto a lei era veramente tanto alto.

    Ehm... Adeline... C’era anche un albero genealogico insieme alla lettera. – decise poi di dire, cercando di cambiare discorso e non pensare a cosa avrebbe comportato renderla partecipe del suo stato di sangue, dato che non era pronto a condividere con lei quel dettaglio di sé stesso.

    Hai detto che non hai mai conosciuto tuo padre… C’è un uomo, vicino al nome di Amelié, sopra di te. C’è un uomo anche vicino ad Adeline. Te lo dico perché sono segnati, anche se i loro nomi sono stati graffiati via. – disse, pienamente consapevole dell’assenza, invece, totale di suo padre al fianco di Cecilia. Appena aveva attivato l’albero genealogico, era rimasto talmente impressionato dalla magia in esso, da non aver pensato alla gravità della cosa e realizzò solo in quel momento, nel rivelare l’informazione ad Adeline, quanto vergognosa dovesse essere stata per la famiglia l’unione di Cecilia con un babbano, se addirittura non prendevano in considerazione la sua esistenza. Chissà cos'avrebbero pensato di lui sapendo la verità...

    Te lo spedisco, non appena torno a scuola. Io non… Mi dispiace. Non sapevo se potevo fidarmi e ho preferito lasciarlo al sicuro. Ma credo serva più a te che a me. O per lo meno, spero possa esserti d’aiuto in qualche modo.
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    *Flashback*



    [Le piccole dita di una Adeline Walker di 4 anni, mese più mese meno, stavano percorrendo dubbiose i perlacei tasti di un magnifico pianoforte a coda, nero come la notte, posto nel bel mezzo dell'enorme salone da ricevimento del Manor – noiosamente vuoto, come sempre.
    In ginocchio sul morbido sgabello in velluto rosso, la piccola streghetta aveva sollevato a fatica il piano ligneo che nascondeva i tasti, facendo poi scivolare il panno morbido che li copriva sul pavimento in lucido marmo.
    Con delicatezza, l'indice della destra era andato a premere un mesto Sol, poi disordinatamente un Re, un Mi, un Fa diesis.
    Le piaceva il suono di quello strumento, le corde pizzicate che vibravano nell'aria.
    Le piaceva meno quell'eco che andava a disperdersi però nel vuoto, ulteriore ed ennesima riprova di una solitudine che – anche ad occhi chiusi, nascondendo quello sguardo bicromo dietro a piccole palpebre strizzate con forza – si faceva sentire tanto, troppo.
    -Non sei portata per quello strumento. Come non lo era tua madre.-
    Ad occhi chiusi, il suono improvviso della voce di sua zia Ada l'aveva fatta trasalire: di botto aveva sgranato lo sguardo, togliendo le mani dai tasti e riabbassando velocemente – troppo, velocemente – la copertura in legno, che era andata così a sbattere con un sonoro – TOC – che aveva riverberato per alcuni interminabili secondi nello spazio infinito che divideva – e avrebbe sempre diviso – zia e nipote.
    -E papà? Papà sapeva suonare?-
    -Tua madre si divertiva a strimpellare qualcosa, ogni tanto, premendo tasti a caso e canticchiando per la famiglia. Diceva che erano per momenti come quelli, che si viveva. Momenti di note stonate, risate e familiari accanto disposti a sopportarti.-
    Come sempre, la figura del padre di Adeline, era stata persa nel nulla più assoluto.
    -E papà sopportava la mamma insieme a voi?-
    Adeline amava a onor del vero ascoltare racconti e aneddoti su sua madre. Ma alle volte, come quella volta, una tristezza infinita le prendeva il piccolo e tenero costato, non riuscendo mai a raccogliere nemmeno la più piccola ed inutile delle informazioni su suo padre.
    -Rideva un sacco, tua madre. Portava allegria. Anche quando in un angolo di questo salone facevo la parte del familiare costretto ad ascoltare le sue note stonate.-
    La piccola Adeline aveva chiuso gli occhi, costringendosi a non scoppiare a piangere per la frustrazione.
    Sua zia Ada non c'era quasi mai, non la faceva mai giocare, non la accompagnava fuori, non la portava in paese, anche solo sino al loro boschetto, accidenti non le faceva compagnia neanche durante i pasti, figurarsi farla uscire in giardino.
    E quando c'era, quelle più uniche che rare volte in cui come un'ombra compariva..comunque non c'era.
    I freddi occhi grigi magari guardavano in sua direzione, ma non vedevano lei.
    Le labbra sottili si muovevano, ma non parlavano con lei.
    Adeline sarebbe dovuta crescere ancora, crescere parecchio prima di capire cosa – o meglio chi - quegli occhi guardassero, a cosa – a chi - quelle parole fossero rivolte.
    Non a lei, alla sua nipotina, no di certo.
    Ma ad Ameliè Walker. O meglio, al fantasma, di Ameliè Walker, nascosto dietro quell'iride verde bosco che, affiancata da quella azzurro mare, evidentemente per zia Adeline... non era mai stata abbastanza.

    Quando infine, dopo una manciata di secondi, Adeline aveva riaperto gli occhi..il salone era nuovamente vuoto. E lei nuovamente sola.]

    ***


    Lo scorrere del tempo aveva fatto sorgere spontanee alcune certezze, così come anche alcune domande.
    Perchè il padre della londinese fosse stato così escluso in maniera definitiva dai pensieri della zia, dai ricordi, persino da quei libri che accidenti qualcosa avrebbero dovuto riportare, ad esempio.
    Tanti erano stati i tentativi, tutti completamente fallimentari e vani, di scoprire qualcosa in merito.
    Alla fine, portata avanti da quella ferrea certezza che con il tempo era divenuta solido pilastro, l'idea per cui “se avesse voluto trovarla, entrando a far parte della sua vita, lo avrebbe fatto” aveva avuto la meglio.. e Adeline semplicemente, aveva smesso di cercare.
    Aveva smesso di combattere per una battaglia la cui guerra di base in fondo, sapeva già avere perso in partenza.
    L'unica certezza che aveva, gli unici due lasciti che quell'uomo le aveva donato...erano impressi nel suo DNA tanto quanto erano ormai simbolicamente lontani dal suo cuore e di fatto, anche dai suoi pensieri talvolta: la sua iride azzurra e .. il suo sangue. Puro.
    Come se mai a lei fosse davvero importato di quel tipo di lascito.
    [-L'unica buona eredità lasciata da quel... da quello.-
    Questo, era stato l'unico commento in proposito della sua amata zia nei confronti di suo padre.
    E tanto era bastato, per stappare una nuova bottiglia e tornare ad occuparsi dei propri affari nel suo ufficio.]

    ***



    -Va bene, ti racconterò tutto quello che vorrai sapere. Mi piace scrivere… -
    Adeline aveva sorriso contenta, sillabando un muto Grazie mentre la testolina dorata annotava anche il commento circa la passione per la scrittura.
    Magari per Natale o per il compleanno – doveva anche chiedergli la sua data di nascita – gli avrebbe potuto regalare un libro di letteratura, magica o non.
    Certo, avrebbe dovuto specificare se con “scrivere” intendeva limitatamente “lettere” o più in generale gli piaceva raccontare e/o raccontarsi.. discorso che a sua volta, avrebbe dato il via ad altre pressochè infinite ramificazioni tematiche per cui forse – sì – stava decisamente iniziando a divagare.
    Le successive parole del mago però, la immobilizzarono, mente e corpo.
    Ahi, se aveva colpito nel segno.
    Tre piccole paroline che probabilmente quella strega stava aspettando da tutta una vita.
    Un battito di ciglia e gli occhioni della Walker si erano velati di un sottile strato umido, quanto bastava perchè le si sfocasse lo sguardo ma non abbastanza perchè tiepide lacrime le scivolassero giù per le guance.
    Avrebbe chiuso gli occhi per costringersi a non piangere, come da bambina, ma non lo fece: quella non era frustrazione, lui non era sua zia Ada e quella ad artigliarle il seno non era di certo solitudine.
    Anzi.
    Il calore che a ondate si diramava lungo tutto il suo minuto ma longilineo corpo, era qualcosa di estremamente sconosciuto ma al contempo tanto tiepido e benefico da portarla seriamente sul punto di lasciar scivolare quel piccolo distillato di commozione liquida – più comunemente detto, lacrima solitaria.
    -Ehm... Adeline... C’era anche un albero genealogico insieme alla lettera. -
    Fu il movimento rapido e inaspettato del mago, e le sue successive parole, che di fatto la salvarono:
    in piedi di fronte a lei per una frazione di un secondo – persa com'era nella sua personalissima tempesta emotiva – l'altezza e l'imporsi improvviso del mago la fecero sentire più piccola di quanto fisicamente già non fosse rispetto al ragazzo.
    Poi, quella frase che tutt'assieme le fece riprendere in mano la situazione, focalizzando attenzione e pensieri su quell'unica nuova rivelazione.
    -Hai detto che non hai mai conosciuto tuo padre… C’è un uomo, vicino al nome di Amelié, sopra di te. C’è un uomo anche vicino ad Adeline. Te lo dico perché sono segnati, anche se i loro nomi sono stati graffiati via. -
    Silenzio.
    Nella mente dorata di Adeline, mille e uno pensieri, vibranti e pungenti come calabroni, stavano imperversando nella bufera più nera.
    -Te lo spedisco, non appena torno a scuola. Io non… Mi dispiace. Non sapevo se potevo fidarmi e ho preferito lasciarlo al sicuro. Ma credo serva più a te che a me. O per lo meno, spero possa esserti d’aiuto in qualche modo. -
    Lo sguardo bicromo, tornato completamente lucido dopo quell'ultima manciata di minuti, sondò a metà tra lo sconcerto ed il dubbioso quello del giovane Serpeverde:
    -Di mio padre, conosco solo tre cose. Il nome, Logan.-
    Le bruciava la gola, anche se non avrebbe ben saputo dire se più per rabbia o amarezza, o magari per entrambe, nei confronti di quella zia che – a quanto pare – oltre a saper scegliere le migliori marche di alcolici e intrattenere loschi affari, vantava non poche abilità in ben altro.. bugie e segreti inclusi.
    -Il colore degli occhi, azzurri. E il fatto che fosse un mago, perchè sono una Purosangue.-
    L'unica eredità del padre a cui la zia avesse mai dato vero valore, sebbene alla londinese non gliene fosse mai importato. Purosangue, Mezzosangue, Merlino, ma a chi importava?
    Non bisognava forse dare vero valore alla sincerità, alla bontà delle persone, alla gentilezza, intelligenza, acume, disponibilità, a pressochè tutto meno che la cosidetta “purezza di sangue”?
    Ma tutto questo, insieme a quella pungente amarezza, rimase impigliato, muto, nella gola della Medimag mentre con sguardo vacuo ripensava a cosa implicassero quei nomi cancellati vicino a sua madre, ma soprattutto vicino a sua zia.
    -Hai fatto bene, non preoccuparti.-
    Riprese quindi, vagamente in trance per quel quantitativo di scoperte ed emozioni che nel complesso l'avevano letteralmente sommersa nel giro di pochissimo.
    -Però se potessi inviarmelo.. te ne sarei grata.-
    Cercò di abbozzare un nuovo piccolo sorriso a Draven, seppur consapevole che quella bufera emotiva – dopo quegli ultimi secondi decisamente in negativo – le si leggeva benissimo dietro lo sguardo di bosco e di mare.
    -Draven io..- scosse un poco la testolina dorata, cercando di recuperare quella pacata gioia che nei primi minuti l'aveva pervasa con il suo calore -Adesso devo tornare a lavoro. Ma scrivimi, ti prego, su qualsiasi cosa tu abbia voglia di parlare e - gli sventolò scherzosamente il dito indice sotto il naso -voglio essere informata anche su eventuali professori fastidiosi, bulli o.. fidanzate, magari.-
    Ridacchiò un poco, più per l'idea assurda che qualcuno potesse pensare anche solo lontanamente di bullizzare un “quasi un metro e novanta” che per altro: ammiccò invece, per l'idea delle cotte adolescenziali.
    Se alla sua età e con quei lineamenti e fisico quel ragazzo non avesse avuto una coda pressochè infinita di spasimanti, quasi quasi Adeline se la sarebbe presa sul personale.
    Sulle labbra così si aprì un nuovo sorriso, conciliante: -E devi dirmi quando cade il tuo compleanno, così da avere una scusa in più per farti qualche regalo.-
    ..Per tutto il resto, in fondo, ci sarebbe stato tempo e luogo.. e se questi non si fossero presentati da soli, Adeline li avrebbe trovati e obbligati, con le unghie e con i denti - ad ogni costo.
     
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    Draven Shaw

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    Non doveva essere stato facile per lei crescere credendo di non aver avuto nessun altro al mondo, a parte una zia fredda e scostante; avevano in comune più di quanto Draven avesse immaginato e, anzi, la storia di Adeline era decisamente più triste della propria, eppure non riusciva a capirla… Aveva tutto quello che si potesse desiderare dalla vita, secondo lui. Era bella e sembrava competente nel suo lavoro; quando era entrato al San Mungo, poco più di un paio d’ore prima, millantando di aver preso un bolide in faccia solo per avere una scusa per incontrare lei, gli era sembrato che fosse d’abitudine per i pazienti chiedere esplicitamente di lei, perché nessuno si era sorpreso di quella richiesta e, anzi, l’avevano accolta come normale routine; quindi, professionalmente parlando, aveva raggiunto i suoi obiettivi e, a giudicare dai modi cortesi che gli aveva rivolto ancor prima di conoscere le vere motivazioni che lo avevano portato da lei, poteva asserire quasi con assoluta certezza che fosse orgogliosa del percorso che l’aveva portata ad essere il medimag che era ora. Inoltre, nella lettera sua zia, anzi, loro zia Adeline, aveva menzionato di un ulteriore impiego, presso il Ministero della Magia; la prospettiva di lavorare dietro una scrivania appariva un po’ come un incubo ad occhi aperti, per lui che voleva viaggiare e salvare il mondo spezzando incantesimi e maledizioni, ma lo riteneva un lavoro decisamente di alto livello, di quelli che rendevano onore e gloria al cognome di famiglia… Per Draven, realizzare le proprie ambizioni significava avere tutto ciò che si potesse desiderare dalla vita. Ipotizzò che, nel suo caso, doveva avere discendenze da purosangue o nell’albero genealogico suo padre non sarebbe nemmeno stato inserito, dato che dell’ex marito di Cecilia non vi era traccia. A ripensare a quel documento, gli calò per un attimo un velo di tristezza nello sguardo… Sebbene i matrimoni misti tra babbani e maghi non fosse di gran moda, era comunque accettato dalla comunità magica inglese (rispetto, ad esempio, a quella americana che la proibiva, come aveva tristemente scoperto in quei giorni), eppure, per alcune famiglie purosangue, spezzare così drasticamente la discendenza purista valeva una tale vergogna da fingere che non fosse accaduta. Il che, giustificava in qualche modo la scelta di non inserire e/o menzionare nessuno al fianco di Cecilia, come se avesse partorito secondo magia, ma non spiegava perché avessero deciso di inserire lui, che era realisticamente parlando la vergogna fisica di quella famiglia, nel suo essere un mezzosangue. Si chiese, in quel momento, se o quando avrebbe rivelato ad Adeline quella verità… Per il momento, le aveva già dato fin troppe informazioni su cui arrovellarsi: intuì dal suo sguardo che tutto ciò che gli aveva detto valeva per lei lo stesso shock che era valso per lui. Ma fu questione di pochi attimi… Forse perché caratterialmente non voleva lasciar trapelare i propri pensieri o forse perché, data la situazione, si sentì in dovere di mantenere contegno con lui, non poteva dirlo perché la conosceva appena, ma in ogni modo, tornò risoluta e vigile in un battito di ciglia. Quel poco della sua personalità, che Draven aveva avuto modo di scoprire in quel breve lasso di tempo lì con lei, gli piacque.
    Parlandogli del padre, gli confermò lo stato di sangue che Draven aveva ipotizzato per lei: purosangue. Ciò rimise in moto i pensieri di Draven: se il padre di Adeline era un purosangue, perché ne era stato graffiato via il nome? Aveva commesso qualche crimine? Stessa cosa valeva per l’uomo affianco al nome di Adeline, dal quale – a giudicare dall’albero genealogico – non aveva avuto figli. La storia della loro famiglia cominciava ad incuriosirlo… Avrebbe fatto qualche ricerca.
    Le annuì, confermandole che, sì, le avrebbe inviato l’albero genealogico. Non se ne faceva niente lui, ora che aveva appurato di avere un padre inesistente agli occhi di una famiglia che non credeva di avere, ma comunque prima di spedirlo a sua cugina avrebbe dovuto trovare un modo per duplicarlo, così da avere un documento dal quale partire con le sue ricerche.

    Certo, si... Devo tornare a scuola prima che sia buio. – iniziò a dirle, arricciando le labbra in un sorriso imbarazzato, che si accentuò subito dopo in uno più sardonico. Tranquilla, per i professori sono uno studente modello. Nessuno degli altri studenti osa darmi fastidio… – non più, almeno, pensò; non da quando era cresciuto in altezza e fisicità e il suo sguardo si era fatto decisamente più severo grazie ai lineamenti più pronunciati, più adulti, del viso. Con le ragazze, tutto ok… più o meno. Ti terrò aggiornata. – aggiunse poi, sorridendo divertito. Evitò di entrare nel dettaglio dei filtri d’amore che avevano provato a rifilargli più volte; era un ragazzo di sedici anni e, come tale, ovviamente aveva i suoi impulsi e le sue necessità, ma cercava di ignorare le ragazze della scuola, perché non voleva che costituissero per lui una distrazione dagli studi.
    Le disse anche che il suo compleanno sarebbe stato l’11 di luglio, il giorno in cui avrebbe effettivamente compiuto i sedici anni che già diceva di avere. Non si soffermò a spiegarle perché si trovasse un anno indietro ad Hogwarts e lasciò cadere la cosa con una scrollata di spalle, dato che non era l’unico né del suo anno, né della storia di Hogwarts, ad aver iniziato gli studi presso la scuola di magia e stregoneria a dodici anni, invece che ad undici.
    Un po’ intimorito dall’idea di sembrare troppo affettuoso, ma convinto che fosse l’azione meno fredda da compiere per un congedo, l’abbracciò di nuovo e la salutò, promettendole che le avrebbe scritto da Ilvermorny e che sarebbe passato a trovarla a Hogsmeade non appena avesse potuto. Andò via dal suo ufficio e attraversò i corridoi del San Mungo, diretto verso l'uscita, che ancora sorrideva... Sollevato e, dovette ammetterlo, felice.
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