Una giornata NO.

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    Le venne voglia di affondare il viso in un cuscino e urlare a squarciagola, e lo avrebbe fatto, il prima possibile non appena messo piede in Sala Comune. Non si era mai sentita così stupida e umiliata, rifiutata, respinta. Odiava Draven non per come si era comportato, per quel cambio di umore nel giro di, quanto? Cinque secondi? A infastidirla era stata soprattutto la facilità con cui aveva minato alla sua sicurezza e autostima. Inaccettabile. Falcava il terreno adiacente al Lago Nero con passi intrisi di rabbia e nervosismo, sbatteva i piedi nell’erba fresca, ed aveva già percorso almeno metà strada quando sentì correre alle proprie spalle e poi la sua voce. Il cuore prese a batterle all’impazzata. Rallentò e si girò a guardarlo per ascoltarlo, sforzò ancora quell’espressione impassibile e impenetrabile di poco prima.

    «Mi hai detto che ti piaccio per poi scacciarmi malamente non appena ho dato cenno di ricambiare. Questo non è essere confusi o lunatici. Questo è essere stronzi.» non le importava un bel niente del suo provino di Quidditch, non avrebbe giustificato quell’atteggiamento così contraddittorio una sola volta di più, la faceva andare fuori di testa e odiava quella sensazione. Incrociò e strinse le braccia al petto, non osava avvicinarsi, si manteneva a debita distanza di alcuni passi dal Serpeverde.

    Lui si aspettava un suo rifiuto, e la cosa più assurda fu che Christelle gli credette subito senza esitazione: non aveva mai creduto, neanche per un secondo, che lui provasse qualcosa per lei, quindi era naturale che Draven la pensasse allo stesso modo nei suoi confronti visti i loro precedenti. Bel casino.

    «Non funzionerebbe.» parlò con tale velocità e schiettezza da spaventarsi lei stessa per prima. Lo pensava sul serio. Christelle era fuori di testa e Draven sembrava esserlo almeno quanto lei, inoltre i pettegolezzi li avrebbero stroncati sul nascere se non fosse stata Isla per prima a tagliarle la testa. Inutile girarci intorno, inutile fantasticare, inutile decifrare quali sentimenti provasse nei confronti del Serpeverde: tra loro non c’era alcun futuro. Per non parlare della vocina nella testa, quella vocina che le ripeteva da almeno dieci minuti: tu non gli piaci, si è fatto un’idea sbagliata di te, ti sta solo idealizzando. Lascialo perdere.

    «Sono sicura che il provino andrà benissimo, buona fortuna.» voleva congedarlo lì e subito, non se la sentiva di parlare ancora con lui, l’imbarazzo e il disagio di quella situazione le stavano dando un forte mal di testa. Ancora una volta si maledì per aver seguito il certosino nonostante sapesse benissimo che il suo padrone era Draven, cosa sperava di ottenere? Solo disagi, imbarazzi e litigi come al solito.

     
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    Con la scusa di riprendere fiato, rimase leggermente chino su sé stesso e a sguardo basso; si disse che poteva concedersi qualche secondo di vantaggio per riflettere sulla prossima mossa, prima della reazione di Christelle che, per qualche motivo a lui oscuro, esitò ad arrivare. Si rese conto in quel fatidico momento che era più spaventosa quando faceva la stizzita e la riflessiva… Si era abituato, ormai, a una Christelle un po’ isterica e impulsiva, ma il nervosismo e la presumibile confusione del momento dovevano aver portato un cambio d’umore e, di conseguenza, di atteggiamento parecchio netto anche in lei. Non poteva di certo pretendere di essere l’unico al mondo a provare emozioni contrastanti e a esternarle in atteggiamenti altrettanto discordanti… Oltretutto, con le donne sapeva di camminare su un terreno pericoloso che non aveva mai gestito con la giusta attenzione; sua nonna, da ragazzino, gli aveva detto spesso che le donne sono come la trappola del diavolo, che se le istighi troppo, poi, finiscono per lasciarti senza fiato. Non era mai riuscito a mettersi di fronte a una realtà che desse senso a quell’analogia, ma il fiato ancora un po’ corto e lo sguardo adirato di Christelle, quando finalmente si decise a rialzare il proprio, gli fecero finalmente capire il senso di quelle sagge parole.
    Al suono della sua voce si ridestò dal filo dei propri pensieri e non riuscì a trattenere una lieve smorfia sul viso; non era la persona più disponibile del mondo e, anzi, provava una certa soddisfazione personale nell’allontanare le persone con quel suo modo di fare, come se fosse in grado di incutere timore, forse addirittura reverenza… ma farlo con lei, almeno stavolta, gli aveva dato solo tachicardia e dolore allo stomaco. Sensi di colpa? Forse…
    Ad ogni modo, non riuscì a trovare niente da dirle per controbattere, perché in cuor suo sapeva che aveva ragione. Un po’ stronzo lo era.

    “Lo so che ho fatto un sacco di casini, ma possiamo…” – iniziò a dirle poi, ma le sue parole seguenti lo paralizzarono sul posto e la voce gli si bloccò in gola. Si tappò le orecchie non appena le sentì pronunciare la parola ‘provino’ per timore di ascoltare il seguito di quella frase e chiuse gli occhi, strizzando forte le palpebre.

    “No, zitta! Non dirlo, cazzo, non dirlo, zitta!” – cominciò a dire ad alta voce, in un modo quasi isterico e quasi degno dei suoi scatti d’ira, ma con un tono talmente imperativo e cupo da rendersi immediatamente conto di aver fatto di nuovo lo stronzo con lei.

    “Non… Mi dispiace. Puoi dire quello che vuoi. È… solo scaramanzia. Ecco…” – cercò di dire subito dopo, riportando lo sguardo su di lei, con un’espressione sul viso del tutto diversa, tra il dispiaciuto e il frustrato, perché la comunicazione non era per niente il suo forte. Ci avrebbe lavorato.
    Deglutì faticosamente, era agitato e la camicia gli aderì stretta sul petto per un misto di sudore freddo e caldo insieme.

    “Senti… Possiamo…” – provò poi, riabbassando lo sguardo mentre cercava le parole giuste da dire. Sospirò, s’inumidì le labbra e poi rialzò di nuovo la testa. “Esci con me. Una volta. Dammi qualche giorno... Ho questa cosa domani e allenamenti serrati tutta la settimana prossima per la partita contro i Grifondoro." - proseguì, inarcando un sopracciglio con fare ammiccante, ma involontario. Non lo pensò, non in quel momento almeno, ma il cuore gli fece una capriola nel petto... Avrebbe giocato contro la squadra della sua Casa, per la prima volta da quando avevano iniziato a parlarsi - o a litigare, che dir si voglia - e inconsapevolmente l'idea che potesse tifare per lui o guardarlo con un'attenzione che non gli aveva mai rivoltò, lo emozionò.

    "Una possibilità, per capirci meglio. Non ti chiedo altro. Nelle condizioni che decidi tu. Se vuoi parlare, parliamo… Se vuoi urlarmi addosso, mi urli addosso… Poi ti starò lontano, se sarà quello che vorrai.”

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    Christelle era già pronta ad andarsene, quella situazione si era rivelata molto più pesante e insopportabile di quanto credesse ed era solo colpa di Draven. Di nuovo. Perché doveva rendere tutto così difficile e frustrante? Non lo sapeva, anzi, in realtà aveva ben poche informazioni su di lui, e se non fosse stato per quel fortuito incontro con la cugina Adeline solo pochi giorni prima ne avrebbe avute ancor meno. In ogni caso era già stanca lo odiava per averla illusa e cambiato idea, qualsiasi fossero le sue giustificazioni non le avrebbe ascoltate.

    «Va’ al diavolo, mi hai stancata!» gli urlò di rimando, a voce più alta della sua quando lui le gridò – letteralmente – in faccia di stare zitta. Chi credeva di essere? Se era un tipo scaramantico aveva fatto male, malissimo a dirglielo, anzi, gridarglielo in quel modo.

    «Non ho più voglia di uscire con te» man mano che la discussione andava avanti si sentiva sempre più stanca e sfiduciata. Ferita. Voleva andarsene. Non gli permise neanche di continuare la frase, solo scuoteva la testa e ripeteva: non funzionerà. E lo pensava davvero. Era irremovibile.

    Solo alla sua ennesima insistenza, forse più per disperazione che altro, si lasciò andare a un lungo sospiro di rassegnazione. Avrebbe accettato. Avrebbe accettato per toglierselo definitivamente dai piedi, sì, le sembrava un buon piano. Era così arrabbiata che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di andarsene senza ritrovarsi costretta a prenderlo a pugni o, peggio, sfoderare la bacchetta. Qualsiasi sentimento positivo provato nei suoi confronti nell’ultima mezz’ora era scomparso per lasciare posto a una furente rabbia cieca.

    «Lo sai che non posso, anzi, non voglio farmi vedere insieme a te» ovviamente si riferiva al problema con Isla, ma per un attimo sperò di averlo ferito. In fondo era stato lui a iniziare, no? «Nelle condizioni che decido io, okay: ci vediamo venerdì prossimo, a mezzanotte, anzi… Le due di notte, alla Torre di Astronomia. Pensi di potercela fare?» lo stava sfidando in un certo senso, e se non si fosse presentato avrebbe chiuso per sempre con lui. Christelle non aveva problemi a infrangere le regole di continuo, ma Draven? Almeno avrebbe avuto un quadro chiaro della situazione.

    Gli rivolse un’ultima occhiata, questa volta meno dura rispetto alle altre, si sentì improvvisamente triste. Non aveva immaginato così quel momento né si sarebbe aspettata un risvolto del genere, tutta quella rabbia, la voglia di chiudere all’istante, l’ennesimo litigio. Non facevano altro che litigare, anche quando parlavano più o meno a cuore aperto. Forse era solo l’ennesima dimostrazione che tra di loro non poteva funzionare, Christelle si era convinta ad uscire con Draven, almeno a detta sua, solo per toglierselo da piedi. Eppure sapeva anche lei, lo voleva, voleva capire come sarebbe potuta andare tra loro. Male, di sicuro. Ma voleva esserne certa, zero rimpianti.

    «Ci vediamo» concluse.



    Edited by Christelle ~ - 17/6/2020, 23:14
     
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    Lo sguardo feroce di Christelle non lo aiutava a sentirsi più tranquillo. Si trovò inevitabilmente a chiedersi, nel silenzioso segreto che era un angolo recondito della propria mente, perché non avesse scelto Isla; sarebbe stato facile come bere un bicchiere d’acqua con lei, considerando che nel corso di quei mesi in cui aveva tentato ogni tipo di approccio con lui gli aveva dato più volte modo di pensare che sarebbe anche riuscito ad andarci a letto senza troppi problemi, anzi, durante quelle volte gli aveva lasciato intendere proprio quello… Ma no. A lui piaceva l’altra sorella. Quella strana e solare, super socievole e competitiva, agguerrita e femminista, arrogante e fiera…
    Le labbra gli si curvarono in un mesto sorriso, con le fossette che si accentuarono timidamente sulle guance in risposta a quel movimento facciale a cui erano poco abituate. Nemmeno i suoi scatti nervosi riuscirono a destarlo da quel ritrovato e improvviso senso di benessere: perché gliel’aveva chiesto, ci era riuscito. A dirla tutta, non le aveva nemmeno posto l’ipotesi a mo di domanda, le aveva semplicemente detto, con fermezza, di uscire con lui. E qualcosa, dentro di sé, gli dava la sicurezza che non gli avrebbe detto di no. Se non lo aveva rifiutato prima, non lo avrebbe rifiutato ora. Nonostante tutto, quella possibilità, ammesso pure che sarebbe rimasta unica e isolata, se la meritavano e lo credeva anche lei, ci avrebbe giurato.
    Rimase immobile e in silenzio, in attesa, lasciandole il tempo di sfogarsi e decidere il da farsi. Alle sue parole, reagì d’istinto accentuando il sorriso e le annuì.

    “Certo. Venerdì prossimo, torre di astronomia, due di notte.” – rispose senza alcuna esitazione e ripetendo i suoi ‘ordini’ per farle capire che sì, aveva capito benissimo. Fece spallucce e, ancora con il sorriso sulle labbra, si voltò senza dire altro. Doveva tornare al campo da quidditch a recuperare le sue cose… e solo quando si trovò abbastanza distante da lei da non riconoscerla più, immersa tra gli altri studenti al parco, si fermò di botto, realizzando cosa fosse appena successo: lo aveva sfidato a uscire dal dormitorio alle due di notte.
    Andare in giro di notte a Hogwarts.
    Era contro le regole.


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