Una giornata NO.

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    Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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    Draven Shaw

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    Dopo l’ennesima notte insonne, Draven sentì di avere una valida scusa per restare al letto e assentarsi alle lezioni. Mai in tutta la sua carriera scolastica si era lasciato scoraggiare da qualsivoglia evento o malattia che fosse; aveva sempre presenziato alle lezioni, eccezion fatta per quell’unica occasione in cui Christelle ~ lo aveva trascinato nel Corridoio Proibito. Lo stomaco gli si contorse subito al pensiero; pensò che fosse dovuto alla fame, perché negli ultimi giorni sembrava anche aver perso appetito, lui che solitamente mangiava almeno una volta ogni due ore come i bambini piccoli, ma non c’entrava niente il digiuno nervoso in quel momento. Era stato il pensiero della Jones a fargli contorcere le budella...

    Se non fosse stato così nervoso e agitato in quegli ultimi giorni, si sarebbe accorto che nelle tre settimane precedenti erano successe parecchie cose importanti. Prima fra tutte, aveva recuperato brillantemente la lezione persa di pozioni, guadagnando anche dei punti extra per la sua casa. Poi, dopo l’incontro/scontro tra Christelle e Isla, era avvenuto qualcosa di molto strano… Giravano voci per i corridoi che, dormendo nello stesso dormitorio, avessero protratto la discussione nei giorni, o per meglio dire, nelle notti a venire, finché una delle due non era addirittura arrivata a chiedere un’altra sistemazione; ma lui non ci aveva creduto, Christelle era stata molto chiara su quanto fosse importante la famiglia per lei. A Hogwarts i pettegolezzi erano il divertimento maggiore e con i passaparola ci voleva un attimo a diffondere delle bugie, perché solitamente questi arrivavano alle orecchie dei soggetti interessati quando ormai per la maggior parte degli studenti quei gossip avevano perso ogni attrattiva. Lo aveva constatato su sé stesso. A tal riguardo, infatti, aveva notato che dopo qualche giorno avevano smesso di parlare della lite delle Jones, ma soprattutto avevano smesso di parlare di lui, della faccenda del Corridoio Proibito, addirittura nessuno mostrava più interesse, dopo mesi, alla festa ai Tre Manici Scopa e all’incidente del bacio con Isla; ma più di tutto questo, più di qualsiasi altra cosa: Isla aveva smesso di seguirlo e non lo degnava più di uno sguardo. Anzi, ad un certo punto aveva preso l’abitudine di salutare Tom e Philo quando erano in sua compagnia e ridacchiare ai goffi tentativi dei due di fare colpo su di lei; i due amici lo avevano tolto dalla condizione di fargli accorgere che, forse, lo faceva apposta per spronare un qualche tipo di reazione a un Draven mai stato meglio per quella nuova situazione, perché erano stati loro a discutere dell’ipotesi, aggiungendo anche che non gli importava purché per lui non costituisse un problema. Quando avevano finalmente capito che lui non aveva mai provato niente per Isla, doveva essere successo qualcosa, perché la ragazza aveva iniziato a ignorarli tutti e tre, con grande sollievo di Draven. Tom e Philo avevano incassato il colpo con poca eleganza, perché poco dopo avevano iniziato a provarci con una del suo gruppo. Comunque, sembrava andasse tutto per il verso giusto. Così, Draven aveva immaginato di poter smettere di ignorare Christelle; dalla faccenda del Corridoio, gli altri studenti del loro anno avevano iniziato a salutarlo ogni volta che entrava in classe e si era reso conto che non era affatto male concedersi qualche parola durante le lezioni, purché non costituissero una prolungata distrazione. L’unica differenza in quella nuova condizione di vita più o meno sociale, era Christelle, perché i due continuavano a ignorarsi vicendevolmente. Il giorno della lite, con la conseguente discussione avvenuta tra loro due in prossimità della Sala Grande, Draven si era promesso di stare fuori dalla vita di Christelle per non fare più casini, per quanto involontari, ai danni della sua famiglia. Lui non ne aveva mai avuta una e fino a qualche mese prima avrebbe faticato a capirla, ma da quando si sentiva con Adeline aveva iniziato un po’ a capire come funzionavano quelle relazioni; era strano ammetterlo al di fuori della propria mente, ma era molto affezionato alla cugina, nonostante la conoscesse da così poco tempo. Figuriamoci come doveva essere tra due sorelle cresciute insieme per quindici anni... Quindi, aveva fatto il bravo ed era rimasto in disparte; inizialmente, non era stato facilissimo, perché gli veniva spontaneo alzare lo sguardo su di lei quando interveniva nelle lezioni di cura delle creature magiche ed erbologia ed era sicuro di percepire il suo su di sé durante i propri interventi alle lezioni di incantesimi e difesa contro le arti oscure, ma col passare dei giorni ci aveva fatto l’abitudine e aveva finito con l’ignorarla addirittura in maniera peggiore di tutti gli anni precedenti messi insieme. Quando andava alle lezioni e si sentiva salutare, rispondeva automaticamente senza alzare lo sguardo, fingendosi sempre molto occupato a leggere o a scrivere qualcosa che potesse servirgli come scusa per evitare addirittura di accorgersi di chi fosse presente in aula. Quando passeggiava nei corridoi, lo faceva sempre in compagnia di Tom e Philo mettendosi in mezzo tra di loro, come per crearsi uno scudo, e camminava a testa china. Non era più andato in biblioteca dal fatidico giorno della lite proprio per evitare incontri involontari con uno qualsiasi dei Jones e aveva preso l’abitudine di ritirare i libri molto presto la mattina o molto tardi la sera, per andare a leggerli o studiarli nella sala comune dei Serpeverde. Quando c’era stato un altro, l’ennesimo, incidente delle caccabombe di sterco di drago lanciate oltre il muro segreto che portava alla casa dei Serpeverde, si era trovato costretto a uscire dal suo angolino sicuro e trovarsene uno all’aperto dove eventuali caccabombe sarebbero passate più inosservate: non potendo rischiare di andare al recinto delle creature e trovarci Christelle, si era allontanato dal Castello fino a superare i prati su cui gli studenti si disperdevano nelle ore buche e aveva raggiunto la costa del Lago Nero. Non era isolato come i confini della Foresta Proibita, anzi, tutt’altro, perché ovunque si vedevano ragazzini impegnati in intense partite di Gobbiglie o altri stupidi giochi magici che, inizialmente, avevano innervosito di molto la concentrazione introversa e misantropa di Draven… Ma aveva finito col farci l’abitudine. Il modo in cui il vento ondeggiava sulla superficie del Lago era estremamente rilassante ed era la cosa più simile alla sicurezza che gli dava la sala comune dei Serpeverde, che doveva trovarsi da qualche parte lì sotto, in effetti… Il panorama e il senso di familiarità che il Lago gli donava, meritavano di sopportare qualche urlo distante per una Gobbiglia spruzzata negli occhi di un malcapitato principiante.
    Quando gli era sembrato che fosse tutto molto più tranquillo, riprese ad alzare la testa ogni volta che entrava in aula per ricambiare i saluti che gli venivano rivolti e, per qualche giorno, aveva iniziato anche a salutare Christelle, guardandola negli occhi, anche se scappava sempre via alla velocità della luce per evitare un qualche tipo di reazione eventualmente isterica da parte sua. Isla non sembrava più essere un problema e doveva andarci cauto, ma salutare una compagna di classe non avrebbe costituito problemi per nessuno e avrebbe evitato eventuali sfuriate da parte di Christelle sul perché la ignorasse. Ma poi, così all'improvviso, aveva ripreso a ignorare tutti e smesso di ricambiare anche i saluti...

    Con un profondo sospiro, si decise ad aprire gli occhi. Col senno di poi, avrebbe preferito non farlo così velocemente o non farlo affatto, perché un terribile mal di testa lo perseguitò per tutto il giorno durante le ore di lezione, facendogli pentire amaramente di aver dato ascolto alla propria coscienza e non essere rimasto davvero a letto a non fare niente come per un brevissimo istante si era auto-suggerito di fare. E quando poi fu il momento di andare ad allenarsi sul campo da Quidditch, tornò vivido come un fuoco d’artificio il motivo per cui si sentiva così male, scoraggiato, distratto e spossato: mancava solo un giorno al provino per il Quidditch professionistico. Era ancora un mistero come fosse riuscito a ottenerlo e non si sentiva minimamente all’altezza delle aspettative di chiunque fosse stato a segnalarlo alla commissione del Ministero. Non se lo meritava, non era una carriera che in quel momento poteva permettersi economicamente ed emotivamente, e non era bravo nemmeno come un’unghia di tutti i giocatori della lega inglese/scozzese/irlandese che in rarissime occasioni aveva avuto modo di veder giocare. E l’allenamento di quel giorno, fu la conferma a tutte quelle sue paranoie, che tanto finte non potevano essere: aveva mancato la metà delle pluffe lanciate da un Tom non particolarmente portato in attacco, dato che giocava come battitore, e si era trovato più volte distratto dall’immensità del cielo.
    Erano quasi le cinque di quel sabato pomeriggio, quando l’amico lo costrinse fuori dal campo. Cercò di rassicurarlo, dicendogli che nessuno al mondo avrebbe potuto fare di meglio a causa del nervosismo per la situazione, ma il fulcro del problema era proprio quello… Il nervosismo di Draven non era mai arrivato a superare i due metri di altezza in volo. Il senso di oppressione e incompetenza si fermavano sempre prima di raggiungere gli anelli, invece negli ultimi giorni aveva sviluppato un senso di angoscia che non aveva mai provato prima, perché a ogni allenamento aveva fatto sempre più schifo.
    Afflitto, aveva lasciato scopa, guanti e casco negli spogliatoi, si era cambiato talmente velocemente da aver dimenticato il pullover e aver indossato solo la camicia, senza nemmeno la cravatta ed era letteralmente scappato via prima che Tom uscisse dalla doccia, per evitarsi l’ennesimo fiacco tentativo di rimetterlo di buon umore. Aveva toccato il fondo della depressione e voleva solo stare solo.
    Si accorse di aver dimenticato la borsa scolastica, tra le altre cose, negli spogliatoi solo quando ebbe raggiunto il suo posticino più o meno nascosto a riva del Lago Nero. Vi trovò Donut, il suo gatto certosino, acciambellato su sé stesso ed ebbe un sussulto al cuore, come se in quel momento quella creatura potesse essergli di qualche conforto, ma non appena andò a sedersi vicino a lui, questi fece un balzò spaventato, rizzò il pelo e gli soffiò sdegnato. Non lo aveva nemmeno toccato e ciò la diceva lunga su quanto il suo malumore fosse palpabile se addirittura il suo gatto lo aveva percepito come radioattivo…
    Senza nemmeno più la voglia di ritrovare un briciolo di buon umore, si portò le ginocchia al petto e vi nascose il viso, circondandosi le gambe con entrambe le braccia. Il vento gli solleticava i capelli ancora bagnati e si concentrò su quella sensazione, sperando di non pensare più a niente.


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    Se Christelle avesse deciso, in un giorno qualsiasi, di scrivere un breve racconto su quelle ultime tre settimane a Hogwarts lo avrebbe di certo iniziato così: è stato un inferno, e adesso me ne torno a dormire.

    Dopo il litigio con Isla tutto era cambiato. Aveva ancora il segno della cinquina sulla faccia quando si erano viste per la prima volta dopo il litigio in Sala Grande, e la sorella l’aveva comunque ignorata, rendendole in un certo senso più facile imitarla comportandosi di conseguenza. Durante la prima settimana aveva passato molto tempo con Oliver e gli altri Corvonero, non che non gradisse la compagnia delle amiche e amici di sempre ma più di tutto cercava aveva bisogno del fratello, il quale d’altro canto tentava di rassicurarla e intermediare con Isla – inutile, ma la Grifondoro apprezzava lo stesso i tentativi che sapeva essere sinceri. Le due dormivano ancora nella stessa stanza e Christelle, per spirito di autoconservazione ma soprattutto a causa dell’imbarazzo dovuto ai saltuari incontri tra loro, aveva ormai preso l’abitudine di svegliarsi prima di tutte le sue compagne al mattino e di rientrare per ultima la sera in dormitorio, così facendo riusciva a evitare Isla e anche le amiche, ostili e testarde persino peggio della sorella. Le due Jones erano andate avanti così per quasi tre settimane finché Isla l’aveva aspettata sveglia per parlarle: devi cambiare stanza, le aveva detto. Christelle si era sentita gelare, ovviamente aveva risposto che non l’avrebbe fatto, se davvero desiderava rompere ogni rapporto familiare e di amicizia tra loro si sarebbe assunta la responsabilità di andarsene lei stessa. Non ne avevano più discusso e la cosa sembrava esser dimenticata, nel frattempo negli ultimi due o tre giorni le amiche di Isla avevano ricominciato a salutarla e Christelle non sapeva ancora come interpretare quel segnale. Da parte della sorella, infatti, nessun cenno a voler sotterrare l’ascia di guerra.

    Come se non ci fosse già abbastanza dramma nella vita della Grifondoro, in quelle ultime tre settimane un’altra ossessione si era aggiunta alle sue giornate, a causa della quale riposava poco e male la notte ed era ancora più disattenta alle lezioni di giorno: Draven. Il cuore le batteva forte quando si incrociavano per i corridoi e entrambi abbassavano lo sguardo o si ignoravano, ancor peggio a lezione, non faceva altro che lanciargli occhiate quando lui era distratto e si era convinta che prima o poi avrebbe sbagliato un incantesimo a causa sua e qualche professore l’avrebbe punita. La loro ultima conversazione risaliva al giorno del litigio con Isla, di fatto non parlava da tre settimane neanche con lui eppure quell'allontanarsi reciproco l’aveva resa ancora più confusa. Quando lo incontrava le budella si attorcigliavano e un paio di volte aveva pensato di vomitare: quando l’aveva raccontato a Bowie e le altre ragazze del loro gruppo tutte l’avevano presa bonariamente in giro.

    La situazione con Isla e Draven l’aveva completamente esclusa dal sapere cosa fosse successo tra loro, se si fossero parlati dopo la scenata di Isla, o magari fossero diventati addirittura amici. In fondo Christelle era stata molto sgarbata con il Serpeverde e si sa, non c’è niente che unisca due anime più dell’odio in comune verso una terza. Ricordò come si era sentita gelosa, addirittura invidiosa, mesi prima quando aveva saputo dagli amici del bacio tra Isla e Draven, prima ancora che la sorella glielo raccontasse: era stato un bene saperlo in anticipo, l’aveva aiutata a far buon viso a cattivo gioco e soprattutto cercare una tregua con i propri sentimenti confusi, non le importava un bel niente di lui e non le era mai importato, non c’era motivo di sentirsi così. Eppure…

    Eppure aveva pensato spesso a loro due insieme in quelle tre settimane per scoprirsi di nuovo gelosa delle attenzioni che Draven riservava alla sorella e mai a lei. Tra loro, prima di ritrovarsi per la prima volta da soli vicino al recinto degli Ippogrifi, c’erano stati a stento dei saluti mentre Isla, che secondo Christelle era almeno mille volte più carina di lei, in un certo senso era riuscita ad attirarlo a sé. Certo, poi le cose erano finite molto male perché Draven non era scappato a gambe levate, ma di sicuro era riuscita a stabilire un precedente con lui. Molto più di quanto Christelle, nonostante fossero dello stesso anno e frequentassero tutte le lezioni insieme, avesse mai fatto. La situazione le era parsa ancora più assurda quando lui, dopo un tempo infinito di ignorarsi a vicenda e fingere uno l’inesistenza dell’altra, aveva ripreso a salutarla e a guardarla negli occhi un paio di volte, per poi ricominciare a evitarla come se nulla fosse successo. Sarebbe diventata presto pazza.

    Complice la bella giornata, Christelle era uscita con il libro di Newt Scamander Animali Fantastici e Dove Trovarli in mano accompagnata da un gruppo di amici Grifondoro più grandi, avevano tutti deciso di rilassarsi nei pressi del Lago Nero per il resto del pomeriggio. Caso volle che, letta l’ultima pagina e quindi chiuso il tomo e riposto nella borsa – lo aveva trovato estremamente interessante e si sentiva quindi molto soddisfatta – notò a pochi metri da lei lo stesso gatto grigio che tempo prima aveva scoperto appartenere a Draven. Prese ad agitarsi sul posto, era seduta a gambe incrociate ai piedi di un albero così da sfruttarne l’ombra, poi cercò di attirare l’attenzione del certosino finché lui non parve convincersi. Si avvicinò, ma con cautela, e non appena uno degli amici di Christelle si accorse di lui e fece per accarezzarlo, il felino gli soffiò contro nervoso e aggressivo e infine fece un balzo con cui sembrò quasi avvicinarsi di propria spontanea volontà alla Grifondoro. Miagolò e fece le fusa finché lei non si fu alzata per sgranchirsi le gambe, e a quel punto prese a camminare dritto verso l’altra riva del lago, così sicuro di sé che Christelle quasi si sentì in dovere di seguirlo, e lo fece, almeno finché non notò Draven da lontano farsi sempre più vicino man mano che il certosino proseguiva… Ok, pensò, questa è sfortuna, oppure è un gatto molto furbo. Gli si avvicinò e lo prese in braccio, un gesto azzardato ma che sembrò gradire quando le si accoccolò in petto. Si fece coraggio e percorse anche l’ultimo tratto di strada verso il Serpeverde, sembrava quasi volersi nascondere ed era più che plausibile, non aveva idea di cos’avrebbe fatto o detto una volta che si fosse accorto di lei, né del perché avesse improvvisamente deciso di rompere lei stessa il silenzio di quelle ultime tre settimane. Forse voleva solo vederci chiaro. Si schiarì la voce.

    «Ho trovato il tuo gatto» lo disse con voce alta e decisa ma non arrogante come al solito. Il felino restò tra le sue braccia e lei d’altro canto non si mosse, aspettava una qualsiasi reazione di Draven dalla quale avrebbe capito se era meglio andarsene o se avrebbe potuto approfittarne per restare.



    Edited by Christelle ~ - 17/6/2020, 03:29
     
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    Aveva la sensazione di sentirsi maledettamente inadeguato. Forse avevano ragione i suoi incubi; forse non era portato per una vita da mago e non era così bravo come credeva di essere. Tutto ciò che riusciva a portare a termine gli riusciva bene solo perché studiava più di chiunque altro; ma il quidditch andava al di là dello studio, era una questione di talento, che lui non aveva. Come aveva potuto pensare di esserne all’altezza? Aveva ancora tempo di ritirarsi dal provino? Non voleva più farlo. Avrebbe fatto una figuraccia, sarebbe diventato lo zimbello della scuola… Aveva la nausea.
    Se avesse potuto, si sarebbe sotterrato.
    Quello, però, al momento sembrava l’unico luogo sicuro in cui nascondersi. L’ultima cosa che voleva, era attraversare la sala comune dei Serpeverde; era riuscito, in qualche modo, a mantenere nascosta la notizia del provino, lo sapevano in pochissimi ed era stato un bel sollievo scoprire che di qualcuno ci si poteva fidare. Non aveva alcuna voglia, però, di incontrare i suoi amici.
    Magari nessuno si sarebbe accorto, l’indomani mattina, che era in campo a effettuare il provino e, se fosse andato male, sarebbe riuscito a tenerlo nascosto… Era un’ipotesi azzardata, ma ci sperava fortemente.
    Sentì ancora una volta lo stomaco rivoltarsi in risposta ai propri pensieri. Il desiderio di smettere di pensarci, concentrandosi solo sul rumore del vento, era durato poco. Provò a canticchiarsi una canzone nella testa, ma gli vennero in mente solo canzoni babbane che aveva odiato da ragazzino e l’idea gli peggiorò l’umore. Troppo sensibile, troppo suscettibile. Troppo inutile: non riusciva nemmeno a controllare le proprie emozioni. Che diavolo gli stava succedendo?
    Ma la ciliegina sulla torta arrivò solo molto dopo, anche se non seppe dire quanto tempo fosse passato da quando si era raggomitolato in sé stesso; di certo non ne era passato poco, perché schiena e gambe cominciavano a essere intorpidite da quella postura.
    La voce di Christelle, improvvisa e inaspettata, gli provocò un brivido freddo lungo la spina dorsale. Non ci voleva, proprio oggi… Proprio in quel momento. Forse qualcuno gli aveva imposto una fattura di sfiga? Chissà se esisteva una cosa del genere… Sarebbe stato bello scoprire che quella terribile giornata era solo frutto di una perfida magia.
    Pur non avendo la minima idea di che tipo di espressione avesse volto, presumibilmente quella di uno sul punto di piangere, alzò di poco la testa per incrociare lo sguardo della Jones: Donut era accoccolato beatamente su di lei. Istintivamente inarcò un sopracciglio, sorpreso da quella scena; Christelle ci sapeva fare con gli animali, ma quel maledetto gatto era iper-sensibile, odiava chiunque e a stento tollerava lui, solo perché da più piccolo lo aveva ben accudito e ad oggi percepiva il lascito di un affetto non ben esternato. Era sorprendente la tranquillità che dimostrò tra le sue braccia... Per uno stupido attimo, ne fu invidioso.

    “Ti prego, non oggi…” – si trovò a risponderle di getto, quasi implorante, per paura che potesse avvenire un qualche tipo di conversazione con lei che avrebbe finito col peggiorare le cose. Lo stomaco era diventato una morsa insopportabile e dolorosa.

    “Puoi tenerlo. Oggi mi odia più del solito…” – aggiunse poi con voce atona, lanciando un ultimo sguardo al gatto che emise un miagolio stridulo, quasi a volergli rispondere di 'si'.
    Sembrava in estasi tra le braccia di Christelle. Con lui si era comportato così affettuosamente solo di rado… E lei non era mai stata così propensa ad abbracciare lui come lo era con quella palla di pelo.
    Non piaceva a nessuno, non sarebbe piaciuto nemmeno all’esaminatore e per motivi ben più seri di un terribile carattere introverso.
    Ignorando l’intorpidimento in quasi tutto il corpo, riaffondò il viso tra le braccia.


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    Per qualche strano motivo si sentì come la protagonista di quello strano romanzo per bambini babbani, Alice nel paese delle Meraviglie, con la differenza che era stato un gatto grigio a ingannarla e non il coniglio bianco. Il certosino si stringeva a lei e parve anche accennare delle fusa soddisfatte accoccolato tra il collo e la spalla, perfettamente a suo agio, d’altronde Christelle era abituata ad avere un ottimo rapporto con gli animali, le riusciva naturale e per qualche strana ragione loro avevano sempre ricambiato affetto e attrazione nei suoi confronti. La risposta di Draven la irritò ed era già pronta a girare i tacchi e tornarsene dagli altri amici Grifondoro, a leggere o ridere con loro, si chiese perché diamine continuasse a perdere tempo con un Serpeverde noioso, musone, antipatico, rigido…

    Posò a terra il certosino, libero di tornare dal padrone, ma Draven aveva una pessima cera e Christelle non poté fare a meno di notarlo. «Perché ti odia? È il tuo gatto» continuava a chiamarlo gatto, lui non le aveva ancora detto come si chiamasse. Ci pensò, in piedi a pochi metri dal Serpeverde, e poi come al solito decise di fare di testa propria e affidarsi all’istinto. Si sedette sull’erba al suo fianco, una distanza ragionevole e gambe incrociate.

    «È venuto a cercarmi lui e mi ha trovata dall’altra sponda del lago, ma tu perché sei qui da solo?» gli parlò più naturale possibile, come se non si fossero ignorati a vicenda per tre intere settimane, e fece anche finta che lui non avesse nascosto il viso tra le braccia. Che diavolo gli prendeva?

    «Si può sapere che hai?» sbottò infine.



    Edited by Christelle ~ - 11/6/2020, 03:04
     
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    Aveva quasi del tutto perso sensibilità nelle gambe, se non fosse per il formicolio nei piedi; per uno alto quanto lui, quella era decisamente una posizione scomoda da assumere… Ma lo tranquillizzava. Era l’unico modo che conosceva per chiudersi davvero in sé stesso; fin da quando era piccolo, ovunque si trovasse, se qualcosa lo turbava, chiudersi a riccio lo aiutava a riprendere il controllo di sé. Forse non funzionava più così bene perché era troppo cresciuto per evitare di affrontare le proprie emozioni. Crescendo, aveva imparato ad escluderle da qualsiasi cosa facesse, proprio perché non voleva privarsi di nessuna possibilità e aveva imparato, di conseguenza, ad agire con lucidità mentale sempre e comunque, ma che fosse colpa degli ormoni adolescenziali, delle ambizioni troppo elevate per un quasi sedicenne o di entrambe le cose, in quei giorni gli era risultato impossibile riuscirci. Ci aveva pensato un po’ su in quei minuti di silenzio e solitudine ed era venuto faticosamente ad una conclusione: sarebbe tornato in sé, o prima o dopo il provino, non poteva dargli tutta quella importanza; lo avrebbe fatto perché Draven Shaw non si tirava indietro davanti a nulla e, con quel briciolo di lucidità mentale che con difficoltà e dopo parecchi giorni di angoscia aveva appena ritrovato, si vergognò di sé stesso per aver pensato di ritirarsi dal provino… Il solo fatto che gli fosse stata data quella possibilità era motivo di orgoglio. Doveva impegnarsi per dare il meglio di sé, a prescindere dal risultato… Sebbene, per uno competitivo come lui, convincersi di non dare importanza al risultato richiedeva altre numerose ore di riflessione, pensarlo era un passo avanti.
    Con l’arrivo inaspettato di Christelle, però, le sue budella avevano ripreso a litigare con le api frizzole che di tanto in tanto si palesavano dentro di lui quando incrociava lo sguardo della ragazza. Ormai, era impossibile cercare di non ammettere almeno a sé stesso che gli piaceva. Se n’era fatto una ragione nelle ultime settimane, quando aveva capito che il suo umore altalenante virava sull'euforico più facilmente quando la salutava. Quel provino e l’umore ballerino che ne era conseguito, aveva reso di nuovo difficili le cose anche con lei. Si sarebbe allontanata di nuovo da lui e, forse - come continuava a ripetersi ormai da più di un mese - era meglio così, ma contro ogni sua aspettativa, la ragazza parlò di nuovo… Non se n’era andata. Sempre tenendo la faccia ben nascosta tra le braccia, più che altro perché a quel punto scrociarle da quella posizione sarebbe stato doloroso, la volse appena verso di lei, abbastanza per scoprire solo un occhio e guardarla. Era seduta lì, non proprio vicino, ma nemmeno distante. Abbassò per un attimo lo sguardo su quel maledetto gatto... Lo aveva fatto apposta ad andare da lei? Possibile?!

    “Sto sempre da solo… o quasi.”
    – rispose, rendendosi subito conto del fatto che non fosse del tutto vero; in quella fase di crescita, tra gli sbalzi d’umore con picchi estremi che andavano dall’euforia alla depressione, si era riscoperto non socievole di certo, ma meno misantropo.

    “No.” – rispose poi, secco, continuando a guardarla con quel singolo occhio.
    “Come va con Isla?” – chiese poi, sperando di spostare l’argomento di conversazione su di lei. Non aveva voglia di parlare, per il momento, ma non gli dispiaceva l'idea di ascoltare e stare lì con lei...


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    Non ricordava di essersi sentita così in imbarazzo da molto, moltissimo tempo, forse non le era mai successo prima d’ora. Christelle non era il tipo da bloccarsi davanti ai ragazzi carini, anzi, non che fosse così esperta, aveva avuto solo una fidanzato in fondo e lo considerava mezzo scemo, però era stata lei a muovere il primo passo in quel caso con estrema nonchalance e anche un certo menefreghismo – era convinta che meno le importasse della persona che le stava davanti, più sarebbe apparsa interessante, estroversa, al contrario invece poteva apparire goffa e imbranata. Forse il problema era proprio quello, ma subito scacciò via quel fastidioso pensiero.

    «E perché sei sempre da solo, o quasi?» sapeva di poter risultare irritante e sfacciata a insistere, ma non le importava. Voleva vederci chiaro su di lui, e voleva farlo subito. Era quello il motivo per cui aveva seguito il certosino senza esitare, nonostante sapesse fosse il gatto di Draven, no? Non si erano rivolti la parola per ben tre settimane e contrariamente a ogni aspettativa dal primo all’ultimo giorno aveva avuto voglia di rivederlo, anche solo per rivolgergli qualche commento sarcastico o addirittura urlargli in faccia. Sarebbe stato divertente. Nessuna tra le sue amiche e amici, e neanche il fratello, era a conoscenza di quei pensieri.

    «No?! Certo che sì, cos’hai?» rispose di getto girandosi a guardarlo, e nonostante il suo viso fosse per metà nascosto i loro sguardi s’incrociarono donandole un leggero ma più che percettibile brivido lungo la colonna vertebrale. Solo in quel momento si accorse di quanto fossero effettivamente vicini, molto più di quanto avesse creduto all’inizio nel sedersi al suo fianco. Era in imbarazzo mentre le guance si coloravano di un vermiglio acceso. Nella speranza che lui non si fosse accorto di nulla prese ad accarezzare il gatto, che nel frattempo le era tornato vicino per accoccolarsi in parte sulle sue gambe.

    «Non ci parliamo» non aggiunse alcun tipo di particolare, in fondo non ce n’erano, la situazione era molto semplice e chiara. Trovò il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi e per la seconda volta si sentì strana, lo stomaco le si attorcigliò, quindi decise di sfilare via la bacchetta dalle tasche del mantello come fosse stata quest’ultima a pungerle lo stomaco. «È lei che non mi parla, la situazione non è cambiata di una virgola» concluse. Quasi si ritrovò a sperare che lui le dicesse invece di aver parlato a lungo con Isla, e anzi, di aver scoperto che contrariamente a quanto pensava c’era una forte intesa tra loro, un attrazione insomma, e adesso erano fidanzati. Una frase del genere avrebbe estirpato ogni tipo di dubbio, avrebbe dimenticato qualsiasi cosa sentisse verso Draven per sempre e forse lei e sua sorella avrebbero fatto pace. Tutto sarebbe stato sicuramente più facile.

    «Se ti do fastidio me ne vado» disse quella frase a voce molto bassa per i suoi standard, mentre giocherellava con le zampette del gatto e lo accarezzava. Si sentiva così stupida per averlo raggiunto e disturbato.

     
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    Draven Shaw

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    Nel corso del tempo aveva constatato che le creature magiche e gli animali cresciuti in ambiente magico erano molto più intelligenti, quasi umanoidi nel pensiero e nelle azioni, rispetto alle creature che vivevano in un ambiente babbano, ma la sua razionalità gli aveva in qualche modo impedito di crederci davvero, fino a quel momento; non poteva essere un caso se fra tante persone, Donut aveva deciso di adescare proprio Christelle, e in un momento come quello per giunta. Era come se gli avesse letto nel pensiero, anzi, nell’anima, l’esigenza di averla vicino; ma vista la situazione, di primo acchito non aveva preso bene il suo arrivo: aveva sempre avuto la tendenza di giudicarlo furiosamente e, al solo pensiero, si era sentito anche peggio. Non che volesse dimostrarle qualcosa, non era per niente sicuro che potesse in qualche modo interessarle, ma il senso di competizione caratteriale – se così lo si vuole definire – che aveva sempre percepito in contrasto con il suo modo di fare lo aveva… risvegliato? Possibile?!
    A quel punto, si trovò a pensare che tutto era possibile ed era decisamente tutto molto strano; col passare di quei primi minuti in cui aveva ripreso a ragionare ed essere un po’ più sé stesso, però, l’atteggiamento di Donut si rivelò essere la cosa meno strana di tutte. Perché lei, pur nel suo solito modo di fare insistente e un po’ isterico, aveva deciso di perdere tempo lì con lui, nonostante i casini con Isla e tutto ciò che tra loro due era successo nell’ultima mesata; mentre lui, nel suo solito modo di fare schivo e schietto allo stesso tempo, si era trovato a sentire l’improvvisa esigenza di restare sì da solo, ma con lei.
    Le api frizzole avevano iniziato a spostarsi dallo stomaco fino al cuore, che sentì battergli forte nel petto, più forte del normale, quando aveva incrociato il suo sguardo ancora una volta e l'aveva vista arrossire appena. Non lo odiava, riusciva a percepirlo… E di certo lui non odiava lei, tutt’altro.

    “Mi piace il suono dei miei pensieri…?” – ribattè in un primo momento, senza riuscire ad impedire che gli angoli delle labbra si curvassero in un mezzo sorriso, mostrando sulla guancia destra scoperta dalle braccia una piccola fossetta.

    “No…” – ripetè poi alla rinnovata richiesta di parlarle, ma con un tono meno duro stavolta, mantenendo quell’accenno di sorriso un po’ sogghignante. Era divertente, dopotutto, tenerla sulle spine, ma non lo faceva di proposito, semplicemente non aveva voglia di parlare di ciò che lo aveva angosciato per giorni e che al momento, proprio grazie lei – presumibilmente – aveva iniziato ad indietreggiare tra pensieri ed emozioni fin quasi a non risultare più una priorità. Si sentiva meglio; voleva accertarsene prima di parlarne ad alta voce e rischiare di risvegliare quel terribile senso di oppressione.
    L’ascoltò, perché era la cosa che – sorprendentemente – aveva più voglia di fare in quel momento. Ad essere del tutto onesti, quando non gli urlava addosso, aveva una bella voce… In qualche modo, dolce ed eccitante allo stesso tempo.
    A quel pensiero si accorse di essere rimasto incantato con lo sguardo fisso su di lei e, con le api frizzole che ormai banchettavano tra stomaco e petto, deviò lo sguardo davanti a sé, verso il lago, liberando il viso dalla morsa delle braccia per appoggiarvisi con il mento.

    “Pensavo andasse meglio… Ha smesso di parlarmi e di cercarmi, da diversi giorni ormai. E credo che abbia minacciato metà degli studenti di questa scuola perché nessuno parla più di me nei corridoi e nessuna ragazza mi si avvicina in alcun modo…” – iniziò a spiegarle, tornato serio, con lo sguardo ancora fisso sulla superficie del lago.
    Con la coda degli occhi, la vide tornare ad accarezzare Donut. Quel maledetto gatto continuava a prendersi gioco di lui… Cos’era? Voleva per caso farlo ingelosire della facilità con cui poteva buttarsi tra le sue braccia?! Certo, per lui era facile… Le relazioni umane erano più complicate di così.

    “No. Resta… Per favore. Se vuoi…” – si affrettò poi a risponderle, senza la minima esitazione, ma con un tono forse un po’ troppo duro che andò ad addolcirsi.
    Prese un respiro profondo e lì, in quel momento, capì che se per la sua filosofia di vita doveva affrontare a testa alta e razionalità qualsiasi cosa gli si parasse davanti senza mai tirarsi indietro, forse era arrivato il momento di farlo anche con lei; aveva aspettato anche troppo. O la va, o la spacca! Ma, qualsiasi sarebbe stata la conseguenza delle parole che di lì a poco le avrebbe detto – o per meglio dire, confessato – le avrebbe affrontate senza rimorsi. Evidentemente, quella era la giornata dei pesi tolti dallo stomaco o qualcosa del genere…

    “Come reagiresti se sapessi che ho un segreto che potrebbe complicare ancora di più il rapporto con tua sorella, sia che tu decida di tenerlo per te, sia che tu decida di dirlo a chiunque? Che è il motivo per cui ho baciato Isla, ma non mi sono voluto mettere con lei? Che è il motivo per cui me ne sto in disparte più del solito quando ci sei tu in giro e ho cercato di evitarti in ogni modo da quando ci siamo rivolti la parola?” – si decise a dire tutto d’un fiato, corrucciando appena lo sguardo, sempre fisso sul lago, intenzionato a non guardarla per paura di tirarsi indietro. Ora che aveva gettato l’amo, poteva solo andare avanti.


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    Christelle faticava a stare zitta e questo era assodato, ma la situazione peggiorava molto nei momenti di tensione o imbarazzo come stava succedendo con Draven. Cercava di tenersi impegnata accarezzando il gatto, di cui avrebbe tanto voluto sapere almeno il nome, ma la verità era che niente avrebbe potuto cancellare la stranezza di quel momento insieme dopo tre settimane di assoluto silenzio tra loro. Aveva accettato di seguire il certosino, nonostante in cuor suo sapeva dove la stesse – intenzionalmente o meno – portando, solo perché sentiva il bisogno di far chiarezza e in un certo senso, sì… Aveva anche voglia di rivederlo. Faticava a far pace con quei pensieri, l’idea di esprimerli a voce alta non l’aveva mai neanche solo sfiorata, eppure le mani sudavano e il collo era diventato rosso così come il resto della faccia. Faticava ad alzare lo sguardo su di lui, una sensazione che a stento riconosceva, e la sola idea di incrociare di nuovo i suoi occhi la faceva sentir male. La tensione era crescente e nonostante la percepisse, al tempo stesso non ne capiva fino in fondo il motivo.

    «Una risposta molto sagace» ovviamente era sarcastica e alzò gli occhi al cielo per conferma, ma quando si accorse che Draven sorrideva non riuscì a trattenersi dal fare lo stesso. Incurvò le labbra e con una smorfia di disappunto si costrinse a tornare seria. Neanche a dirlo, i pensieri su quanto lui fosse bello, anzi, bellissimo – in fondo lo aveva sempre pensato, ma adesso la situazione era molto peggiorata – risalirono a galla con estrema facilità. E poi accennò a Isla: nel sentirlo dire che la sorella aveva smesso di parlargli e cercarlo ebbe un tuffo al cuore, ogni pensiero paranoico delle ultime settimane si dissolse. Addirittura sorrise di nuovo. «Le passerà» disse ma non lo pensava davvero e apparve poco convinta, tra loro c’erano stati moltissimi litigi ma mai di così drastici e radicali, e Christelle era ancora molto spaventata per come le cose sarebbero potute andare a finire. A peggiorare la situazione fu la richiesta di Draven di restare, la Grifondoro quasi aveva sperato lui la scacciasse per poter placare i propri sensi di colpa, e invece ne fu contenta, si sentì felice e addirittura appagata, lui non voleva che se ne andasse, era stato molto chiaro. Preferiva averla accanto. Bel casino. Si limitò a un silenzio pieno di gioia e ansia insieme, almeno finché lui non parlò ancora.

    Cercava di asciugarsi le mani sudate di agitazione lungo la gonna a pieghe e poi sistemava i capelli dietro le orecchie in un gesto un po’ nervoso, cercava anche di pettinare alla meglio la frangetta che aveva la tendenza a diventare più disordinata del solito quando Christelle si sentiva nervosa. Tutto inutile. Avvampò più di prima su faccia e collo con fastidiose chiazze rossastre, il cuore prese a batterle fortissimo nel petto. Ho un segreto che potrebbe complicare ancora di più il rapporto con tua sorella. No, no e no, non ci siamo, non ci siamo proprio.

    «Di che stai parlando?!» si girò di scatto verso di lui e per la prima volta lo guardò senza alcun timore, gli occhi più grandi del solito, la distanza tra loro ormai annullata. Cercava il suo sguardo e non lo trovava, Draven si ostinava a tenerlo per sé. Il fiume in piena di parole fu inevitabile. «Draven, di che parli? Quale segreto? E perché mai dovresti startene in disparte quando ci sono io? Lo vedi che ho ragione quando dico che non mi sopporti? Avresti fatto meglio a dirmelo e basta, saresti stato molto più sincero e corretto, e poi perché diavolo mi hai chiesto di restare qui adesso, io non ti capisco. Ti diverti a prendermi in giro? Sei davvero incredibile, non ho neanche voglia di starti a sentire ora, qualsiasi sia il tuo segreto puoi tenertelo, io non ti disturberò più, puoi starne certo..»

     
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    Nel momento in cui Isla aveva smesso di cercarlo nei corridoi e aveva iniziato a ignorarlo, si era sentito come se si fosse tolto un macigno dal petto e il buon umore, una sensazione che di rado aveva sperimentato, aveva spesso preso il sopravvento nel corso delle sue giornate. Il tutto si era accentuato quando aveva pensato di poter riprendere, in maniera graduale e discreta, a relazionarsi con Christelle; aveva ingenuamente creduto che fosse tutta acqua sotto i ponti. Perché non aveva mai davvero capito cosa ci trovasse di così speciale in lui una come Isla, stesso motivo per cui non credeva di poter piacere o andare d’accordo con Christelle, con la sola differenza che di quest’ultima gli importava. Doveva essere cauto, andarci con i piedi di piombo… Le ragazze costituivano una distrazione; a volte, certo, positiva, perché facevano smettere di pensare al provino di quidditch professionistico, ma per lo più erano una distrazione problematica. Le attenzioni, le uscite, i regali, i sotterfugi… Non era portato per una relazione.
    E stava divagando.
    Dopo un altro sospiro profondo, decise di scastrarsi da quella scomoda posizione e fu abbastanza accorto da farlo lentamente. Sul viso gli si formò una lieve smorfia quando raddrizzò la schiena e mosse appena la testa verso destra e sinistra per scrocchiare l’osso del collo, intorpidito; distese le gambe, che ripresero subito sensibilità, e piegò appena le ginocchia. Poi, dato che il lago aveva già perso ogni attrattiva e non poteva ignorare ulteriormente lo sguardo di Christelle, si voltò a guardarla… Era arrossita violentemente e l’espressione del viso era più dura. Schiuse le labbra, per iniziare a spiegarsi prima che potesse reagire alla solita Christelle maniera, ma ovviamente non ne ebbe il tempo… Non fu sorpreso della sua reazione, anzi; il giorno in cui fosse riuscito a zittirla avrebbe gridato al miracolo, ma per un attimo fu sorpreso delle sue parole e rimase imbambolato a guardarla. La mente vuota. Era straordinaria la sua capacità di giungere sempre, o quasi, alla conclusione sbagliata.
    In un gesto automatico, fece leva con la mano destra sul prato e si sporse con il busto verso di lei, andando a posarle la mano sinistra sulla bocca; non lo intese come un gesto di stizza, non fece pressione. Non riuscì a pensare a niente di meglio per ottenere qualche secondo di calma e avere il tempo per spiegarsi, perché l’alternativa sarebbe stata parlarle sopra e, per esperienza, sapeva che sarebbe stato inutile.

    “Ascoltami.” – disse semplicemente, imperativo, ma in tono dolce, quasi implorante. Fissò lo sguardo nei suoi occhi quasi sperasse che dal contatto visivo potesse scaturire una qualche magia dal potere calmante e, molto lentamente, lasciò scivolare via la mano dalla sua bocca, restando però con il viso vicino al suo, senza quasi nemmeno battere le ciglia pur di non perdere quel poco di vantaggio.

    “Non ricordo com’è andata la festa di preciso, molti dettagli mi sono stati raccontati perché ero ubriaco perso. Non mi piacciono nemmeno le feste… Era il compleanno di un Corvonero al quinto anno; lo avevo aiutato a studiare per il GUFO di Incantesimi. È amico di tuo fratello, credo. Comunque, c’erano anche Oliver e Isla. E l’ho scambiata per te… Quando ho saputo cos’era successo, non mi aspettavo né una simile reazione da parte di tua sorella, né tutte le altre conseguenze che ne sono venute dietro. E starti vicino mi metteva in imbarazzo, perché avevo pensato di poter baciare te. E ci ho pensato, sia prima che dopo quell'evento. Sei sempre stata tu, mai lei…” – iniziò a dire in tono risoluto, assolutamente sicuro di sé da raccontarle tutto una volta per tutte, ma sul finire del discorso non riuscì a mantenere più il contatto visivo e chinò la testa. Era avvilente ammettere ad alta voce di aver combinato un casino del genere senza alcuna intenzione ed era ancora più avvilente ammettere ad alta voce quei… sentimenti? Non sapeva bene come classificarli.
    A causa dei propri pensieri, sul viso gli si formò una strana smorfia, un misto tra delusione e nervosismo, e d’istinto abbassò ancora di più la testa.
    Si rimise in piedi a velocità della luce, sospirando tra sé.

    “Ora lo sai. Fanne ciò che vuoi.” – disse poi, freddamente, evitando di incrociare di nuovo il suo sguardo.

    “Andiamo, Donut. O resta… Come ti pare.” – disse poi rivolto al gatto che, nel mentre di quella specie di dichiarazione era rimasto imbambolato ai piedi di Christelle senza muoversi minimamente e, quando Draven si era rimesso in piedi, quasi avesse intuito che lo avesse fatto per andare via, fece altrettanto, rizzandosi sulle zampe, ma esitando nella breve distanza tra i due.


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    Quel cosiddetto fiume in piena di parole aiutava Christelle a innalzare un muro tra lei e l’interlocutore, la faceva sentire protetta da eventuali silenzi imbarazzanti o gesti sconsiderati, finché parlava non le sarebbe successo niente di male. Fin dal primo anno a Hogwarts era stata convinta che Draven non riuscisse a stare con lei perché la mal sopportava, i due avevano caratteri così diversi e se Christelle detestava i silenzi, lui le aveva dimostrato più volte di non sopportare le chiacchiere inutili. Si sentì una stupida, era assolutamente convinta le avrebbe rifilato un discorso alla “non sei tu, sono io” per allontanarla, glielo avrebbe fatto capire indirettamente, ne era certa. Si sentì afflitta perché per un attimo, e solo un attimo, aveva addirittura pensato di essersi presa una cotta per lui, avrebbe spiegato molte cose, tra l’altro non l’aveva ancora confessato a nessuno. Il batticuore nei corridoi e a lezione, il pensiero costante e ossessivo in quelle tre settimane di silenzi, il fastidio nei confronti di Isla, la paura che si fossero fidanzati in segreto, la gelosia per quel bacio… Sul serio provava qualcosa per Draven?

    Interruppe quel flusso di coscienza solo quando lui le chiese, gentile e stranamente docile, di ascoltarla e basta. Si zittì, decise per una volta di dargli retta, ma quando si girò verso di lei, e si guardarono, rischiò di riprendere a vomitare parole solo per cancellare quel momento così imbarazzante. Non lo fece, riuscì a trattenersi. Le aveva posato una mano sulle labbra, un po’ a mo’ di scherzo e un po’ seriamente, e quel contatto fisico tra loro a cui non era abituata la fece avvampare più di prima. Che imbarazzo, si sentiva così stupida. Si limitò a fargli cenno di sì con la testa e lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo, ma man mano che Draven andava avanti con il suo discorso, breve e conciso in realtà, lei si sentiva sempre più confusa e allarmata, fu quasi al punto di saltare in piedi come una molla soprattutto quando, dopo averle detto… Cosa le aveva detto, in realtà? Che lei gli piaceva? L’aveva baciata scambiandola per Isla, quindi…? In ogni caso, alla fine scattò in piedi poco dopo di lui, addirittura spaventando il gatto che sobbalzò, indeciso se seguire il padrone o restare immobile.

    «Stai scherzando? E cosa dovrei farci con questa informazione?» gli disse con una rabbia montata negli ultimi circa sei secondi, era confusa e nervosa da quel suo tentativo di fuga. Ebbe l’istinto di tirare fuori la bacchetta e scagliare una qualsiasi maledizione contro di lui. «Sganci la bomba e poi te ne vai? Sei impazzito per caso?» stava alzando la voce. Forse avrebbe pensato che era impazzita e avrebbe ritirato tutto ciò che le aveva appena detto, quindi si prese un paio di secondi per chiudere gli occhi e respirare, calmarsi, ricominciare da capo.

    «Ok» disse. «Hai baciato mia sorella perché l’hai scambiata per me? Questo significa che ti piaccio?» la voce tremava e si rese conto di come, dal momento in cui era riuscita a placare la rabbia, imbarazzo e paura avevano preso il sopravvento. Si passò una mano sul viso per strofinarselo, poi le dita tra i capelli a scompigliare la frangetta.

    «Da quattro anni ti comporti come se mi odiassi» avrebbe voluto chiedergli perché ma la verità era che quell’inaspettata confessione non aveva alcun senso, o forse Christelle era troppo spaventata per trovargliene uno. Senza neanche volerlo il suo cervello prese a esplorare sentieri e territori pericolosi: baciare Draven, ad esempio, proprio lì al Lago Nero, in quel momento, chissà come sarebbe stato. Oppure prenderlo per mano, abbracciarlo. Il contatto fisico tra loro era stato scarsissimo, a malapena sapeva quale fosse l’odore della sua pelle. O forse sì. L’aveva sentito chiaro e tondo dopo la litigata con Isla, tre settimane prima, quando lui l’aveva tirata per un braccio e si erano nascosti vicino alle scale per parlare. Ricordava di aver pensato: Draven ha un buon odore. Non gli era mai stata abbastanza vicina per rendersene conto…

    «Non andare via, per favore» concluse con un filo di voce, senza osare guardarlo negli occhi.

     
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    Non perché fosse davvero interessato a osservare la reazione del certosino, e piuttosto perché aveva necessario bisogno di fissarsi su una distrazione, tenne lo sguardo basso su di lui, lieto di constatare che non era l’unico in conflitto, rimasto confuso da quella situazione… Ora che gliel’aveva detto, era finita. I mesi di ansia, di pressione, di chiusure forzate in sé stesso; poteva tornare a pensare al proprio futuro. Cazzo. Il provino.
    Chiuse gli occhi per un istante. L’ennesimo sospiro profondo indurì maggiormente l’espressione già nervosa sul suo viso. Stentava ancora a credere di aver vuotato il sacco; era stato liberatorio, tremendamente. Ma allora perché non si sentiva meglio? Perché aveva come l’impressione di aver rovinato quel tranquillo momento insieme a lei?
    Quando la vide alzarsi di rimando, azzardò a riportare lo sguardo sul suo viso nella speranza di notare una sua reazione o espressione che potesse palesare almeno in parte come si sentisse, pur restando a testa china, quasi ingobbito su sé stesso nel tentativo di rimpicciolirsi. La premessa era stata chiara: l’aveva avvisata di un segreto che avrebbe potuto mettere a repentaglio non solo loro due, ma anche e soprattutto il suo rapporto con Isla, perché indipendentemente da ciò che provava o non provava la più piccola delle Jones per lui, doveva fare i conti con quella conoscenza… Moralmente, essendo ormai consapevole – o sperava di averglielo capire con l’ovvietà delle parole appena pronunciate – che sua sorella aveva una cotta per lui che non ricambiava e che, invece, aveva lui una cotta per lei, come la faceva sentire?
    Si scoprì curioso di sapere cosa ne pensasse di questa situazione, perché in quel momento chiedersi cosa provasse a sapere che gli piaceva era troppo, in qualche modo. Non era nemmeno sicuro di volerlo sapere…
    Aveva ancora le guance rosse, ma ogni traccia tenera di quella reazione era scomparsa dietro uno sguardo carico di rabbia; forse perché gli diede fastidio la reazione emotiva così aggressiva, forse perché ne rimase deluso… non lo capì nemmeno lui, ma richiuse gli occhi. Rimase immobile e in silenzio, finché non gli pose una serie di domande dirette alle quali sapeva di poter rispondere in maniera concreta e razionale. Dopo l’ennesimo sospiro, si inumidì le labbra in un gesto nervoso e si raddrizzò con la schiena; a testa alta, in tutto il suo metro e ottantotto centimetri, riportò lo sguardo su di lei, ancora nervoso, a sopracciglia corrucciate.

    “Si. E sì. E no… Non ti odiavo e non ti ho mai ignorato volutamente prima della faccenda di Isla. Pensavo di avertelo già spiegato: mi piace stare da solo e tu sei sempre circondata da persone.” – si decise a risponderle, facendo spallucce.
    Erano vicini. Avanzò di un passo e fu sufficiente ad annullare quasi del tutto la loro distanza, ma non disse altro: con la mano sinistra andò a sistemarle la frangetta con le dita, poi con entrambe le mani le sistemò i capelli dietro le orecchie, con gli stessi movimenti che le aveva visto fare tante volte.


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    La rabbia, da imponente e massacrante che era, un sentimento con la tendenza a renderla impulsiva quanto una furia senza controllo, stava via via scemando per lasciare al suo posto della sana confusione e paura, imbarazzo, oltre all’assoluta indecisione su come comportarsi. Possibile non avesse mai avuto neanche un piccolo dubbio riguardo ai sentimenti di Draven nei suoi confronti? E ancora, possibile lei li ricambiasse? Nel caso… Cos’avrebbe detto a Isla?

    Le doleva la testa dalla quantità di pensieri e domande, si sentiva stanca e addirittura spossata, sarebbe tornata volentieri al dormitorio a dormire. Eppure era lì con Draven, lui aveva appena risposto affermativo a tutte le sue domande, tranne una, l’ultima, lo aveva ribadito per l’ennesima volta: non l’odiava e non l’aveva mai odiata. Per la Grifondoro era difficile da credere, solo vagamente riusciva ad accettare quanto il suo atteggiamento e modo di pensare fossero così diversi dal proprio: al suo posto mai, mai e poi mai si sarebbe comportata così, se lui non l’avesse ignorata ed evitata fin dall’inizio forse le cose sarebbero andate in un altro modo. Se i due si fossero avvicinati già alla Cerimonia dello Smistamento, ad esempio, e fossero usciti insieme, Christelle si sarebbe risparmiata un anno di pura noia insieme al Corvonero Michael Hughes, per non parlare dell’estate tormentata dai litigi con la madre per “aver lasciato un ottimo partito”. Ma non erano solo quelli i motivi: la verità era che così forse sarebbe uscita con qualcuno per cui aveva provato qualcosa fin da quando aveva undici anni, non lo sapeva, non aveva mai potuto esplorare quei… Sentimenti? Qualsiasi cosa fossero. In quel momento però, e di questo ne era sicura, l’unica cosa a cui non riusciva a smettere di pensare era il suo odore e la sua vicinanza: Draven profumava di buono, le era sempre sembrato puro, uno stronzo ma sincero e affidabile. Infine con tutta sé stessa si sforzò di non pensare a come, nel caso in cui loro si fossero avvicinati già dal primo anno di Hogwarts, Isla e Draven non si sarebbero mai baciati e il problema adesso non esisterebbe.
    Che gran casino. Non riusciva in nessun modo a riordinare i pensieri.

    La situazione peggiorò quando lui in silenzio si fece più vicino, e il cuore di Christelle prese a spingere, perfino e urlarle nel petto come stesse esplodendo. La distanza tra loro adesso era inesistente. Draven prese a giocare con i suoi capelli, le sfiorò la frangetta, li sistemò dietro le orecchie. Quel breve contatto tra la punta delle sue dita e l’orecchio la fece rabbrividire e le diede anche coraggio.

    «Mi dispiace» iniziò. «Ho un brutto carattere, e.. Ti aggredisco spesso perché non riesco a capirti, è il mio modo di reagire» fece qualcosa di inaspettato persino per sé stessa e mentre parlava andò a sistemarsi i capelli: in realtà voleva solo approfittarne per sfiorargli di nuovo le dita, questa volta con le sue. Lo fece con un’estrema delicatezza dei polpastrelli, prima andando a intrecciare l’indice e il medio ai suoi, poi accarezzandolo fino al polso con il pollice, ne tracciava le linee, come a voler studiare la sua pelle in quel primo contatto tra loro. Adesso ne conosceva l’odore e parte dei lineamenti. Solo a quel punto alzò gli occhi sul suo viso. «Perché me lo stai dicendo? Adesso..?»

     
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    La montagna russa di emozioni stava lentamente riprendendo il sopravvento; nel giro di pochi minuti era passato dal depresso, al sollevato, per poi vergere verso la preoccupazione, la risolutezza e fermarsi per un po’ di nuovo sul sollievo. Starle vicino senza pensare alle conseguenze di quelle loro azioni era stato piacevole, soprattutto se – come in quel momento – non gli urlava addosso, ma era tornato a sentirsi nervoso non appena tra di loro si era creato il silenzio. Era durato, a dir tanto, pochi secondi, perché lei aveva ripreso subito la parola e non bastò a nulla notare il cambiamento di espressione sul suo viso o il fatto che si fosse ritrovato con le dita di una mano intrecciate tra le sue, per sua iniziativa; si era chiesto più volte in quelle ultime settimane e, ancor di più, negli ultimi minuti lì con lei come sarebbe stato poter scegliere di farsi piacere Christelle senza causare problemi alla sua famiglia o senza farne scaturire un immenso pettegolezzo ed era arrivato alla conclusione che non gli importava più di quelle cose, voleva che lei sapesse la realtà dei fatti e si era detto che, a prescindere da ciò che ne sarebbe conseguito, si sarebbe sentito meglio.
    Aveva già cambiato idea.
    Forse perché non l’aveva mai vista così mansueta o, più probabile, perché si era aspettato un rifiuto da parte sua, quel minimo contatto tra le loro dita lo aveva reso di nuovo irritato. Non aveva minimamente preso in considerazione l’ipotesi che lei potesse ricambiare, che potesse piacerle, cosa che gli sembrò abbastanza ovvia giudicando il cambio di atteggiamento di Christelle, ed era stato un grave errore… Perché ora che toccava a lui fare i conti con la realtà dei fatti, la cosa non gli piacque affatto.

    “Non lo so… Troppe domande. Ci penso… Te lo dirò.” – le rispose, nel solito modo freddo e scostante che gli usciva spontaneo dalle labbra ogni volta che si sentiva a disagio con le persone… Il suo solito tono di voce, insomma.
    Aveva lentamente allontanato la mano, con discrezione e premura per evitare che potesse fraintendere il movimento, ma sentì l’impellenza di rimpossessarsi del proprio spazio vitale e quella vicinanza cominciava a stargli stretta.
    Fu attraversato da un’ondata di incoerente delusione non appena riportò lo sguardo a terra, nella speranza di tornare a prestare attenzione al gatto che, invece, aveva approfittato della situazione per allontanarsi per fatti suoi. Non si era aspettato tutta quella sfilza di domande, ma avrebbe dovuto, perché lei era fatta così; aveva creduto di non piacerle e ora che stava constatando il contrario, era sicuro che fosse una questione strettamente legata all’attrazione fisica e si sentì in colpa, perché si trovò a mettere in dubbio i propri sentimenti appena confessati, chiedendosi se anche per lui fosse solo una questione fisica; il pensiero del provino di quidditch era tornato terribilmente vivido tra i pensieri e tra le tante cose che avrebbe potuto fare in quel lasso di tempo, di certo parlare non era tra le priorità. Fu come se nel tempo di un battito di ciglia fosse riuscito a rimuovere gli ultimi minuti di beatitudine passati con Christelle, compresi quelli in cui gli aveva fatto completamente dimenticare dell’ansia per il provino; rifiutò di accettarli.
    L’ipotesi di essere amato era irrealistica. E spaventosa.
    Si sfregò il viso tra le mani, emettendo l’ennesimo sospiro.
    Non era abituato ad andare contro i propri sbalzi d’umore, quindi, l’unica cosa che sentiva di poter fare in quel momento per non mandare all’aria quello che era appena successo tra loro – ammesso che fosse effettivamente successo qualcosa, dato che avevano solo parlato – fu di essere sincero, per assecondare l’umore di quell’attimo e sentirsi meglio.
    Rialzò lo sguardo ad incrociare il suo, inclinando appena la testa da un lato, come a voler osservare meglio i lineamenti del suo viso; non riusciva più a capire la sua espressione o, semplicemente - visto che era ai limiti della follia essere così lunatici - era plausibile credere che non gli interessasse in quel momento sapere cosa le frullasse per la testa. Non seppe dire nemmeno con che espressione sul proprio viso riportò l’attenzione su di lei.

    “Senti, domani ho un provino per entrare come portiere di quidditch nella Lega professionista. Non dirlo a nessuno. però… Non voglio che si sappia. Credo di dover stare da solo per un po’, adesso...”


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    Christelle dava molta, addirittura troppa, importanza alla propria dignità, per questo motivo non piangeva in pubblico e portava avanti l’immagine di giovane Grifondoro con la fierezza e il coraggio che la contraddistinguevano, mai si mostrava spaventata o preda di sentimenti negativi a meno che non si fidasse al cento per cento della propria interlocutrice o interlocutore. Le bastarono pochi secondi in più vicino a Draven per capire che non si fidava di lui, a voler essere precisi dal momento in cui sciolse le dita da quelle della Grifondoro senza un motivo apparente, Christelle percepì un cambiamento che, allo stesso modo, le sembrò innaturale e insensato. Tuttavia lo accettò, anzi, non incolpò il Serpeverde, ma sé stessa per essersi lasciata andare. Quella sensazione fu confermata da ciò che disse dopo, di nuovo ambiguo ed ermetico, ma più di tutto fu il tono di voce a irritarla: era freddo come il ghiaccio. Christelle sentì la rabbia montarle dentro per l’ennesima volta da quando quel maledetto gatto l’aveva ingannata per condurla da Draven, e questa volta decise l’avrebbe sfogata solo dopo essersi allontanata. Non gli avrebbe regalato quell’ennesima soddisfazione.

    Confusa ma inflessibile, lo guardò dritto negli occhi senza il minimo cambiamento d’espressione, non sorrideva. Solo chi conosceva davvero la Grifondoro sapeva quanto fosse difficile per lei restare calma e non esplodere, non lasciarsi trascinare dai sentimenti, l’indifferenza non era mai stata il suo forte. Che razza di idiota, si ritrovò a pensare.

    D’istinto fece un passo indietro come se la vicinanza d’improvviso non solo la ripugnasse, ma la spaventasse anche. Aveva sbagliato a seguire quel gatto ed a rompere il silenzio di tre lunghe settimane tra loro, dato che aveva vissuto benissimo senza Draven per quattro lunghi anni, cosa le faceva credere che non ce l’avrebbe fatta fino al settimo? Ci sarebbe riuscita eccome, a partire da oggi. Quante volte le era capitato che dei ragazzi la idealizzassero, fin dal suo primo e unico fidanzato, Michael Hughes, e a seguire tutti gli altri. Era convinta che nessuno di loro la conoscesse davvero se non per le dicerie su di lei, la popolarità, il carattere forte e risoluto. Per circa cinque secondi aveva creduto di piacere sul serio a Draven, ma aveva già capito di essersi sbagliata. Lui non la conosceva e non era interessato a farlo, non lo sarebbe mai stato, quell’atteggiamento da pazzo glielo aveva confermato. Christelle stava bene, anzi, meglio da sola – aveva sempre sospettato di trovarsi più a suo agio senza un fidanzato tra i piedi, e quella ne era l’ennesima conferma. Non le era ancora chiaro se stesse solo cercando di auto convincersi per nascondere la delusione, o se quei pensieri così invincibili fossero anche autentici: in ogni caso la facevano sentire molto meglio.

    «Ci vediamo» gli disse senza una particolare inflessione o emozione nella voce, e a quel punto si voltò per andarsene, allontanandosi definitivamente da lui, diretta all’altra sponda del lago dove l’aspettavano gli amici e poi al Castello. Non gli augurò buona fortuna né fece domande sul provino di Quidditch, non le importava un bel niente, voleva allontanarsi il più possibile dal Serpeverde e si lasciò andare a un lungo sospiro solo quando fu abbastanza lontana.

     
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    Per quella che gli sembrò essere un’infinità di tempo si trovò a fissarla negli occhi, in silenzio, mentre la propria mente riprendeva a funzionare e a ragionare sul suo cambio di espressione. Aveva rovinato tutto. Di nuovo. Già le cose con lei erano complicate di suo, ci si metteva pure il suo carattere psicolabile…
    Ma come poteva spiegare ad alta voce che odiava essere toccato senza preavviso? O che odiava essere tempestato di domande? Che la sua non era pazienza, ma finta calma serafica? Che se ne stava per conto proprio perché era più facile evitare delusioni e concentrarsi sugli studi?
    Sentiva lo stomaco contorcersi, perché consapevole di aver fatto un grosso errore. Doveva rimediare subito o avrebbe mandato tutto all’aria.
    Nel momento in cui aveva deciso di dirle ciò che provava si era liberato di un peso, perché era bravo a reprimere qualsiasi emozione, talmente bravo da mentire anche a sé stesso e aveva colto l’attimo di debolezza, quell’istante in cui per via dell’ansia per il provino aveva trovato sollievo in lei e aveva voluto andare fino in fondo.
    Aveva il cuore che gli batteva all’impazzata e si stese per terra, solo un attimo, a riflettere a occhi chiusi e mani sul viso, come a nascondersi dal mondo: doveva fare pace con il proprio cervello. Cosa gli piaceva di lei? A parte tutto ciò che era attribuibile all’attrazione fisica… Quel modo che aveva di scattare sull’attenti e aggredirlo, lo eccitava; non era come le altre ragazze piagnucolose e bisognose. Ma era, forse, attribuibile anche questa caratteristica all’attrazione fisica…
    Aprì gli occhi di scatto. Non aveva tempo. Ci avrebbe pensato a tempo debito. Doveva rimediare con lei e doveva rimediare all’allenamento di quiditch. Le due cose, ormai, sembravano connesse l’una all’altra, perché non avrebbe smesso di pensare a Christelle se avesse lasciato le cose in sospeso ancora una volta e in maniera peggiore rispetto a tutte le altre messe insieme e, di conseguenza, non sarebbe riuscito a concentrarsi sul quidditch, per il quale aveva ritrovato la motivazione e voleva mettercela tutta.
    Si rimise in piedi con un balzo e prese a correre il più velocemente possibile; riusciva ancora a vederla, a metà del lago, ancora distante dai suoi amici. Le aveva detto di voler restare solo e lei se n’era semplicemente andata; non aveva fatto scenate. L’aveva zittita, per la prima volta… il che, la diceva lunga.

    “Non mi piace parlare. Non sono bravo con le persone. Oggi è una giornata di merda più del solito. Sono lunatico e basta poco per mandarmi fuori di testa… Non mi aspettavo quella tua reazione. Non è una giustificazione, è solo per risponderti… Hai detto che non mi capisci, così magari è meglio.” – iniziò a dirle, fermandosi alle sue spalle. Non si azzardò ad avvicinarsi troppo o a toccarla. Aveva il respiro affannato per aver corso duecento metri in troppi pochi secondi e si concesse una breve pausa per riprendere fiato.

    “L’ho capito che ti piaccio. Non sono così stupido. Ma non è strano da capire solo per te, è strano anche per me. Non me l’aspettavo… Credo di avertelo detto oggi perché mi aspettavo un tuo rifiuto e credo di aver pensato che sarebbe stato un sollievo pensare a questo, invece che al provino. E questo è quanto…” – concluse con un filo di voce, posandosi le mani sui fianchi, a testa china, nel vano tentativo di riprendere fiato. Per uno che giocava a calcio – anche se ormai solo d’estate – quella scarsa resistenza all’atletica non gli rendeva particolare onore, ma ne diede la colpa alla tachicardia che lo aveva sorpreso già prima che iniziasse a correre. Quella serie di avventure emotive erano troppo da sopportare per una sola giornata…


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