Enchanted forest

Madeline

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    -Mphf.-
    Alec Stephan Aronson, appollaiato come un gargoille su di uno spesso ramo d'albero, osservava truce e pensieroso un punto indefinito di fronte a sé.
    Sconosciuti erano i pensieri che vagabondi rimbalzavano da una parte all'altra della sua scatola cranica, mentre tra la posizione marmorea, il respiro fattosi quasi nullo e le labbra serrate, il Serpeverde passava pressochè completamente inosservato persino alla fauna del posto.
    Non che si fosse inoltrato poi in chissà quale giungla: annoiato dalla monotonia di quei visti e rivisti weekend ad Hogsmeade, quel sabato pomeriggio Islanda aveva voluto mettersi alla ricerca di – non sperava di certo in un'avventura vera e propria ma – quanto meno un pizzico di brio e rottura di quelle pallosissime routine.
    Così, allontanandosi da compagni che a malapena considerava già nei Dormitori, figurarsi poi in classe o ancor di più fuori dalle mura scolastiche – Alec aveva abbandonato le strade principali del piccolo villaggio magico scozzese per addentrarsi nella più ombrosa e silenziosa radura che ne costeggiava il confine est e che sapeva, tra le altre cose, portare ad un certo punto alla famosa Stamberga Strillante “la casa infestata di spiriti più famosa dell'intera Gran Bretagna”.
    Questo perchè nessuno si era ancora scomodato a girovagare nelle caverne più profonde o nelle insenature più nascoste della sua madre patria, la gelida e selvatica Islanda.
    Un piccolo corvo aveva attirato poco dopo la sua attenzione: le iridi del ragazzo, tanto scure da apparire quasi nere così come erano le ali di quell'animale, erano scattate alla sua sinistra inseguendo i movimenti rapidi del volatile. Poi, accovacciato com'era, il Verde Argento si era girato di scatto, lasciando scivolare le gambe in maniera tale da ritrovarsi a cavalloni dello spesso ramo che lo stava reggendo. Per il movimento brusco il volatile si era spaventato, colto alla sprovvista, ed era volato via con uno sbattere d'ali vagamente indignato.
    Lo sguardo di pece del Serpeverde aveva seguito il volo del corvo, con un vago sorriso divertito sulle labbra, sino a che questo non era divenuto un minuscolo puntolino nero nel plumbeo cielo scozzese, ed era così scomparso alla vista.
    Aveva alzato il braccio sinistro, passando la mano corrispondente nei capelli arruffati per liberarsi di piccole schegge di corteccia che nella sua scalata verso quella panoramica non poi così male, aveva accumulato.
    A questo punto, accaddero diverse cose in una rapida e confusionaria sequenza: un improvviso silenzio si fece padrone del bosco, interrotto bruscamente da un grido strozzato indubbiamente di natura umana. Alec si mise sull'attenti, ci fu un caotico fuggi fuggi della piccola fauna lì attorno, e mentre tirava fuori la sua bacchetta preparandosi a saltare per tornare a terra, un secondo urlo questa volta più chiaro, sembrò un'imprecazione di un giovane mago, lo distrasse tanto da fargli ferire il palmo della mano destra mentre il più rapidamente possibile con una spinta da parte di bicipi e avambracci, si ritrovava in un sol balzo a terra.
    -Cazzo!-
    Della ferita alla mano gli importava poco e nulla, era abituato nel corso dei suoi allenamenti a ferirsi nelle più svariate maniere.
    Ma la bacchetta.. nella fretta di tornare con i piedi per terra per poter capire cosa fosse successo, si era dato una breve ma potente spinta spingendo sul ramo su cui era seduto, con i palmi aperti e.. beh, il fragile e sottile catalizzatore proprio tra il palmo della destra e la rigida corteccia.
    Stupida bacchetta. Era ormai la quinta, solo nell'ultimo anno, che si trovava a dover cambiare.
    Sapeva di doverci prestare più attenzione, ma dannazione, perchè diamine quegli stupidi affari non li costruivano più resistenti? Per uno come lui poi, così fisico diciamo.
    Il Verde Argento strinse ciò che rimaneva della bacchetta nella mano, macchiandola di sangue.
    Un ultima occhiata di puro disprezzo, noia ed esplicito scazzo riverberò nel suo sguardo prima che il braccio muscoloso scattasse quasi automaticamente per lanciarla il più lontano possibile: sarebbe dovuto passare da Ollivander, di nuovo, anche se prima avrebbe dovuto trovare chi diamine aveva avuto la brillante idea di urlare nel bel mezzo di una radura silenziosa e pacifica come quella e disturbare così lui e quasi l'intero bosco.
    Probabilmente qualche suo stupido compagno che non sapeva neanche come mettere un piede di fronte all'altro, inciampando così su qualche radice o persino da solo.
    Senza bacchetta peraltro, non poteva neanche guarire quella ferita da taglio, che appena sentiva in realtà, ma gli dava fastidio il fatto che gli avesse macchiato il jeans scuro che indossava, e la semplice t-shirt bianca cui aveva abbinato.
    -Stupida bacchetta e stupido essere.-
    Si ritrovò a borbottare così rivolto a quello sconosciuto che in meno di 30 secondi era riuscito a rovinargli il pomeriggio.
    Adesso, le possibilità erano due: o qualcosa o qualcuno sarebbe riuscito a risollevargli il morale e la giornata.. o qualcosa o qualcuno, gliel'avrebbe rovinata e peggiorata ulteriormente.
     
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    N on era mai stata ad Hogsmeade. Diciassettenne, studentessa americana erano le qualifiche, che la definivano e che avrebbero reso improbabile la propria presenza nel villaggio inglese. Una visita non pianificata, dettata unicamente dal desiderio di soddisfare la propria vanità.
    Al punto di terminare il proprio turno di lavoro da Accessori per il Quidditch di Qualità, li aveva visti: rosa, con lenti di colore diverso, abbastanza insoliti da non passare inosservati. Spettrocoli, così li aveva chiamati la giovane clienti, servita alla bottega e la Texana non era stata in grado di resistere. Lì, così lontana da Ilvermorny, solo per comprare quello specifico paio di occhiali, a cui non aveva saputo resistere.
    Trascorsi trenta minuti dal proprio arrivo al villaggio, Maddie dovette riconoscere di essersi persa. Sbuffò sonoramente, scostando le ciocche di capelli dal viso. Inoltre, si trovava in uno spiazzo circolare ed ignorava completamente quale fosse la direzione giusta da prendere.
    Sbatté i piedini a terra, terribilmente scocciata dalla situazione generale. Lo sguardo, fisso sull’orizzonte, le permise di accorgersi a posteriori della tragedia. Un’enorme pozzanghera, lei troppo distratta per notarla, contribuì ad ingigantire l’incubo. Alimentato, al punto tale da essere troppo da sopportare.
    Gli occhi nocciola scesero sulla gambe, sporche di fango. Madeline deglutì vistosamente, prima di scendere più in basso e, lì, infine vide lo scempio. Una gigantesca macchia marrone sui propri stivali preferiti. Un semplice miscuglio di terriccio ed acqua, che, sommati all’evidente difficoltà di orientamento, non le lasciarono altra scelta.
    Le labbra si spalancarono senza troppe cerimonie. La studentessa dì Ilvermorny urlò la propria frustrazione a pieni polmoni, conscia di essere stata sconfitta. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Spie vigliacche della rabbia dell’americana. Come era potuto succedere tutto questo? E perché proprio a lei? Avrebbe dovuto chiedere a Rigriel. Farsi accompagnare dall’elfo domestico, per evitare tutte le difficoltà a cui non era abituata.
    Smarrita in se stessa, non si era preoccupata di fare piano. Semplicemente, non aveva creduto che, lì, in quel luogo dimenticato dagli Dei, vicino ad un rudere evidentemente abbandonato, ci potesse essere qualcuno.
    Sussultò, colta alla sprovvista da quell’espressione colorita. Una che, qualora fosse uscita dalla propria bocca, avrebbe attirato la furia della madre latino-americana.
    La testa scattò di lato e le iridi nocciola scrutarono i dintorni alla ricerca di quella fonte. Spalancò le palpebre, piacevolmente sorpresa dalla figura poco distante da lei. Alta al punto che, se si fossero messi vicini, avrebbe torreggiato sul suo misero metro e sessanta.
    Le labbra si stirarono verso l’alto. Un momento di defiance, prima di essere arricciate in quel modo artefatto, per cui si era tanto esercitata di fronte allo specchio. Nonostante la camicetta bianca e la gonna pervinca che indossava, parte della sicurezza si dissolse. Inorridì, resasi conto di non avere il lucida labbra e Ruby, sua compagna di stanza, l’aveva convinta, che fosse indispensabile. Magari, se si fosse voltata, avrebbe potuto pescare quello al gusto ciliegia dalla borsa e sarebbe riuscita ad applicarne un poco. Quante probabilità aveva di riuscirci?
    L’attenzione venne calamitata altrove. Maddie inarcò le sopracciglia, incapace di comprendere, perché gli indumenti di lui fossero sporchi di rosso vivo. Una moda strana, quella inglese e, francamente, non era sicura di apprezzarla. Continuò il lento esame, arrestandosi bruscamente sulla mano di lui.
    ”È...è sangue quello?” squittì, sentendosi improvvisamente mancare. Si avvicinò, tentando di ignorare i morsi, che le attanagliavano lo stomaco. Incauta, ma desiderosa di guardare, aiutare.
    ”Posso...Io, ehm...aiutare?” Le parole le morirono in gola, impedendole di articolare correttamente la volontà di dare una mano allo sconosciuto.
    Bianca come un cencio, tentò di allungare la mano. Era normale che girasse tutto?
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    Una volta con i piedi ben piantati per terra, lo sguardo torbido si era fatto trucemente attento.
    La bacchetta scagliata lontano poco gli importava, e persino il taglio alla mano più che un vago fastidio, non catturava la sua attenzione.
    Il giovane Verde Argento invece, per qualche interminabile attimo si era concentrato dapprima sul proprio respiro – la quiete prima della tempesta, non poteva pretendere d'altronde di farsi trovare preparato all'imminente battaglia (perchè per Aronson sempre di battaglie si parlava) senza riuscire a concentrarsi prima sulla propria presenza mentale e fisica, poi sull'ambiente circostante.
    Aveva regolato il battito cardiaco, appianandolo dopo quello scatto d'ira.
    Poi, rivolgendo i propri sensi verso ciò che lo circondava..un'inaspettata intrusione.
    C'era da dire che era proprio un gran pezzo di moderiamoci, Alec intrusione.
    Il Serpeverde non ci andava poi molto per il sottile su certe questioni, Merlino, non andava molto per il sottile su pressocchè niente nel suo mondo o tutto bianco o tutto nero.
    Era comparsa quasi dal nulla, ma come visione non era affatto male: le iridi scure avevano sondato con tutta calma il corpo minuto della giovane strega che gli si era parata di fronte, dalla gonna di cui più che il colore gli piaceva quanto delle gambe riuscisse a mostrare, la camicetta bianca, il tutto coronato da un visino dagli occhioni nocciola e lunghi capelli castano scuro.
    In quella breve frazione di tempo, Alec senza dire una sola parola aveva incrociato le braccia al petto, prendendosi tutto il tempo per scandagliare a suo piacimento quella figura sconosciuta, assolutamente tranquillo a riguardo.
    -È...è sangue quello? -
    Il corvino sbattè le palpebre un paio di volte, inizialmente confuso perchè assolutamente perso nei suoi pensieri – o pacifica presa visione della strega, detta anche in altri termini – per poi abbozzare sardonicamente mezzo sorriso: -Già. Mi sono tagliato.-
    Rispose quindi con la sua voce già dalle tonalità profonde mentre la mano presa in causa si alzava per essere placidamente mostrata alla sua interlocutrice.
    Mai errore fu più grave.
    -Posso...Io, ehm...aiutare? -
    Ma per quanto apparissero buone le intenzioni della ragazza, il Serpeverde non potè non notare l'improvviso pallore che sembrò dipingere di bianco il viso altrimenti dalle sfumature dorate della strega: fece rapidamente qualche passo in avanti, annullando la distanza tra di loro, e con fare preoccupato prima cercò di ripulirsi velocemente il palmo sanguinolento strisciandolo sulla propria maglietta – ormai già rovinata – poi rapidamente con entrambe le mani strinse le braccia di lei, come a volersi assicurare che riuscisse a stare in piedi.
    -Tutto ok?-
    Borbottò quasi sottovoce, cercando poi di trascinare quella che per lui era bene o male uno scriciolo di ragazza sino al masso più vicino, per farla sedere.
    Ed era pure senza bacchetta, nel caso in cui avesse perso i sensi non avrebbe neppure potuto praticare un semplice Reinnerva.. a meno che non prendesse in prestito il catalizzatore della strega – il che però avrebbe decretato la necessità di cercare suddetto catalizzatore, ovunque di fatto fosse nascosto.
    Magari sotto i vestiti.
    Aah, le gioie e le tragedie delle ormonali età adolescenziali...
    Scrollò brevemente il capo, concentrandosi su quello che stava facendo.
    Fece sedere la ragazza su una grossa pietra muschiata, e si accovacciò l'istante successivo osservandola questa volta con fare curioso: -Dimmelo se stai per svenire. Anzi, prima dimmi dove tieni la bacchetta, perchè la mia si è rotta.-
    Le disse quindi, incastrando lo sguardo nelle iridi castane di lei.
    -E scusami, ma credo di averti sporcato la camicetta.-
    Abbozzò infine, lasciando scivolare la mano ferita dal tessuto bianco che, dopo il suo contatto, aveva irrimediabilmente assunto lo stesso rosso e vivido colorito della sua t-shirt.
     
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    L'attento esame non passò inosservato. Le mani posate sul punto vita, per darsi un tono, era un’altra delle mosse sottratte all’esperienza della compagna di stanza. Fiera di avere attirato l’attenzione dello sconosciuto, benché nel modo totalmente sbagliato. L’urlo doveva averlo distratto da qualsivoglia fosse la sua attività, non certo il suo aspetto. Troppo emozionata o forse troppo ingenua, Maddie non si era posta il problema. In piedi, di fronte al ragazzo, lo aveva scrutato a propria volta, trapassandolo con lo sguardo. Gli occhi nocciola l’avevano guardato per bene, da capo a piedi. Lo sguardo era sceso e sceso. Ci aveva messo più del previsto, sorpresa da una statura così differente dalla propria.
    Il focus sulle mani le aveva fatto scoprire un elemento discordante, forse l’unico che non le era piaciuto: il sangue. Ascoltò la risposta di lui con le orecchie completamente ovattate, incapace di apprezzare quella voce profonda come avrebbe dovuto. Sbatté le palpebre un paio di volte per metterlo a fuoco, anziché flirtare come avrebbe voluto.
    Il taglio, secondo lei profondissimo, in bella vista, fu capace di provocarle un ulteriore sbandamento. Voleva mostrarle la sua ferita di guerra? Scosse piano la testa, rimangiandosi ogni desiderio di vedere cosa si fosse fatto. Forse, se avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto aiutarlo alla cieca. I denti si strinsero sulla parentesi orizzontale del labbro inferiore.
    Respirò piano, cercando di incamerare quanto più ossigeno possibile. Non svenire, non svenire. Un mantra nella testa a rivaleggiare con i preziosi consigli di Ruby. Ridi alle sue battute ed ondeggia i capelli. Ripenso ad entrambe le perle. Ingenua a tal punto da crederle oro colato. Malgrado le proprie condizioni, provò a scuotere lentamente la chioma, ottenendo, probabilmente, l’effetto opposto. La testa iniziò a girarle ancora più forte. Debolezza, effetti collaterali del movimento brusco e mortificazione sommate a causa di un’ingiustizia divina.
    Spalancò gli occhi, presa completamente alla sprovvista da quel tocco fermo e delicato. Le iridi castane si incastrarono in quelle molto più scure di quelle del mago e, per un attimo, scordò tutto. Dimenticò la terribile ferita e il sangue, che, con ogni probabilità, le avrebbe insudiciato la camicetta.
    Il fisico minuto e debilitato incespicò. Seguì quella figura altissima senza domande. Benché si vantasse di saperci fare con il sesso opposto, la texana era, in realtà, completamente inesperta. Non sapeva assolutamente cosa fare, come comportarsi. L’intera preparazione era frutto delle direttive di un’altra giovane Thunderbirds, quasi sicuramente impreparata quanto lei, e dalla lettura di alcune riviste.
    Lì, seduta su un masso, che le avrebbe imbrattato anche la gonna, ripensò a tutto ciò che sapeva. Il naso si arricciò, manifesto della confusione di lei. La vista di lui accucciato, così da essere all’altezza della texana, la trapassò come un potente incantesimo Confundus. Voleva baciarla! Scioccata, separò appena le labbra. Non poteva, non così. Non aveva nemmeno il lucidalabbra, per tutti i Wampus.

    Dimmelo se stai per svenire. Anzi, prima dimmi dove tieni la bacchetta, perchè la mia si è rotta.

    Trattenne il fiato, ipersensibile a quello sguardo fisso. La fronte si aggrottò ed il mento si abbassò in direzione del proprio catalizzatore, custodito sul porta-bacchetta da coscia. Unico posto possibile, dal momento che non aveva tasche in quella gonna.
    La realizzazione le arrivò con un secondo di ritardo. Strinse appena gli avambracci di lui, incredula. Una profonda delusione la trapassò. Tutte quelle moine erano state un’espediente per rubarle la bacchetta, solo perché la sua era rotta. Gli angoli delle labbra si abbassarono, ma, quando la mano di lui scivolò via dal suo braccio, Madeline dimenticò tutto.
    ”Nel porta-bacchetta da coscia. Dove altro potrebbe essere? Credi…credi che io stia per svenire?” sibilò con una voce più flebile del consueto.
    Poteva avere il suo catalizzatore, che importava. C’erano modi molto peggiori per trapassare e, se l’avesse fatto tra le braccia di un mago attraente, non sarebbe stata una grossa perdita. Ripensò all’anziano cliente canuto, che, ormai da settimane, provava ad incastrarla con un ragazzino scortese e villano di nome Herbert.
    ”Come ti chiami?” tubò, improvvisamente più vigile. Curiosa di conoscere la risposta a quella domanda, divenuta improvvisamente fondamentale.
    ”Io sono Madeline, ma tu sollevò l’indice ”puoi chiamarmi Maddie”.
    La mano scese per sistemare le punte dei capelli. Stava meglio, tanto che si arrischiò persino di guardare la camicetta, ormai irrimediabilmente rovinata. Le spalle si sollevarono verso l’alto, contemporaneamente agli angoli della bocca. Gli sorrise, perché non le importava che le avesse rovinato la maglietta.
    ”I ragazzi inglesi sono tutti carini come te?” soffiò, ridacchiando leggermente. Avrebbe solo dovuto ridere a una sua battuta e il gioco sarebbe stato completato. Ruby sarebbe stata così fiera di lei, sempre che prima non fosse morta di invidia.
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    Alec Stephan Aronson del mondo femminile non sapeva né troppo, né troppo poco.
    Secondo il giovane Serpeverde, lui ne sapeva il giusto.
    Nel corso della sua relativamente breve vita aveva avuto svariate relazioni – a onor del vero la maggior parte concentrate negli ultimi due anni di scuola, dopo il suo ultimo sviluppo che l'aveva visto crescere in altezza e aumentare ancor più significativamente il tono muscolare, insieme alla voce che dai toni più leggeri tipici della pre adolescenza, aveva assunto sfumature più basse e profonde che probabilmente lo avrebbero accompagnato poi per tutta la vita.
    La sua prima fidanzatina l'aveva conquistata a cinque anni e mezzo, facendo a botte con un bulletto di otto che le aveva strappato il vestitino.
    Come storia era durata forse forse un paio di settimane, ma ai numeri Alec non aveva mai dato particolare peso.
    Della seconda non ricordava nemmeno il volto, con la terza – la prima storia pseudo seria, con una Corvonero del primo anno come lui – aveva scoperto di non amare poi così tanto le chiacchiere – specie se abbarbicati su qualche divanetto e con tutt'altre intenzioni da parte di lui, dalla quarta in poi era stato un susseguirsi di angoli bui, classi vuote e decisamente poche - facciamo anche nulle - chiacchiere.
    La realtà era che, a dispetto di tutto, Alec continuava a rispecchiare più l'animo del lupo solitario, troncando quelle “chiamiamole-relazioni” dopo un massimo di due mesi.
    Storielle brevi e votate al puro divertimento, pochi amici – pressochè nessuno, in effetti – qualche compito raffazzonato qua e là e gli allenamenti.
    Questa era la vita del Verde Argento, e così sin'ora gli era più che piaciuta.
    Semplice. Con pochi problemi. Concreta.
    Nel mentre, la ragazza di fronte a lui, pallida come la cera, scosse la testa in un movimento vagamente disarticolato agli occhi del corvino, che con un enorme punto interrogativo stampato in volto comunque proseguì con quello che ora era diventato il suo nuovo piccolo compito da portare a termine: impedire che quella ragazza gli svenisse addosso, comportando così non pochi problemi tra bacchette rotte e da cercarle sotto i vestiti, incantesimi, medimag..bah.
    Troppi problemi, e al Serpeverde giustappunto i problemi non piacevano.
    Una volta fatta sedere sulla roccia muschiata, lo sguardo torbido si era incastonato in quello più chiaro e dolce di lei, con quella luce di muta curiosità di fondo: ma cosa stava facendo con le labbra?
    Voleva baciarlo per caso?
    Merlino, a lui sarebbe andato anche bene, anzi.. ma magari non in quello stato, lui, le ragazze, le preferiva decisamente sveglie e reattive quantomeno in quelle occasioni.
    -Nel porta-bacchetta da coscia. Dove altro potrebbe essere? Credi…credi che io stia per svenire? -
    Quantomeno riusciva ancora a costruire frasi di senso compiuto. Non era poi così messa male.
    In silenzio, lo sguardo era scivolato inevitabilmente lungo il fisico della strega, sino alla coscia imputata su cui le iridi scure di Alec si erano soffermate forse qualche attimo di troppo.
    -Sei diventata bianca come la cera.-
    Le rispose ad ogni modo, riportando lo sguardo ad altezza occhioni-da-cerbiatta.
    -Se fossi svenuta, senza la mia bacchetta non avrei potuto aiutarti con un Reinnerva.-
    Spiegò semplicemente, abbozzando subito dopo un sorrisetto provocatorio: -Quindi magari sarei stato costretto a cercare la tua sotto i vestiti.-
    Ma a quanto pare la strega si stava riprendendo dato che le domande non finirono lì.
    Ancora accovacciato, il Serpeverde molleggiò un po' sulle gambe prima di riprendere parola.
    -Piacere Maddie- disse quindi saggiando tra le labbra il nomignolo di cui lui poteva fare uso mentre la ragazza dopo aver constatato la macchia di sangue lasciata sulla sua camicetta, sembrava non dar segno di eventuali grandi problemi – e meno male, si ritrovò a pensare sollevato il mago.
    -Io mi chiamo Alec. E no, anche perchè io sono islandese.-
    Un secondo mezzo sorriso sardonico spuntò tra le labbra, consapevole del fatto che grazie alla pronuncia pressochè perfetta – per la quale doveva ringraziare suo padre adottivo, di fatto inglese – nessuno indovinava mai alla prima le sue origini.
    -Tu invece hai una cadenza strana. Sei di queste parti?-
    Il Serpeverde si rialzò in piedi, incrociando nuovamente le braccia muscolose al petto: -Sei stata tu ad urlare poco fa?-
     
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    Se ti dimostri sicura di te, nessuno dubiterà delle tue capacita. Una frase sentita, probabilmente letta in uno di quegli articoli motivazionali su come conquistare il ragazzo perfetto. Diceria e fondamento sul quale Madeline aveva costruito tutta la finta sicurezza in se stessa. L’estrema estroversione come unico elemento, che le permetteva di mantenere intatta quella pantomima.
    Sembrava esperta o almeno così le piaceva pensare, ma, in verità, non lo era affatto. Durante l’infanzia prima e l’adolescenza poi ogni possibile findanzatino era stato bocciato. Scartato senza mezzi termini dal fratello maggiore. La texana aveva pianto, battuto i piedini a terra e fatto i capricci come succedeva quando non poteva ottenere l’oggetto dei propri desideri. L’essere la sorella minore, unica femmina, era la gioia e la croce della propria giovane esistenza. Viziata e coccolata, ma anche sottoposta ad un irragionevole iper-protezione. Evan la teneva d’occhio e, con il suo temperamento, molto diverso da quello della sorella, spaventava ogni possibile mago interessato a lei.
    Ormai raggiunti i diciassette anni, non solo non aveva mai avuto un ragazzo, ma non aveva mai baciato nessuno. Quello era il motivo per cui ci teneva tanto. Ogni occasione buona per provare l’esperienza, che tanto a lungo le era stata negata. Un’immensa ingiustizia, soprattutto perché il fratello non aveva dovuto sottostare a quelle stesse insulse regole. Le aveva viste le sue ragazze. Espressioni trasognate, che le avevano fatto contorcere le budella. Desiderava lo stesso e, prima o poi, ci sarebbe riuscita.
    Compiaciuta, si agitò sotto l’ennesimo attento esame. Sentirsi trapassare da quello sguardo tenebroso, fermatosi sulla coscia di lei un po’ troppo a lungo. Ingoiò le parole, così nervosa da essere costretta a trattenere persino il fiato. Una nuvola di fumo davanti agli occhi. Occasione sfumata di fronte a quella spiegazione perfettamente logica.
    ”Oh, certo”. Mise il broncio, apertamente, senza preoccuparsi di cosa lui potesse pensare. Colpevole di averla portata fuori strada, di averla illusa senza volerlo. Incrociò le braccia al petto, sollevando appena il mento all’insù. Un disappunto ostentato e senza alcun motivo di esistere.
    Ardente, ma effimero. Un incendio spento dall’allusione del mago. La mano si librò per aria, assecondando l’irrefrenabile impulso di sventolarsi la faccia.
    ”Oh…” Entrambe le sopracciglia inarcate, finse di sapere con precisione a cosa lui si riferisse. Usò un tono civettuolo, uno che sperava fosse adatto al momento.
    Le labbra si stirarono ulteriormente verso l’alto. La mano destra a sostenerle il mento, Madeline si diede un gran tono. La pancia formicolò per la sensazione del soprannome pronunciato in maniera così attenta, dalla voce che, ora che stava meglio, poteva finalmente apprezzare. Talmente naturale, che sembrava non facesse altro. Sicuramente non doveva essere nuovo a quel comportamento, affascinare giovani sconosciute, senza alcuna difficoltà. Ignara, ingenua, ci cadde con tutte le scarpe.
    Si sporse appena in avanti, inclinando la testa di lato. Assorbendo l’impatto del nome di lui. Corto, facile da ricordare, perfetto. Non come Herbert.
    ”Islanda? Non ci sono mai stata ed è un peccato” tubò, lanciandogli un’occhiata assurdamente sfacciata ”Correggo la domanda, allora. I ragazzi islandesi sono tutti carini come te?”. Ostinata a perseguire quella strada. Domande inopportune, ma assolutamente normale per lei. Senza filtri, diretta e trasparente. Essere giudicata male, come una persona inopportuna non le importava, era abituata. Esuberante fino all'accesso, desiderava essere notata nel bene o nel male. Tutto, pur di non essere ignorata, quello, complice il caratterino sviluppato sin da piccola, non lo avrebbe tollerato.
    La mano sfioro distrattamente la clavicola sinistra. Madeline ridacchiò, divertita da quella domanda assurda. La sua cadenza era perfettamente normale, erano gli inglesi o islandesi a parlare strano.
    La testa si mosse ripetutamente a destra e sinistra, in segno di diniego. Afferrò una ciocca di capelli tra le dita, continuando a guardarlo fisso.
    ”Sono americana, texana per la precisione” precisò, tenendo a quella specifica ”Studio ad Ilvermorny, sono una Thunderbird, che è la Casa migliore di sempre. Se sei islandese, perché sei qui? Sei uno studente di questa Howart, Hogwar….” Provò, tentando di ricordare il nome, che aveva sentito innumerevoli volte al negozio.
    Delusa che si fosse sollevato, lo occhieggiò dall’alto in basso. Ora che era seduta, riusciva a farla sentire minuscola e, per la seconda o terza volta, si ritrovò a chiedersi quanto fosse alto. Era forse un mezzo gigante o, al contrario, era lei il problema?
    ”Beh, sì” sollevò leggermente le spalle, allungando le gambe verso di lui, cosicché potesse vedere gli stivaletti macchiati ”Erano i miei preferiti” continuò, lasciando sporgere il labbro inferiore. In una mossa agile, dato che l’aveva praticata innumerevoli volte, estrasse il catlizzatore dal porta bacchetta. Lo tenne sollevato in avanti, piegando l'indice per invitare il verde-argento a farsi avanti e sistemare quel taglio una volta per tutte.
    ”Dimmi, Alec. Come è successo?”
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    Edited by Madeline Mayson - 10/6/2020, 20:40
     
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    Certo, Aronson poteva vantare un discreto quantitativo di svariate esperienze intraprese nel magico mondo in rosa, ma di certo era ad ogni modo consapevole di quanto comunque, probabilmente sino al suo ultimo respiro, certi aspetti, pensieri, atteggiamenti e comportamenti di quelle famigerate femmine non li avrebbe mai, ma proprio mai, capiti sino in fondo.
    Ora ad esempio, alla lista già mediamente lunga – e questo perchè dall' “alto” dei suoi 16 anni pensava già di avere pressochè il mondo in pugno povero piccolo, cosa non gli avrebbe insegnato la vita – di risposte assurde, poteva aggiungere quel che sembrava un palese broncio messo su dalla strega lì di fronte.
    Un broncio. Con tanto di braccia incrociate e nasino per aria.
    Ma per cosa? Ma perchè?
    Ma velocemente com'era comparso, così scomparve.
    Agli occhi del Serpeverde la rapidità dei passaggi di stato d'animo della strega appariva notevole, e lui, da spettatore esterno, osservava interessato quella specie tutta particolare di ragazza dagli occhi da cerbiatta e dall'accento strano.
    Gli piaceva.
    Utilizzava quella tonalità e modo di fare vagamente civettuolo che sinceramente lo divertiva e stuzzicava al tempo stesso, altalenando tra atteggiamenti da donna vissuta ed espressioni da scolaretta alle prime armi.
    Alec non avrebbe mai saputo dire, per ora, quale di queste due versioni rispecchiasse effettivamente la brunetta, ma di certo, se c'era una cosa che ogni tanto gli piaceva fare – special modo con le belle ragazze come lei, anzi, in effetti solo con loro e basta – era giocare un po'.
    -Islanda? Non ci sono mai stata ed è un peccato. Correggo la domanda, allora. I ragazzi islandesi sono tutti carini come te? -
    -Ma se hai me a disposizione proprio qui davanti, cosa te ne frega degli altri islandesi, mh.-
    Alzò un poco entrambe le sopracciglia scure, con un sorrisetto tra le labbra a metà tra il divertito e l'irriverente.
    Se c'era una cosa che gli piaceva fare e in cui era modestamente bravo, era il provocare: che poi fossero belle ragazze o bulletti che si scontravano con la persona sbagliata.. poco importava.
    -Sono americana, texana per la precisione” precisò, tenendo a quella specifica ”Studio ad Ilvermorny, sono una Thunderbird, che è la Casa migliore di sempre. Se sei islandese, perché sei qui? Sei uno studente di questa Howart, Hogwar…. -
    -Hogwarts.-
    La corresse quasi automaticamente, una volta alzatosi comunque con le iridi color pece fisse in quelle di lei.
    -E questa “Casa migliore di sempre” chi accoglierebbe? Belle morette sensibili alla vista del sangue?-
    Ma le gambe lasciate libere alla vista ferina di lui, distolsero nuovamente l'attenzione del corvino quando vennero allungate in sua direzione.
    Una piccola smorfia di assoluta incomprensione gli piegò le labbra quando capì che non solo era stata quella strega a gridare poco prima, ma per giunta.. solo. Per una misera. Macchietta. Di fango. Su degli stivali.
    Davvero certe volte le donne proprio non le capiva..
    Ed era ancora in dubbio circa al movente di quell'urlo quando al cenno della texana, avvicinò la mano ferita alla sua bacchetta.
    Sorrise però, ricatalizzando l'attenzione sulla voce della moretta, all'inflessione che lei diede pronunciando il suo nome, simile a quella da lui stessa utilizzata poco prima, nei suoi confronti.
    -E' successo che mi hai distratto, Maddie.-
    Sorrise quindi, quella punta di irriverenza e divertimento nuovamente a far capolino tra le labbra.
    -Stavo solo cercando un po' di quiete.-
    Piegò il busto, facendo scivolare la mano sana sul quadricipite sino al ginocchio, per poter quindi riportare il volto ad un soffio da quello della ragazza: - Quindi forse, voi Thunderbird siete bravi in questo. Distrarre, attirando l'attenzione.-
    Mosse un ultima volta la mano ferita, prima di riproporla alle amorevoli cure della strega, e lo fece per dare un lieve buffetto con il suo dito indice sfiorando quel nasino che solo pochi attimi prima la ragazza aveva sventolato per aria con fare imbronciato.
    -O sei tu quella esperta, e le tue concasate non sono altrettanto carine?-
     
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    A veva sempre pensato, che le mancasse qualcosa. Assenza di esperienza, dolente come un arto fantasma. Tuttavia, prima di imbattersi nel mago dai capelli corvini, Madeline non aveva realizzato quanto fosse ampia quella stessa mancanza. Quel punzecchiamento, quel flirtare le piaceva davvero. Scambi di battute, rapidi come i propri cambi d’umore, che resero il fastidioso incidente con la fanghiglia più sopportabile.
    Mosse i piedi su e giù, dondolando appena le gambe. Occhi nocciola incastrati a quelli neri di lui, talmente scuri da sembrare un buco nero. Ne era attirata. Il desiderio di gravitare in quell’orbita superava tutto il resto. Un senso di prudenza, già di per sé assente, guastato ulteriormente dal quel fortuito incontro. Lei era troppo semplice, troppo ingenua, troppo trasparente. Incapace di mentire, diceva ciò che le passava per la testa, senza proteggersi con alcun filtro. La natura non le aveva assegnato alcun animo calcolatore, era solo Maddie. Con ogni probabilità, si sarebbe fatta male, ma non le importava.
    Il suo essere carino rese l’intero scambio ancora più piacevole. Eccitata come una bambina, si mosse nervosamente sul posto. Quello, rifletté, era decisamente meglio di un paio di Spettrocoli. Doveva persino ringraziare di essersi persa e di avere rovinato le scarpe, che più preferiva al mondo. Senza quelle disgrazie, tragedie per una diciassettenne dalla vita facile come lei, avrebbe perso l’occasione.
    La replica, vagamente irriverente di lui, ingigantì l’espressione estatica della strega. Le labbra si stirarono verso l’alto. Il capo si inclinò di lato. Tutti gesti rivelatori del proprio interesse.
    ”In effetti…” tubò, arrotolando una ciocca scura attorno all’indice. Lo osservò di sottecchi, frullando le ciglia di tanto in tanto, come se fosse una seduttrice esperta, anziché una diciassettenne senza esperienza alcuna.
    ”Interesse scientifico. Sai, a scopo di ricerca”. Il labbro inferiore risucchiato leggermente in bocca, come tentativo di contenere il proprio divertimento.
    Estroversa com’era, la texana adorava interagire. Ogni momento era buono per conoscere qualcuno, ma fino a quel momento, non aveva mai sperimentato una reciprocità come quella. L’irragionevole iper protezione del fratello ed il proprio modo di fare, spesso incompreso ai più, erano i veri colpevoli. I più buoni l’avrebbero definita eccentrica, ignorando che si nascondesse molto di più sotto la superficie. Altri penavano che fosse un po’ stramba. Il giovane mago dai capelli corvini? Un mistero.
    Separò le labbra, pronta per porre lei stessa quella domanda. Indagare su se stessa, senza farsi alcuno scrupolo. Fiato trattenuto ed una gioia estatica. Si raddrizzò, spingendo le spalle all’indietro. Sentirsi alta tre metri e godersi la sensazione, perché lui la trovava bella.
    Il volto si distese in un sorriso raggiante, inorgoglito dalla presunzione convinzione di essere ad un nonnulla dal farlo capitolare. Le avevano detto che fosse difficile, ma, evidentemente, lei doveva essere un talento naturale. Almeno così pensava.
    Ammiccò, sporgendosi appena verso di lui, un attimo prima di allungare le gambe. Gli stivaletti rovinati calamitarono il proprio interesse ancora una volta. Intristita, si limitò ad osservare quello scempio, prestando poca attenzione alle reazioni di lui. Si perse quella smorfia di incomprensione. Tuttavia, qualora la avesse vista, avrebbe apprezzato il tatto del ragazzo. Malgrado non capisse, non condividesse seriamente il dramma di lei, aveva taciuto. Nessuna critica, né accusa di essersi comportata in maniera esagerata. Solo il silenzio.
    Maddie.
    Di nuovo quel nomignolo, di nuovo quel tono. Si ritrovò a contorcersi sotto le attenzioni di lui. Era compiaciuta da morire.
    ”Ah si?” soffiò, grata che avesse diminuito nuovamente la distanza ”Non credo mi dispiaccia, Alec. In fondo è quello in cui noi Thunderbird siamo bravi, no? Distraiamo perfetti sconosciuti, attiriamo l’attenzione e facciamo casino”.
    Il naso si arricciò, riflesso involontario del contatto con il polpastrello. Le dita della destra si spinsero in avanti per afferrare delicatamente il palmo ferito del mago. Lo osservò velocemente, il minino indispensabile, così da evitare di sentirsi male ancora una volta.
    Con il catalizzatore puntato contro il taglio, risollevò le iridi nocciola, decisa a fissare qualcosa di più interessante.
    ”Epismendo” mormorò appena la formula, mentre muoveva il polso.
    La testa viaggiò altrove. L’attenzione focalizzata sulla domanda di lui, volutamente provocatoria. A onor del vero, Madeline non era affatto l’unica Thunderbird carina, ma non l’avrebbe mai ammesso al mago islandese. Merlino non volesse che Ruby mettesse le mani sul ragazzo. Infondo, volevano spesso la stessa cosa, però, questa volta, era stata lei a vedere il ragazzo per primo.
    ”Ma se hai me a disposizione proprio qui davanti, cosa te ne frega delle altre mie concasate carine?” Ripescò la frase rivoltale in precedenza, riadattandola alle proprie necessità. Sorrisetto stampato sulle labbra, abbassò gli occhi castani sulla mano di lui. Perfettamente guarita.
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    - In effetti…Interesse scientifico. Sai, a scopo di ricerca.-

    Alec sorrise, mentre le iridi scure seguivano la testolina mora della ragazza inclinarsi un poco, la ciocca di capelli arrotolata intorno al dito, lo sbattere ripetuto delle lunghe ciglia e il torturarsi del labbro inferiore.
    E il sorriso, si fece più ampio.
    Era sinceramente indeciso sulla questione: ma si sa, i dubbi, i problemi e le indecisioni con Aronson avevano vita breve.
    Erano giovani, questo era certo, apparentemente due animi giocosi che per pura casualità si erano scontrati in un'improbabile cornice quale era quella radura.. ma oltre a quelle prime, brevi ( e diciamolo, da parte del Verde Argento per ora quasi unicamente di carattere fisico e superficiale) impressioni, cosa c'era?
    Così come a scuola il Serpeverde si era costruito la nomea di ruba-cuori-ma-dal-cuore-solitario, e comunque il suo muoversi su correnti binarie e monocromatiche rispetto alla complessa vastità del mondo nascondeva al mondo stesso una fitta trama di base che andava ad intessere la sua articolata personalità, così poteva essere in fondo anche per quella bella moretta proprio lì di fronte a lui.
    In altri termini.
    Cosa c'era, oltre quel sottile ed impalpabile velo di superficie?
    In altre parole ancora.
    Chi era quella Madeline nascosta dietro a quella Maddie?
    Ma ancora una volta: pochi problemi, pochi dubbi, qua si agisce e lo si fa anche piuttosto in fretta e possibilmente con anche qualche bella messa in mostra di muscoli e testosterone.
    -Ah si? Non credo mi dispiaccia, Alec. In fondo è quello in cui noi Thunderbird siamo bravi, no? Distraiamo perfetti sconosciuti, attiriamo l’attenzione e facciamo casino -
    -Un vero e proprio talento allora, il tuo.-
    Ghignò prendendola un po' in giro.
    Poi, l'attenzione fu ricatalizzata sul tocco lieve di lei, che prendendogli la mano ferita diresse la propria bacchetta verso il palmo dolorante e con un semplice Epismendo pose fine a quel fastidio.
    Per qualche secondo le iridi scure furono come assorbite da quel breve flusso di magia che solo per quei rapidi attimi aveva unito lei e lui, attraverso la magia che scorreva nelle vene di quella ragazza, il catalizzatore con cui l'aveva quindi incanalata, ed infine la sua carne e pelle completamente ricompattate e sane.
    -Ma se hai me a disposizione proprio qui davanti, cosa te ne frega delle altre mie concasate carine? -
    Si sarebbe definito incantato, smarrito per quella manciata di secondi nei suoi pensieri, ma la verità era che il suo cervello lavorava in maniera tanto febbrile e semplice al contempo, che bastarono le successive parole della Thunderbird per accantonare tutto e tornare completamente presente e prestante.
    -Me ne frega perchè le altre chissà, potrebbero fare più o meno storie e prendere.. la decisione sbagliata.-
    Piccola pausa, lasciando la frase pressochè senza alcun senso comprensibile, mentre un sorrisetto divertito e di sfida, faceva capolino tra le labbra piene dell'islandese.
    La mano appena guarita infatti, seppur ormai completamente in ordine, non si spostò di un millimetro rimanendo – anzi – ancora rivolta verso la giovane strega come segno di muto ed implicito invito ad afferrarla per seguirlo.
    -Facciamo così. Ora hai due possibilità.-
    Chissà che in quel modo che era così improvvisato e istintivo, non sorgesse poi l'occasione di intravedere quella Madeline, dietro Maddie.
    -Puoi seguirmi e fidarti delle mie direttive per ottenere..beh, dovrai fidarti anche per ciò che otterrai.
    Oppure puoi mollare tutto e tornartene sui tuoi passi, ti indicherei persino il sentiero principale per tornare ad Hogsmeade in tutta sicurezza.-

    Sorriso smagliante, con quella venatura di sfida, curiosità e sottile divertimento tutt'assieme ad illuminarlo e a riflettersi anche nello sguardo del corvino.
    Si rialzò, di nuovo in piedi di fronte alla ragazza, pronto all'avventura, ma questa volta, sempre con ancora quella mano tesa in sua direzione.
    -Cosa scegli?-
     
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    Non era brava con i misteri. Trasparente com'era, trovava difficile riuscire a comprendere da subito una persona più complessa di lei. Il ragazzo con la mano ferita e la bacchetta spezzata era uno di quei casi apparentemente superiori alle proprie capacità e non si sorprese di esserne piacevolmente colpita. La tendenza ad annoiarsi di tutto, velocemente quanto un battito di ciglia, si era sempre rivelata essere la sua croce più grande. Forse perché viziata dei genitori, si stancava di tutto troppo velocemente.
    Se Alec fosse stato più semplice da comprendere, probabilmente Madeline ne avrebbe avuto abbastanza di quel giochino tra loro. Non era così. Sorpresa, sollevò entrambe le sopracciglia scure, affascinata dal quello scambio continuo e circolare tra loro.
    Gli occhi così scuri di lui, più che uno specchio, rappresentavano una porta chiusa a chiave. Le sarebbe piaciuto sbirciare, intravedere qualcosa di più del affascinante studente islandese, ma, allo stesso tempo, non era sicura di volerlo fare. Temeva che quello che avrebbe scoperto potesse non piacerle, ancora peggio, aveva paura di potersi stancare. Non era disposta a lasciare andare il ragazzo, non così presto ed inconsciamente si ritrovò a prestare più attenzione alla sua esteriorità, notevole, che al resto.
    Era interessata, solo che non sapeva per quanto lo sarebbe stata. Arricciò le labbra, compiaciuta. La testa si mosse lentamente su e giù, annuendo all'affermazione di lui. Maddie si morse l'interno della guancia, tentando inutilmente di contenere quanto si stesse divertendo.
    "Quando vuoi" soffiò. Un autocontrollo cedevole, che le conscesse solo un secondo, prima di scoppiare a ridere. Nascosta dalle ciocche dei capelli, si concesse di esprimere il proprio divertimento. Forse lui stava scherzando, ma se solo avesse saputo. La texana aveva un vero talento nell'attirare l'attenzione e fare casino, anche se non sempre in maniera positiva. Maddie stessa era caos. Ci si poteva adattare, tollerarla, apprezzarla per ciò che era o, in caso contrario, soccombere ed odiarla per l'illogica ragazza che era.
    Curò quella ferita con disattenzione, abbastanza sicura di riuscire in quell'incantesimo anche senza interrompere il contatto visivo con il ragazzo. Il braccio le formicolò durante l'intero processo, ma non ci fece caso.
    La successiva frase di Alec spense ogni traccia di divertimento. Il ghigno divertito si trasformò in un piccolo broncio. Un cambio d'umore talmente rapido da fare girare la testa. Francamente, non era sicura di avere capito cosa intendesse l'islandese, ma, anche se l'avesse fatto, non era sicura che le piacesse. Arricciò il nasino, incrociando velocemente le braccia al petto, sciogliendole subito dopo.
    Il volto si trasformò fino ad assumere una più normale espressione confusa, perché, dopotutto, non era per nulla sicura di cosa l'altro volesse intendere.
    Le labbra si separarono, pronte a pretendere quel chiarimento, ma furono costrette a premersi ancora l'una contro l'altra. Due possibilità? Rizzò la schiena, tradendo la propria curiosità in merito. L'indice sinistro, arrotolato intorno ad una delle ciocche scure, prese a vorticare più forte. Suspence e fiato trattenuto, tutto senza nemmeno accorgersene, fino a quando le due possibilità non le furono spiattellate davanti agli occhi.
    Anche non fosse stata curiosa e lo era notevolemente, la texana era una di quelle persone genuinamente buone. Ingenua, si fidava troppo e troppo spesso, anche di coloro che non sarebbero stati meritevoli. Come poteva dubitare di Alec, l'affascinante ragazzo appena conosciuto?
    Lo percorse con lo sguardo dalla testa ai piedi e quella fu l'unica esitazione che si concesse. Ricacciò il catalizzatore nella mancina, prima di lasciare scivolare l'altra mano, ora libera, in quella notevolmente più grande dello studente di Hogwarts. Aggrappata a quelle cinque dita, come se fossero la terra promessa, si diede una leggera spinta per sollevarsi dal masso. Ritta in piedi a lamentarsi silenziosamente di quella differenza di altezza che le impediva di scrutarlo da vicino.
    Gli sorrise, inclinando la testa di lato, percependo a malapena le ciocche scivolarle lungo la spalla, coperta dalla camicetta.
    "Quindi, dove andiamo?" tubò, completamente dimentica di quale fosse la seconda alternativa offertale. Incurante se quella fosse la scelta giusta o meno, si avvicinò ulteriormente a Alec. Sollevò le iridi nocciola alla ricerca di quelle molto più scure di lui. Non sarebbe riuscita a pazientare ancora a lungo.
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    Di quella ragazza lo attraeva il ritmo incalzante con cui sembrava muoversi, continuamente, rispetto al mondo che la circondava.
    E sembrava essere così limpida rispetto a ciò che le passava bene o male nella mente, un attimo prima una risata cristallina irrompeva vibrando nell'aria fresca attorno a loro, l'attimo seguente le braccia venivano nuovamente incrociate al petto, tornava quel piccolo incomprensibile broncio sul volto, l'attimo dopo ancora la schiena veniva raddrizzata, le braccia sciolte da quel nodo, lo sguardo diveniva attento e curioso.
    Per l'islandese era come osservare un film muto – piuttosto divertente, in effetti, sino a quel momento, di certo bello da guardare - le cui scene solo in minima parte erano state destreggiate tra le abili mani di lui, mentre per il resto.. il “dietro le quinte”, la regia principale, rimanevano pressochè completamente oscure agli occhi del Serpeverde.
    In proposito, ancora non aveva preso una reale decisione rispetto a questa oscillante ambivalenza di pensiero, tra l'attrazione fisica e la curiosità rispetto a cosa ci fosse dietro a quel bel paio di occhi ed il mero e superficiale divertimento che prendeva tanto tempo quanto di fatto ne lasciava. Il famoso carpe diem per il quale era sempre stato così ben disposto.
    Ma forse, quella che ora stava proponendo.. era anche una buona possibilità per scegliere verso che cosa propendere: un approfondimento o una sveltina un altro tipo di approfondimento?
    I dubbi, quelli amletici.
    Essere o non essere.
    Occhio alla mente o occhio al culo.
    Quale battaglia intestina, quale orribile scelta.
    -Quindi, dove andiamo?-
    Un sorriso tutto Verde Argento si allargò tra le labbra dell'islandese, che accogliendo la mano sottile della strega, la scrutò tornare in posizione eretta – mentre di fatto, studiava qualche piccolo dettaglio della fisicità di lei che gli sarebbe tornato utile di lì a poco.
    -Oh, tranquilla, non ci allontaneremo molto.- rispose quindi, facendole cenno con il capo corvino di seguirlo -Non vorrei mai che pensassi che io abbia cattive intenzioni..-
    Aggiunse con tono lascivo, schioccandole un occhiolino.
    Di fatto comunque, là dove la stava portando, non era decisamente lontano.
    Lei l'aveva distratto riportandolo con i piedi per terra.. lui l'avrebbe adesso riportata proprio là da dove era stato bruscamente strappato via: con i piedi per aria.
    Giunsero infatti ai piedi del grosso – ma soprattutto alto – tronco che solo che qualche manciata di minuti prima aveva visto come unico protagonista il mago, nel giro di pochi secondi.
    La destra, passò distrattamente nella chioma color pece, in quel gesto tanto abituale per il Verde Argento da essere oramai quasi consumato.
    Lo sguardo scuro rivolto in alto infatti, attento l'islandese stava cercando il percorso più agile e semplice – principalmente per la sua accompagnatrice d'eccellenza – tra quell'incrociarsi di rami e di foglie, che gli permettesse di raggiungere la panoramica niente male di cui si poteva godere quasi in cima a quell'albero.
    Una volta soddisfatto del piano delineatosi nella mente corvina – non solo aveva individuato i rami più robusti ed adatti per quella scalata tutta improvvisata, ma anche i relativi appigli per le mani più comodi – le iridi nere come l'inchiostro tornarono a rivolgersi alla streghetta al suo fianco.
    -Spero tu non soffra di vertigini.-
    Fu l'unico rapido avvertimento che le diede, prima di abbassarsi veloce cingendole con le braccia le gambe, e portarsela con un potente scatto muscolare sulla spalla.
    Il grosso tronco, appena sulla loro sinistra, permetteva in primis un appoggio stabile alla strega se avesse voluto allungare il braccio in maniera tale da non perdere eventualmente l'equilibrio seduta lì sopra - le mani del corvino comunque a stringerle moderatamente i polpacci per non farla cadere – ed in secondo luogo mostrava un ramo basso, perfetto per quell'incipit di arrampicata, a cui da quell'altezza la Thunderbird sarebbe potuta arrivare quasi comodamente – posto che in ogni caso, il corvino le avrebbe dato volentieri una mano ed una spinta senza specificare dove avrebbe messo volentieri quella mano, nè di che genere di spinta stava or ora pensando-.
    -Se allunghi le mani e ti aggrappi a quel ramo, io da qui ti aiuto e puoi benissimo iniziare a sederti lì sopra. Al resto penseremo un passo alla volta.-
    La voce baritonale era particolarmente tranquilla, dato che di fatto, la palla era letteralmente nelle mani di quella ragazza: ora poteva mettersi alla prova e seguirlo per poi scoprire assieme ciò che sarebbe seguito.. oppure beh, a scivolare giù dalla sua spalla, sarebbe bastato un attimo.
    Sembre bivii, sempre o una scelta o l'altra, con Aronson.
    Nel mentre, lui con quello scricciolo di ragazza in spalla sarebbe potuto rimanerci tranquillamente per ore.
    Soprattutto considerando quel Mr culetto d'oro proprio così vicino.
     
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    Un enigma. La parola le rimbalzò per la mente, riassumendo perfettamente il giovane dai capelli scuri di fronte a lei. Lo sguardo le cadde sulla propria mano, apparentemente minuscola in confronto alla sua. Ci si sentiva, in effetti, piccola e non solo per la statura. Accompagnata da un bagaglio di esperienza misero, abituata ad essere controllata da tutto e da tutti, si rese conto di faticare a stare al passato. Cosa pensava Alec di lei? La propria mancanza di esperienza era così evidente?
    Lo studiò sfacciatamente ricambiando l’espressione di lui. La seguiva, senza sembrare troppo turbato dai repentini cambi d’umore della texana, acquisendo parecchi punti agli occhi di lei.
    Aggrottò la fronte, interdetta dalle parole di lui. In realtà, non aveva minimamente pensato che potesse avere cattive attenzioni, si fidava e basta. Una confusione che si dissipò poco dopo, spazzata via dal tono lascivo e dall’occhiolino.
    ”Ti sembro preoccupata?” tubò, inarcando un sopracciglio. Tentò di essere seducente, ma finì per tendere le labbra in un sorriso troppo genuino, felice che un ragazzo così carino le prestasse tutta l’attenzione che voleva. Evidentemente, doveva essere abbastanza sicuro di se stesso, da non farsi intimidire da lei. Non che Madeline potesse realmente intimorire qualcuno, ma talvolta, a causa del carattere troppo esplicito, allontanava involontariamente l’interlocutore.
    Lo seguì senza chiedere, mordendosi il labbro inferiore con impazienza. Moriva di curiosità e normalmente avrebbe fatto un milione di domande, ma temeva che lui leggesse le mille richieste come una mancanza di fiducia.
    L’aspettativa la ingigantì come un grosso palloncino e la mente prese a divagare nei posti più disperati. Pensieri erranti a briglia sciolta. Le iridi nocciola si ritrovarono ad ammirare un grosso tronco d’albero. Si erano fermarti? Presa com’era dal contatto tra la propria mano e quella di lui, se ne era accorta a stento.
    Passarono un paio di secondi, gli unici che avrebbe potuto attendere con pazienza, prima che reclinasse il capo all’indietro. Una risalita atta ad agganciarsi allo sguardo di lui. Le labbra si separarono, pronte a chiedere una spiegazione.
    ”No, io non…”Le morì tutto in gola. Senza fiato, si lasciò solamente sfuggire un urletto sorpreso.
    Librata in aria, privata del proprio peso. Completamente inconsistente fino a quando non si ritrovò con il sedere premuto contro la spalla di lui. Cercò un appiglio, arcuando le dita sulla spalla libera e sul tricipite del serpeverde. Girava tutto, offuscato dalla paura irrazionale dell’altezza. L’aveva negato solo per non fare brutta figura, ma soffriva di vertigini. Forse perché era bassa, trovava innaturale ogni distanza, che sembrava amplificata, terrorizzante.
    Malgrado fosse spaventata, non poté non apprezzare quella dimostrazione di forza fisica: l’aveva sollevata come una bambola di pezza. Avrebbe preferito ammirare la mascolinità del ragazzo da più in basso, al sicuro, con i piedi bene ancorati a terra, ma non ebbe la forza dirlo o di provare a scendere.
    "Perchè vuoi arrampicarti?"
    Ci teneva a fare bella figura e sbalordirlo in qualche modo, ma era atterrita. Deglutì, consapevole di avere la bocca completamente asciutta. Il suggerimento di lui la convinse a cambiare l’oggetto di studio. Fissò il ramo con le palpebre spalancate e benché fosse estremamente vicino, vista la posizione sopraelevata garantitale dall’Islandese, la distanza le parve insormontabile.
    Scosse piano la testa, vicinissima a crollare. Contrasse le dita e percepì muscoli solidi al di sotto. Sospirò lievemente, abbassando il capo per incastrare le iridi nocciola con quelle molto più scure di lui. Voleva fare bella figura e voleva scoprire quale panorama valesse la fatica di arrampicarsi si un albero.
    ”Per favore” mormorò, sfiorandogli le ciocche di capelli con i polpastrelli della mano sinistra ”Non farmi cadere, Alec”.
    Lo supplicò, guardandolo seriamente per un istante di troppo, prima di distogliere lo sguardo. Allungò entrambe le braccia verso lo spesso ramo sopra la sua testa, sperando che il ragazzo l’aiutasse a colmare i pochi centimetri di distacco, sollevandola in qualche modo.
    Se l’avesse fatto, Maddie avrebbe cercato di agguantare l’albero per tirarsi su con le braccia e salire, lì, dove le era stato indicato. Si sarebbe abbarbicata al ramo come un koala, timorosa di potere scivolare, in attesa che il serpeverde la raggiungesse e le dicesse cosa avrebbe dovuto fare.
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    Alec Sthephan - nato e cresciuto in un mondo di scelte binarie, risposte scattanti e quanto più fisica praticità possibile - tra le sue varie caratteristiche base vantava un bias di lettura del mondo piuttosto importante: semplice e pratico, autonomo ed indipendente pressochè dalla nascita, il Verde Argento semplicemente partiva sempre dal presupposto che anche chi lo circondava e gli stava affianco possedeva bene o male le medesime caratteristiche ed abilità.
    Per cui sino a prova contraria – e possibilmente una palese, esplicita, pratica ed evidente prova contraria – per l'islandese tutti, Madeline compresa, erano di fondo autonomi, indipendenti e con il pieno controllo di sé e della propria vita come lo era lui, in grado di pensare ed agire per la propria persona in primis, anche cogliendo talvolta il famoso attimo fuggente e inseguendolo sino a scoprire dove li avrebbe condotti.
    -Ti sembro preoccupata?-
    Fu quindi in quest'ottica di fondo, principalmente inconsapevole, che lesse la risposta della strega a cui perciò credette appieno, andandogli semplicemente a riconfermare il suo presupposto di base per cui, esperta o meno di uomini che fosse, anche quella ragazza come lui era in grado di vivere la vita attivamente e con un pieno controllo su di essa.
    Quella moretta sembrava così cristallina rispetto a quel che le passava per mente ed animo, seppur in maniera così rapida ed incalzante, e Alec faceva così tanto affidamento sui messaggi e contenuti espliciti delle persone..più qualcuno si mostrava esplicito, più per lui diveniva semplice relazionarcisi e aveva quindi piacere a trascorrerci del tempo.
    Più esplicito – più diretto – più pratico – più semplice – più bello.
    Ecco tutto.
    -No. Ottimo.-
    Si ritrovò quindi a rispondere secco ma sinceramente contento.
    Una volta arrivati al solido tronco quindi, quantomeno nella testolina del corvino, le cose non poterono che migliorare: l'aveva sollevata rapidamente e dopo un primo breve grido di sconcerto – il che poteva comunque comprendere – aveva dovuto ammettere quanto gli piacesse quel tipo di contatto.
    D'accordo, oramai era chiaro quanto Alec fosse effettivamente un tipo piuttosto fisico: ma specifichiamo, in questo caso.. gli piaceva quello specifico contatto.
    La strega in tutta sincerità non le era parsa particolarmente stabile – per quanto si assicurasse di non farla cadere né oscillare troppo in effetti - né tanto meno entusiasta, ma al Verde Argento piacque come lo sguardo nocciola prima studiò un po' l'albero mentre le dita si contraevano stringendogli appena i muscoli, e poi si spostò per cercare il suo, di poco sotto.
    Il corvino, seppur da parte sua tranquillo, rinnovò la presa sui polpacci per far sentire più al sicuro (?) nella sua stretta la strega.
    -Ero qua sopra prima che tu gridassi, e ti assicuro che c'è una vista niente male da lassù. Voglio che tu la veda.-
    Una di quelle risposte a metà tra il semplice/pratico ed il romantico, la cui natura precisa non sarebbe stata definita neanche dall'islandese in persona.
    Era vero che da lassù in cima, special modo con il tramonto in arrivo, il panorama sarebbe stato mozzafiato ed era altrettanto vero che in quel preciso momento Alec voleva sinceramente rendere partecipe quella ragazza di quel piccolo angolo di mondo, dapprima soltanto suo, che avrebbe da lì a poco preso vita solo per loro, solo in quel preciso luogo e solo in quei precisi attimi.
    Islanda non stava poi a farsi tante domande, non stava a chiedersi tanti perchè, perchè volesse effettivamente condividere quel momento-posto-vista proprio con quella ragazza, quale possibile significato potesse avere quel gesto o che significato gli avrebbe attribuito la strega stessa, perchè, come, chi .. troppe domande.
    Il panorama sarebbe stato magnifico. Quella ragazza per ora gli piaceva e gli piaceva l'idea di farle vedere quel piccolo e tutto personale e prospettico scorcio dorato di vita e di mondo.
    Gli piaceva arrampicarsi, ne era più che in grado e avrebbe potuto aiutare lei all'occorrenza.
    Fine. Anzi, questi erano presupposti sin troppo articolati e complessi, spesso e volentieri il mago agiva con ancor meno basi.
    -Per favore. Non farmi cadere, Alec” -
    L'attenzione fu ad ogni modo catalizzata d'improvviso dallo sguardo, dalle parole e dai piccoli gesti che seguirono negli attimi successivi.
    Le iridi color dell'inchiostro colsero – contro ogni aspettativa, in effetti – quel barlume di serietà che illuminò lo sguardo da cerbiatta della ragazza, e per un secondo Alec perse il filo dei propri pensieri catturato tra quel nocciola e quelle dita che lievi erano andate a sfiorargli la chioma corvina spettinata come sempre.
    -Promesso.-
    Si ritrovò così a rispondere, replicando anche lui con un sorriso tra le labbra sì, ma serio negli intenti.
    Poi, la ragazza si mosse seguendo le sue prime direttive, ed Alec, concentrato più di quanto non si sarebbe detto prima di quella richiesta di lei, in silenzio lasciò che i palmi ruvidi e caldi scivolassero dai polpacci di lei sino a metà coscia di entrambe le gambe della moretta: poi, con quanta più stabilità possibile, fece leva sulla allenata muscolatura di schiena, spalle, bicipiti e avambracci per sollevarla senza un fiato sino a farla aggrappare con sicurezza al ramo.
    Solo una volta assicuratosi della stabilità della ragazza avrebbe lasciato la presa, molleggiando sulle gambe e quindi saltando brevemente verso l'alto, e – dopo un paio di dondolii calcolati per darsi la giusta spinta – con un poderoso scatto di muscoli, portando così prima una gamba sul ramo, quindi l'intero busto sino a trovarsi a cavalcioni sul legno.
    Lo sguardo di pece sondò da quella nuova posizione lo stato della ragazza, prima di sollevarsi per ritrovare il passo successivo del percorso già da prima ben delineato nella sua mente.
    Si alzà in piedi, in bilico sul ramo, alzando il braccio sinistro per tenersi stabile sul secondo ramo poco sopra e offrendo nuovamente il palmo destro alla Thunderbird.
    -Se metti il piede destro lì- indicò con lo sguardo una sporgenza della corteccia, un neo nato ramo che seppur non particolarmente robusto come leva sarebbe stato perfetto -e con la mano destra ti tieni qui- e scrollò con la dritta un ramo accanto al suo volto -Potrai poggiare il piede sinistro sulle mie mani, che ti daranno un ulteriore piccola spinta, e quindi sederti anche piuttosto comodamente qui sopra- e con la mancina ancora alzata, poggiata per l'appunto sul secondo ramo in questione, battè un paio di volte sul solido legno.
    Accennò un sorriso, che aveva il fine di rassicurare la strega: -Più saliamo, più ci sono rami a disposizione.- cercò infatti di spiegare -Dal prossimo ramo in poi, avrai così tanti appigli da potertici incastrare.-
    Un attimo di silenzio.
    -Ad ogni modo ti starò sempre dietro per assicurarmi che tu non ti faccia male.-
    Semplice/pratico misto romantico pt. 2.
    O solo un ottimo stratega per assicurarsi la visuale migliore per tutt'altro panorama da contemplare?
     
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    Stare appollaiata sulle spalle di lui rientrava decisamente nella top ten delle cose preferite dalla texana o quantomeno lo sarebbe stata, se non avesse sofferto di vertigini. La paura dell’altezza l’aveva tormentata sin da quando ne aveva memoria. Già poco avvezza a stare in alto a causa della propria statura, il tormento si era acuito dopo essere scivolata dalla casetta sull’albero. Un attimo apparentemente infinito, divenuto rovinoso al momento dell’impatto. Sbattuta a terra in una maniera che le aveva appannato la vista e tolto il fiato, aveva giurato di non correrei mai più un rischio simile. Una fobia irrazionale che neppure il fratello era riuscito a fare affrontare. Era disposta a farlo, lì, per un ragazzo appena conosciuto?
    Alec sembrava la tipica persona in grado di prendersi ciò che voleva, quando voleva. Non ce lo vedeva ad avere paura di qualcosa. In realtà, Maddie non era nemmeno sicura che potesse comprendere quel panico irrazionale e non voleva deluderlo. Avrebbe desiderato essere coraggiosa. Salire il tronco senza nessuna lamentela, come se fosse nata per fare quello, ma la realtà la travolse come un potentissimo Schiantesimo. Spaventata, ricercò quegli occhi così scuri, speranzosa che le infondessero un po’ di sicurezza. Un prestito che l’islandese avrebbe potuto riscattare a tempo debito e lei, senza alcuna alternativa, lo avrebbe pagato qualsivoglia fossero gli interessi.
    La bocca si spalancò appena, sorpresa di quella stretta ai polpacci. Sorrise, malgrado la paura, intenerita da quella comprensione silenziosa. Sospirò piano e si concesse di rilasciare parte dell’ansia provata. Tentò di concentrarsi sul proprio compito. Una scalata apparentemente impossibile che avrebbe dovuto compiere. Piegò bruscamente la testa, distratta dall’ammissione sincera di lui.
    La texana sarebbe dovuta essere saggia e non ricamare sopra a quel semplice dato di fatto. Fare finta di nulla come qualsiasi altra ragazza, ma era Maddie. Ci ricamò sopra proprio perché era Maddie, ignorando volutamente la semplicità del ragazzo. In teoria avrebbe dovuto farsi meno domande e pensare ai fatti, ma la pratica fu molto diversa.
    ”Oh…” sorrise in maniera ampia ed evidente, incapace di evitarlo ”Ti credo. Mi farebbe piacere vederla”. Si morse la lingua, evitando di aggiungere quel con te, che premeva per uscire. Nelle riviste, che aveva letto, consigliavano di non essere troppo ovvi. Ci avrebbe provato, senza pensare all’inevitabile fallimento. L’americana era la ragazza più trasparente che esistesse e, benché provasse a nascondere i propri pensieri, qualsiasi lettore abbastanza abile avrebbe potuto estrapolarli dalla mimica facciale di lei.
    Non voleva deludere Alec ed quello che le aveva detto confermò la propria volontà. Una frase sicuramente innocente, priva di secondi fini, che nella mente di lei aveva assunto una piega assurdamente romantica. Resistette all’idea di sventolarsi con la mano, perché la sola idea della scalata la gelò sul posto. Catapultata in una spirale discendente di ansia, le venne naturale cercare una conferma. Occhi negli occhi per affidargli quella richiesta appena sussurrata. La vulnerabilità esposta divenne visibile finalmente anche a parole. Una verità che non tutti riuscivano a cogliere, malgrado lei parlasse molto, era che Maddie fosse estremamente insicura di se stessa. Estroversa, non aveva problemi ad approcciarsi a chiunque. Una sicurezza apparente che la copriva come un involontario paravento. In pochi lo vedevano, forse perché non si premuravano di guardare davvero, ma dentro la strega dai capelli scuri si celava un mondo di insicurezza ed inadeguatezza.
    Lui promise e lei gli credette, senza esitazione. Ricambiò il sorriso, con la voglia di fare tutt’altro. Avrebbe voluto schiacciare le labbra sulle sue, assecondando l’impulso del momento. Ringraziarlo per quella serietà, per non averla presa in giro e scoprire che sensazione suscitasse.
    Scosse la testa, richiudendo tutto dentro una scatola. Decise di essere coraggiosa e, aiutata dalla presa salda dell’islandese, riuscì a conquistare il primo traguardo. Non era assolutamente preparata alla sensazione assolutamente terrorizzante che la colse. Abbracciata al ramo come un piccolo Koala, riuscì inspiegabilmente a trovare la forza per portare l’attenzione sul ragazzo.
    Aprì la bocca per chiederle se voleva una mano a salire. Forse avrebbe potuto allungargli un braccio o una gamba? La domanda rimase incastrata in gola, bloccata dal un’incredibile manifestazione di prestanza atletica. Lo guardò dal basso, visibilmente stupita. Spalancò leggermente la bocca. Gli occhi grandi come dischi, lo fissò imbambolata.
    "Come...Come...C'è qualcosa che ti spaventa?" Quasi non si rese conto delle indicazioni, concentrata com'era a studiarlo. Annuì, benché avesse capito poco o niente. Spostò lo sguardo dalle braccia di lui al resto della muscolatura nascosta dalla maglietta. Probabilmente, per riuscire ad arrampicarsi in quel modo, Alec doveva possedere muscoli di cui lei ignorava l'esistenza. Era evidente che l'avesse fatto molte volte e se Maddie non fosse stato un caso perso in partenza, avrebbe quasi voluto chiedergli di insegnarle. Almeno avrebbe potuto guardarlo.
    La mano protesa verso di lei la fece tornare al presente. La Thunderbird si diede uno scossone mentale. Doveva prenderla? Francamente non avrebbe voluto togliere la mano dal ramo. Sacrificare quella posizione assolutamente sicura per una molto più incerta non la convinceva. I denti affondarono nel labbro inferiore, mordicchiandolo leggermente.
    Maddie sospirò piano e lentamente, calibrando ogni minimo movimento, sollevo la mano destra per posarla in quella del Serpeverde. Tremava. Lo artiglio con le dita, cercando di sollevarsi. La mancina volò sull'avambraccio di lui, per una maggiore sicurezza. Battito del cuore impazzito e pupille dilatate per la paura. Si fidava, era sicura che il ragazzo non l'avrebbe fatta cadere, perchè glielo aveva promesso.
    Infilò il piede nella sporgenza indicatale e l'altro si sollevò a cercare la mano di Alec.
    "Raccontami qualcosa...per distrarmi...per favore..." sputò fuori, nonostante la paura. Il petto si sollevò ed abbassò ad un ritmo vertiginoso. Si sarebbe data una piccola spinta e, aiutata da lui, avrebbe cercato di posare il sedere sul prossimo ramo. Se ci fosse riuscita, avrebbe appoggiato la schiena sul tronco dell'albero. Avrebbe atteso che salisse anche lui, approfittando per prendere fiato.
    La testa le girava un po' a causa dell'altezza, ma, ormai che aveva cominciato la scalata, non si sarebbe tirata indietro. La manina destra avrebbe cercato di afferrare il davanti della maglietta di Alec, bisognosa di un istante per recuperare.
    "Mi dispiace. Credo di essere la peggiore compagna di arrampicata che potessi trovare" ridacchiò, lasciando uscire un po' di nervosismo. Non aveva più paura di cadere, sicura che il Serpeverde l'avrebbe salvata, ma, fosse stata più lungimirante, si sarebbe preoccupata di come scendere.
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    Sicuro di sé.
    Questo poteva essere un buon attributo, che sicuramente definiva parte della personalità complessa dell'islandese.
    E, nota bene, sicuro di sé non perchè un simil “pallone gonfiato”, o tipo da pavoneggiamento, anzi tutt'altro: Alec piuttosto si riteneva sicuro di sé in virtù del fatto che si sapeva pronto ad affrontare la vita così come si sarebbe presentata.
    Autonomo, consapevole bene o male delle sue capacità così come dei suoi limiti, Islanda cercava di vivere appieno la sua vita affrontando di petto ciò che di volta in volta gli si parava di fronte – con tutti i suoi pro e tutti i suoi contro – considerando ciò che aveva alla mano e ciò che invece lo avrebbe ostacolato.
    Quindi, a fronte di questo atteggiamento – di certo definibile in molti modi ma di sicuro non passivo – rispetto alla vita e al brulicante mondo che lo circondava, sì. Alec Stephan Aronson era un ragazzo particolarmente sicuro di sé.
    Voleva qualcosa? Cercava di ottenerlo, in tutti i modi a lui possibili.
    Qualcosa gli dava fastidio o voleva allontanarlo? Lo affrontava, si batteva per fare in modo che ciò accadesse, per far sì che questo fosse limitato, allontanato o – tanto meglio – eliminato completamente dalla faccia dell'universo (o quantomeno dal suo universo).
    Ci riusciva? Ottimo.
    Non ci riusciva? Da Verde Argento sino al midollo, perseverava nei suoi intenti trovando però vie traverse d'azione.
    E bene o male ciò per il quale nel corso degli anni si era battuto, in positivo o negativo che fosse, lo aveva sempre ottenuto.. da qui, un'ulteriore senso di sicurezza rispetto alla propria persona, alle proprie capacità e limiti sì, ma ad ogni modo arginabili.
    In altri termini: quando Aronson si metteva in testa qualcosa, piccola o grande, sapeva diventare una vera e propria macchina da guerra, inarrestabile.
    La vittoria o la morte.
    Anche in questo senso in effetti, quando prometteva qualcosa Islanda ci credeva sul serio.
    Prendeva le promesse fatte – centellinate solitamente – come piccole ma importanti battaglie personali - quindi aveva promesso che non avrebbe fatto cadere quella ragazza – diamine piuttosto sarebbe caduto lui, e Alec sugli alberi quasi avrebbe potuto viverci.
    -Come...Come...C'è qualcosa che ti spaventa? -
    La domanda lo colse alla sprovvista.
    Aveva seguito con fare quasi preoccupato i movimenti incerti della ragazza, assicurandosi che fosse ben salda al ramo prima di raggiungerla rapidamente lì sopra, in movimenti e prestazioni fisiche che per lui erano quasi all'ordine del giorno.
    Lei studiava lui, e lui studiava lei, in un mutuo scambio di sguardi e curiosità che pareva non avere mai fine.
    Quella Thunderbird sembrava tutto meno che a proprio agio lì sopra, e la mano presa dai tremori che le porse poco dopo, fu solo un'ulteriore riconferma della sua idea.
    -Mi infastidiscono gli spazi stretti e chiusi.-
    Rispose quindi, sereno e solido come quel tronco che li stava osservando destreggiarsi tra i suoi rami: lo sguardo d'inchiostro non voleva lasciarsi sfuggire il più piccolo dei movimenti di quella moretta, per assicurarsi che non mettesse in fallo un piede o mancasse un appiglio, rischiando così di cadere e farsi male.
    Di fatto perciò, il corvino risultava particolarmente concentrato, quasi assorbito più dalla figura della ragazza che dalle domande e quindi risposte a lui richieste.
    -Raccontami qualcosa...per distrarmi...per favore... -
    Si chinò un poco, fornendo quel sostegno poco prima proposto, per far sì che la strega poggiasse il piede sulle sue mani e, dopo una piccola spinta, riuscisse a sedersi sul secondo ramo.
    Poi, una volta seduta lei, si girò – ancora in piedi sull'appoggio precedente – portando le mani sul legno robusto che la stava sostenendo e circondando così con le braccia le gambe di lei, il petto vicino alle sue ginocchia.
    Seppur in buona parte inconsapevolmente, stava cercando di far sentire al sicuro quella strega, ricercando lo sguardo nocciola e dando voce pacifico alla sua richiesta:
    -Sono cresciuto in Islanda, tra oceani, fiordi, vulcani e ghiacciai. Non a caso la chiamano anche “l'isola di ghiaccio e di fuoco”. Da piccolo non stavo mai fermo, mi divertivo a rischiare la pelle con i geyser, e mio padre ha sfruttato il mio temperamento insegnandomi a combattere. Mi ha insegnato ad incanalare tutta la mia energia nel movimento, nella lotta, e qui a scuola.. nello sport.-
    A conti fatti il risultato ottenuto di quell'educazione e formazione tutta personalizzata, era stato poi molto simile all'essenza stessa della sua madre patria: un'isola di ghiaccio e di fuoco, così come di ghiaccio e di fuoco era l'animo profondo ed al contempo evidente di quel Verde Argento.
    Abbozzò un sorrisetto divertito, mentre – senza lasciarsi sfuggire mai quegli occhioni da cerbiatto – dipingendo quel quadro dai colori dorati come le albe islandesi della sua infanzia, cercava di trasmettere quella quiete che gli pervadeva il petto anche alla ragazza.
    - E' per questo che mi infastidiscono gli spazi ristretti. Non riuscirei a muovermi lì dentro.
    Ed è anche il motivo per cui mi piace arrampicarmi e scovare scorci di albe o tramonti da quassù. Mi ricordano casa.-

    Sollevò un poco le sopracciglia, ammutolendosi, come preso contropiede da sé stesso e da quella sua improvvisa e non contemplata resa.
    Doveva salire anche lui adesso, raggiungendo lo stesso ramo della Thunderbird per poter così proseguire con l'arrampicata.
    -Dovresti..-
    Si ammutolì una seconda volta, riflettendo sulle possibilità che si stavano sviluppando dietro lo sguardo di pece, complice anche la posizione in cui i due si trovavano adesso.
    -Mi dispiace. Credo di essere la peggiore compagna di arrampicata che potessi trovare.- e le iridi d'inchiostro osservarono le dita fini della ragazza cercare la sua t shirt, come se la strega fosse già stata messa a dura prova da quei primi e - per lui - piuttosto semplici movimenti.
    -Avanti, aggrappati a me.-
    Esordì infine dopo una manciata di secondi, voltandosi e dando così la schiena alla ragazza, che seduta più in alto di lui com'era stata sino a quel momento, avrebbe potuto facilmente lasciarsi scivolare di poco dal ramo per potersi aggrappare a lui come effettivamente un piccolo koala.
    -Dovrai solo tenere salda la presa e, se vuoi, puoi anche chiudere gli occhi mentre saliamo.-
    .. Quando dicevamo che messo in testa un obbiettivo, niente e nessuno poteva fermare il Serpeverde dal raggiungerlo ed ottenerlo.
    -E non pensare mai di essere la peggiore in qualcosa. Puoi sempre imparare, facendo da insegnante a te stessa o cercando qualcuno in grado di insegnarti come si deve.-
    Lo sguardo perso tra le foglie multicolore dell'albero, la tonalità delle sue ultime frasi aveva assunto una particolare venatura di serietà. Ci credeva Alec in quelle parole.
    -Perciò diciamo che per oggi, ti mostrerò solo cosa potresti guadagnarci dall'imparare ad arrampicarti sugli alberi..-
    Voltò parzialmente la testa corvina, abbozzando un sorrisetto divertito in direzione della strega seppur ancora dandole le spalle.
    -E se arrivi con me sino in cima..Magari ci sarà anche un premio. -

    Edited by Alec Stephan Aronson - 29/6/2020, 16:07
     
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