Enchanted forest

Madeline

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  1. Madeline Mayson
     
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    Se ti dimostri sicura di te, nessuno dubiterà delle tue capacita. Una frase sentita, probabilmente letta in uno di quegli articoli motivazionali su come conquistare il ragazzo perfetto. Diceria e fondamento sul quale Madeline aveva costruito tutta la finta sicurezza in se stessa. L’estrema estroversione come unico elemento, che le permetteva di mantenere intatta quella pantomima.
    Sembrava esperta o almeno così le piaceva pensare, ma, in verità, non lo era affatto. Durante l’infanzia prima e l’adolescenza poi ogni possibile findanzatino era stato bocciato. Scartato senza mezzi termini dal fratello maggiore. La texana aveva pianto, battuto i piedini a terra e fatto i capricci come succedeva quando non poteva ottenere l’oggetto dei propri desideri. L’essere la sorella minore, unica femmina, era la gioia e la croce della propria giovane esistenza. Viziata e coccolata, ma anche sottoposta ad un irragionevole iper-protezione. Evan la teneva d’occhio e, con il suo temperamento, molto diverso da quello della sorella, spaventava ogni possibile mago interessato a lei.
    Ormai raggiunti i diciassette anni, non solo non aveva mai avuto un ragazzo, ma non aveva mai baciato nessuno. Quello era il motivo per cui ci teneva tanto. Ogni occasione buona per provare l’esperienza, che tanto a lungo le era stata negata. Un’immensa ingiustizia, soprattutto perché il fratello non aveva dovuto sottostare a quelle stesse insulse regole. Le aveva viste le sue ragazze. Espressioni trasognate, che le avevano fatto contorcere le budella. Desiderava lo stesso e, prima o poi, ci sarebbe riuscita.
    Compiaciuta, si agitò sotto l’ennesimo attento esame. Sentirsi trapassare da quello sguardo tenebroso, fermatosi sulla coscia di lei un po’ troppo a lungo. Ingoiò le parole, così nervosa da essere costretta a trattenere persino il fiato. Una nuvola di fumo davanti agli occhi. Occasione sfumata di fronte a quella spiegazione perfettamente logica.
    ”Oh, certo”. Mise il broncio, apertamente, senza preoccuparsi di cosa lui potesse pensare. Colpevole di averla portata fuori strada, di averla illusa senza volerlo. Incrociò le braccia al petto, sollevando appena il mento all’insù. Un disappunto ostentato e senza alcun motivo di esistere.
    Ardente, ma effimero. Un incendio spento dall’allusione del mago. La mano si librò per aria, assecondando l’irrefrenabile impulso di sventolarsi la faccia.
    ”Oh…” Entrambe le sopracciglia inarcate, finse di sapere con precisione a cosa lui si riferisse. Usò un tono civettuolo, uno che sperava fosse adatto al momento.
    Le labbra si stirarono ulteriormente verso l’alto. La mano destra a sostenerle il mento, Madeline si diede un gran tono. La pancia formicolò per la sensazione del soprannome pronunciato in maniera così attenta, dalla voce che, ora che stava meglio, poteva finalmente apprezzare. Talmente naturale, che sembrava non facesse altro. Sicuramente non doveva essere nuovo a quel comportamento, affascinare giovani sconosciute, senza alcuna difficoltà. Ignara, ingenua, ci cadde con tutte le scarpe.
    Si sporse appena in avanti, inclinando la testa di lato. Assorbendo l’impatto del nome di lui. Corto, facile da ricordare, perfetto. Non come Herbert.
    ”Islanda? Non ci sono mai stata ed è un peccato” tubò, lanciandogli un’occhiata assurdamente sfacciata ”Correggo la domanda, allora. I ragazzi islandesi sono tutti carini come te?”. Ostinata a perseguire quella strada. Domande inopportune, ma assolutamente normale per lei. Senza filtri, diretta e trasparente. Essere giudicata male, come una persona inopportuna non le importava, era abituata. Esuberante fino all'accesso, desiderava essere notata nel bene o nel male. Tutto, pur di non essere ignorata, quello, complice il caratterino sviluppato sin da piccola, non lo avrebbe tollerato.
    La mano sfioro distrattamente la clavicola sinistra. Madeline ridacchiò, divertita da quella domanda assurda. La sua cadenza era perfettamente normale, erano gli inglesi o islandesi a parlare strano.
    La testa si mosse ripetutamente a destra e sinistra, in segno di diniego. Afferrò una ciocca di capelli tra le dita, continuando a guardarlo fisso.
    ”Sono americana, texana per la precisione” precisò, tenendo a quella specifica ”Studio ad Ilvermorny, sono una Thunderbird, che è la Casa migliore di sempre. Se sei islandese, perché sei qui? Sei uno studente di questa Howart, Hogwar….” Provò, tentando di ricordare il nome, che aveva sentito innumerevoli volte al negozio.
    Delusa che si fosse sollevato, lo occhieggiò dall’alto in basso. Ora che era seduta, riusciva a farla sentire minuscola e, per la seconda o terza volta, si ritrovò a chiedersi quanto fosse alto. Era forse un mezzo gigante o, al contrario, era lei il problema?
    ”Beh, sì” sollevò leggermente le spalle, allungando le gambe verso di lui, cosicché potesse vedere gli stivaletti macchiati ”Erano i miei preferiti” continuò, lasciando sporgere il labbro inferiore. In una mossa agile, dato che l’aveva praticata innumerevoli volte, estrasse il catlizzatore dal porta bacchetta. Lo tenne sollevato in avanti, piegando l'indice per invitare il verde-argento a farsi avanti e sistemare quel taglio una volta per tutte.
    ”Dimmi, Alec. Come è successo?”
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    Edited by Madeline Mayson - 10/6/2020, 20:40
     
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