Primo appuntamento?

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    Draven Shaw

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    Dopo la partita di Quidditch non era nemmeno passato in Sala Grande per la cena. Era a pezzi, voleva solo dormire e, considerando che aveva la sveglia impostata atipicamente per l’una e mezzo quella notte, aveva bisogno di recuperare energie. Erano stati giorni sfiancanti e ringraziava le regole scolastiche che prevedevano solo una, al massimo due partite in caso di pari punteggio, con la stessa squadra di una Casa, perché ogni anno contro i Grifondoro era estenuante.
    Una serie di cose, però, avevano influito su quella stanchezza.
    Tutto aveva avuto inizio esattamente una settimana prima, quando di ritorno dalla conversazione con Christelle ~ aveva passato le seguenti ore al campo ad allenarsi. Il custode, che non aveva voluto credere che avesse perso la cognizione del tempo e non si era reso conto che fosse passato il coprifuoco, lo aveva scortato passo passo fin dentro la scuola e quasi oltre la soglia nascosta nei sotterranei che conduceva nella Sala Comune di Serpeverde, dove aveva trovato i Prefetti e il Direttore della Casa ad aspettarlo. Solo in quel momento aveva realizzato di aver passato al campo molte più ore di quante avesse creduto… Ma se l’era cavata con un’ammonizione e la punizione di pulire la sala trofei a partire da lunedì e finché non l’avesse resa completamente lucida. Gli era sembrato esagerato, ma non si era ribellato alla decisione: aveva davanti a sé quattro corposissime ore di sonno prima del provino. Il sarcasmo gli impose di pensare che non sarebbe potuta andare meglio di così. Quando si infilò nel letto, però, si addormentò con il sorriso, perché le ultime ore di allenamento erano state decisamente fruttuose.
    Il giorno dopo, al suono della sveglia, aveva desiderato di morire all’istante o di giacere in quel letto a baldacchino per il resto della vita. La realtà di ciò che lo attendeva di lì a poco lo aveva colpito con una brutalità tale da lasciarlo senza fiato. Non aveva forze. Nel tempo che ci aveva messo a prepararsi, praticamente i suoi compagni di stanza si erano già catapultati a fare colazione in Sala Grande; non aveva idea di quanto sarebbe durato il provino, ma non aveva voglia di mangiare nulla e si era tenuto sul vago. I suoi amici più stretti, per così definirli, sapevano del provino di Quidditch, ma non sapevano quando ci sarebbe stato… Quindi, aveva atteso che la Sala Comune dei Serpeverde si fosse quasi del tutto svuotata per passare inosservato e poi aveva corso a perdifiato per raggiungere in orario il campo. Si era cambiato alla velocità della luce ed era uscito dallo spogliatoio giusto in tempo per veder arrivare colei che, una volta atterrata, si presentò come Theresa Hardy. Dopo averle stretto la mano e ascoltato le sue indicazioni…
    Un buco nero.
    Non aveva idea di quanto tempo fosse passato o di cosa avesse realmente fatto durante quel colloquio pratico, ma ad un certo punto gli era stato chiesto di fermarsi e scendere dalla scopa.

    “Le faremo sapere.” – gli aveva detto, stringendogli di nuovo la mano.
    E il resto della settimana, da quel momento in poi, era andato avanti più o meno con lo stesso offuscamento mentale.
    Lezioni, allenamenti in previsione della partita contro Grifondoro, lavoro da Ollivander, pulizia della Sala Trofei per punizione.
    Non aveva avuto il tempo di finire i compiti, cosa che gli metteva non poca ansia, ed era ben lungi dal rendere splendente la Sala Trofei, dato che ci si era dedicato troppo svogliatamente. Infine, come ciliegina sulla torta, non solo era passata una settimana dal provino e ancora nessuno gli aveva fatto sapere, ma durante la partita contro Grifondoro aveva giocato divinamente: non era entrata una singola pluffa nei suoi anelli. Nonostante la stanchezza mentale e fisica di quella settimana che lo aveva messo a dura prova, aveva eseguito una performance eccellente… E avevano perso, perché i Grifondoro erano stati più veloci a prendere il boccino d’oro.
    Una conclusione avvilente per una settimana avvilente.
    Dato che l’incontro con Christelle era stato decretato da lei all’una e mezza di quella notte, poteva non rientrare nel resto della terribile settimana appena passata; aveva deciso, quindi, di attribuire l’evento all’inizio di un fine settimana che non prometteva di essere il massimo, ma che – tenendo le dita incrociate – sarebbe almeno cominciato bene.
    Erano stati giorni talmente pieni e stressanti che non aveva avuto modo nemmeno di pensare a lei, a quello che si erano detti o a quell'incontro, sebbene durante le ore di lezione le avesse lanciato qualche occhiata e qualche rado sorriso di tanto in tanto.
    In quella baraonda di cose da fare, però, era riuscito a racimolarsi del tempo per praticare l’incantesimo di disillusione, necessario per l'appuntamento - se così lo si poteva definire.
    Quando giunse il fatidico momento, si alzò dal letto più sveglio e vigile di quanto avesse creduto di poter essere solo poche ore prima, quando la stanchezza lo avevano reso svogliato e avvilito. Eseguì l’incantesimo di disillusione sul lenzuolo e ci si nascose sotto, sia per raggiungere i bagni e darsi una sistemata senza essere beccato dai Prefetti, sia per raggiungere poi la meta dell’appuntamento: la torre di astronomia. Uno dei luoghi più distanti dai sotterranei che c’erano a Hogwarts. Aveva puntato la sveglia con mezz’ora di anticipo perché sapeva che gli ci sarebbe voluta una vita per arrivarci. Era certo che Christelle avesse scelto apposta quel luogo per metterlo in difficoltà.
    Non potendo accendere la bacchetta sotto quell’improvvisato e a malapena efficiente mantello dell’invisibilità, gli ci volle anche più del previsto… Ma raggiunse il punto d’incontro in perfetto orario.
    Si mise a sedere nell’insenatura tra le scale e l’ingresso all’aula di astronomia, sempre protetto dal lenzuolo disilluso, finché non la vide salire le scale verso di lui.
    Non sapeva dire cosa, di preciso, gli avesse dato determinate certezze con lei, ma nemmeno per una volta aveva preso in considerazione l'ipotesi che non si sarebbe presentata.

    “Vieni qua. Fai piano.” – le disse, spalancando un braccio per aprire la breccia protettiva creata dal lenzuolo incantato e potersi mostrare a lei. Non esordì con un tono brusco, ma nemmeno accogliente; dentro di lui era in atto un dissidio profondo, stava lottando tra il nervosismo per aver acconsentito di infrangere le regole della scuola per accontentare una ragazza – cosa che pensava che lui non avrebbe mai fatto – e l'inaspettata adrenalina, che lo faceva sentire su di giri e felice, per la situazione.

    “Mia cugina lavora al Ministero… Le ho chiesto di procurarmi un mantello dell’invisibilità per muovermi liberamente anche di notte in biblioteca e in guferia, ma sono tremendamente costosi e rari. Nell’attesa che riesca a trovarne uno, mi ha consigliato di imparare incantesimi di disillusione. Non credo che questo durerà più di un paio d’ore. È stato l’incantesimo più difficile che abbia mai eseguito. Ma meglio di niente…” – le spiegò subito, forse anticipando una domanda che non sarebbe mai arrivata. Fece spallucce e, con assoluta disinvoltura, le sistemò addosso il lenzuolo. Mentre si accomodava a sedere di fronte a lei, piegando le ginocchia che circondò con le braccia, accavallò una caviglia sull’altra in un equilibrio forse un po’ precario, ma che lo faceva stare comodo, e alzò lo sguardo a incrociare il suo.



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    Edited by Draven Shaw - 19/6/2020, 12:10
     
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    Lezioni, compiti, punizioni, lezioni supplementari, tanti libri da leggere… La settimana di Christelle era passata molto in fretta. Ormai abituata alla nuova routine e, anzi, con il passare del tempo lei e Isla avevano ritrovato la capacità di stare nella stessa stanza per più di cinque minuti senza diventare rispettivamente isteriche. Sua sorella le mancava molto, ma non voleva dargliela vinta. Il suo non era nient’altro che un capriccio, giusto? Quel pensiero l’aiutava ad acquietare i sensi di colpa per l’appuntamento con Draven di quella sera. Non aveva alcuna aspettativa. Era stata molto scontrosa con lui, per orgoglio, in risposta a quanto il Serpeverde lo era stato con lei, ma l’aveva comunque stupita visto che chiunque altro al posto suo l’avrebbe mandata al diavolo. In ogni caso quell’ennesima pausa di una settimana tra loro le aveva fatto bene, la rabbia nei suoi confronti era passata ed adesso aveva voglia… Molta voglia, anzi, di vederlo. E di ricredersi anche. Aveva accettato di uscire con lui, nonostante la rabbia e la voglia di schiantarlo, perché sperava di annoiarsi terribilmente o di avere la conferma che tra loro non avrebbe mai funzionato in quanto non compatibili. Ci aveva sperato davvero. Invece si ritrovava a pensare al suo viso, al sorriso che conosceva pochissimo, e poi alle spalle considerevoli, il corpo, possente e vivo, molto bello…

    Si ridestò da quei pensieri sbattendo le palpebre, aveva riletto la stessa riga di Guida completa alla lingua e ai costumi dei Maridi per almeno, quanto? Tre volte? Si era persa a pensare all’uscita di quella sera, anzi, notte e non c’era verso di concentrarsi. Si sedette sul letto a gambe incrociate, ripose il libro sul comodino. Le sue compagne di stanza erano quasi tutte addormentate, alcune in dormiveglia, Isla compresa, ormai erano quasi le due. Si alzò dal letto solo per sfilarsi il pigiama, indossare dei vestiti comodi, e dopo aver coperto il letto con le tende rosse fiammanti del baldacchino uscì dal dormitorio e infine dalla Sala Grande attraverso il ritratto della Signora Grassa.

    Sei sicura di sapere cosa stai facendo? Ti caccerai in guai tremendi.

    Il cuore le batteva all’impazzata e non si calmò finché, raggiunta la Torre di Astronomia, lo vide. Credeva non sarebbe venuto, credeva non avrebbe accettato la sfida di infrangere di nuovo le regole con lei. E invece eccolo lì. Intorno a loro il buio era asfissiante, ma raggiungere la Torre era stato facile visto che si trovava a poche rampe di scale dalla Sala Comune dei Grifondoro. Sforzarsi in tutti i modi di salire le scale il più silenziosamente possibile, tuttavia, era stato molto più complicato del previsto.

    Faticò a capire sotto cosa fosse nascosto, ma intuì che in un modo nell’altro era riuscito a rendersi invisibile. Lo assecondò poco convinta e solo dopo averlo raggiunto si rese conto di essere sotto un mantello. Non un vero mantello dell’invisibilità, ma insomma, era già qualcosa. Di sicuro nessuno li avrebbe scoperti. Sedette a terra, incrociò le gambe. Erano terribilmente vicini.

    «Conosco tua cugina» disse di getto. Non aveva ancora aperto bocca e adesso erano lì, sotto quello strano mantello, dopo non essersi quasi visti né parlati per un’altra settimana. Avrebbe voluto fargli i complimenti per esser riuscito in un incantesimo così difficile, insomma, non era da tutti, ma l’orgoglio glielo impedì e anzi, subito cambiò discorso.

    «Non credevo saresti venuto» appoggiò entrambe le mani sul pavimento freddo, stando attenta a non scoprire nessuno dei due da sotto il mantello. «Di solito non ti metti nei guai..»

     
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    Il lenzuolo invisibile era abbastanza largo e lungo da tenerli entrambi nascosti comodamente sotto di esso senza essere visti, ma pretendere che quell’incantesimo di disillusione non si sarebbe incrinato o sgualcito al primo movimento brusco, sarebbe stato presuntuoso e incauto; così, per evitare che potesse accadere, lo aveva tenuto sollevato sopra di lei, per permetterle di accomodarsi senza avere qualche lembo tra i piedi e se l’era ritrovata molto vicina. Il lenzuolo le ricadeva morbido sulla schiena; non pensava le avrebbe dato fastidio, le dava aria e spazio, dato che si teneva alto e si sorreggeva sulla propria testa, oltretutto schiacciandogli un po’ i capelli in cima e lasciandogli visibile un solo ciuffo ribelle sulla fronte.
    Quando riportò le braccia intorno alle proprie gambe, stringendosi meccanicamente il polso destro con la mano sinistra, alzò lo sguardo su di lei: gli sembrò nervosa, forse agitata o a disagio. L’idea di quell’incontro gli era venuta proprio perché sperava di ovviare a quel senso di inadeguatezza e imbarazzo che si creava ogni volta che si trovavano insieme da soli… Stavolta non era stato un caso essersi incontrati, lo avevano deciso insieme e potevano migliorare la cosa – non sapeva proprio definire quel qualsiasi cosa fosse che c’era tra loro - ma non aveva idea del come.

    “Che hai?” – le chiese di getto, contemporaneamente a lei che disse qualcosa su sua cugina. Sul viso gli si formò un’inevitabile smorfia di scetticismo; corrucciò le sopracciglia e schiuse le labbra con stupore. La conosceva? Perché la conosceva? Era stata al San Mungo? In ospedale ci andavano i feriti gravi… Le era capitato qualcosa?
    Fu sul punto di chiederglielo quando – come capitava sempre, ogni volta che gli diceva qualcosa che per qualche istante lo zittiva e lo faceva chiudere nei propri ragionamenti – approfittò del temporaneo silenzio e riprese la parola.

    “Non sono nei guai, finché resto invisibile… E non volevo privarti della possibilità di prendermi in giro per la vittoria dei Grifondoro contro i Serpeverde… Conosci mia cugina?” – disse poi, distrattamente, tenendo ancora sul viso quell’espressione che, nel suo tipico e involontario modo di essere, s’indurì con stizza nell'attesa di una risposta.





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    Non riuscì a fare a meno di pensare a cosa le avrebbero detto, o urlato, Isla e Oliver nel vederla lì con Draven. Anche se, tecnicamente parlando, non li avrebbero mai scoperti sul serio, erano nascosti sotto quel mantello… Ma lei avrebbe potuto raccontarglielo, fosse stata abbastanza onesta per farlo. Non lo era. Codarda, invece. O forse troppo spaventata all’idea di perdere definitivamente una sorella e amica. Non si parlavano ormai da quanto? Un mese? Persino Oliver aveva rinunciato con i tentativi di far fare loro pace, secondo lui il fatto che riuscissero a tollerarsi nella stessa stanza era un grande traguardo. Il problema stava proprio nel fatto che se fino a pochi giorni prima Christelle aveva portato avanti le sue idee, convinta di avere ragione, da quando Draven le aveva confessato – sì, insomma, si era dichiarato, se quelle quattro parole biascicate e i silenzi tombali erano abbastanza da definirsi “dichiarazione”… - di provare sentimenti non meglio identificati per lei, i sensi di colpa erano riaffiorati insieme alla confusione. Draven mi piace? Cosa mi piace di lui? È solo attrazione fisica? Mentale? Impulso infantile di conquistare ciò che è proibito? Amore? Cotta adolescenziale? Quelle domande le vorticavano in testa da più tempo di quanto le piacesse ammettere, con la differenza che se prima le ignorava e fingeva di non essersi mai sentita confusa nei confronti del Serpeverde, adesso era stata costretta ad ammetterlo a sé stessa. Nel momento peggiore, oltretutto, perché lo schiaffo di Isla, seppur in via del tutto metaforica, le bruciava ancora sulla guancia. Pessimo segno.

    «Non ho niente..» avrebbe voluto aggiungere: non ho niente, ma noi cosa stiamo facendo? Perché siamo qui? È una messinscena inutile. Non funzionerà mai. E se dovesse funzionare, non potremmo dirlo a nessuno. Non potrei presentarti neanche a mia madre e mio padre. Isla non era innamorata di Draven, forse ossessionata da adolescente qual’era, si era presa una bella sbandata a dir tanto, ma il problema stava alla base: c’erano così tante cose non dette tra loro, da sempre, fin da bambine, che aggiungerne un’altra così grossa sarebbe stato pressoché letale. Non poteva permetterselo.

    «Oh già, avete perso» lo disse con voce un po’ vacua, quasi distratta, di certo pensierosa. In effetti aveva pensato sarebbe stata una bella occasione di prenderlo in giro, ma aveva visto la partita, e lui era stato così bravo che non se la sentì. Draven parava tutte le pluffe alla perfezione. Nel fare il tifo per i Grifondoro si era sforzata più volte di non guardarlo, non voleva destare sospetti considerato che Isla si era seduta a pochi metri da lei. Ciò non significava fosse passato inosservato ai suoi occhi.

    «Sì, l’ho conosciuta ad Hogsmeade, perché?» quando notò la sua espressione stizzosa, non poté fare a meno di indurire la propria, come se ormai le fosse diventato automatico. Draven si innervosiva o, almeno, sembrava nervoso? Lei alzava le difese e diventava più scontrosa di lui. Un meccanismo malsano da cui chissà se si sarebbero mai liberati. Gli parlò, al tempo stesso, come fosse normale che lei e sua cugina si conoscessero, quasi non ci vedesse niente di strano. In realtà era alquanto inusuale e lo sapeva benissimo, la coincidenza era stata a dir poco assurda, ma per chissà quale ragione non voleva ci desse troppo peso.

     
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    Prese a torcersi così nervosamente il polso destro nella mano, che nel momento che seguì quello scambio di battute gli sembrò di poter sentire il proprio flusso sanguigno passare da lì per raggiungere una qualche altra parte del proprio corpo… Era nervoso e ciò che aveva sperato di evitare, stava accadendo di nuovo, per l’ennesima volta: l’astio ingiustificato che portava di riflesso a una tensione altrettanto immotivata. Non riusciva a capacitarsene… Avevano due personalità difficili, questo era innegabile, ma c’era qualcosa che gli sfuggiva. Dare la colpa alla ‘situazione con Isla’ era la cosa più semplice a cui pensare e darla a lei nello specifico era la più ovvia, ma no; gli mancava un pezzo del puzzle, c’era qualcosa che non andava tra loro due e che non aveva niente a che fare con errori passati o interventi di terzi. E di quel passo, non sarebbe mai riuscito a capirla; ad ogni conversazione con lei aveva sempre avuto l’impressione di fare dieci passi indietro a ogni passo avanti. Ma era sempre capitato in situazioni anomale o casuali, stavolta era diverso… o meglio, aveva pensato che lo sarebbe stato.
    Più manteneva fisso lo sguardo su di lei, più col passare dei secondi gli sembrava che lei avrebbe preferito essere ovunque tranne lì. Non si era aspettato una risposta a quel ‘che hai?’, che era passato anche un po’ inosservato, e nello stesso modo aveva intuito che non poteva importargliene di meno della partita di quidditch, ma poi le aveva posto una domanda semplice, che era in suo diritto porre, soprattutto perché lei a caso aveva deciso di fargli una mezza confidenza e, invece, niente.
    Era stata male e non voleva dirlo? O era stata al San Mungo per qualcun altro e non se la sentiva di confessarglielo? Dava per scontato che avesse potuto conoscere Adeline al San Mungo, perché riteneva improbabile che potesse conoscerla dal Ministero o da altre vie. Era la cosa più logica da credere. Aveva nominato Hogsmeade, ma nemmeno l'aveva sentita... Come l’aveva conosciuta sua cugina? Anzi, riconosciuta? Non avevano niente in comune, se non il colore degli occhi – per meglio precisare, di un solo occhio di Adeline – e non condividevano nemmeno lo stesso cognome! Era ridicolo. Perché fargli sapere una cosa del genere se non aveva intenzione di parlarne? Ma soprattutto… Perché cazzo gli importava tanto?
    Si era soffermato a pensarci anche troppo.

    “Ok, lascia perdere.” – sentenziò, dopo quella che gli sembrò essere stata un’infinità passata in assoluto silenzio. L’espressione sul viso mutò; forse un velo di tristezza o di semplice rassegnazione, ma chinò la testa e abbassò lo sguardo, chiudendosi di nuovo nel proprio silenzio fatto di domande mentali che non le avrebbe mai posto.

    “Perché hai accettato di vederci, se non hai voglia di stare qui con me?” – capitolò all’improvviso, prima ancora che la domanda potesse infondersi tra i propri pensieri. Gli era venuta così, istintiva; un’ovvietà che la più intima e segreta parte di lui che percepiva la delusione di un fallimento annunciato e ignorato per qualsiasi cosa fosse quella che c’era con lei e che, per qualche motivo oscuro, si era convinto di dover e voler comprendere, aveva deciso di dover esternare ad alta voce. Così. Per quanto potesse valere, poi, averglielo chiesto… Dato che per essere una che parlava e sorrideva in continuazione con chiunque, sapeva sfoggiare mutismo e aggressività senza uguali, con lui.





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    Edited by Draven Shaw - 20/6/2020, 23:56
     
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    Intercettò con lo sguardo le sue mani grandi, nodose e magre, nervose. Ne scrutò i movimenti, prese a fantasticarci sopra. Non era la prima volta che Christelle si rendeva conto della bellezza di Draven, misteriosa e poetica, ma non le era mai successo di fantasticare pensando a quelle mani scivolare sul proprio viso, stringerle i capelli, scivolarle lungo le curve del corpo. Aveva mai provato vera attrazione per qualcuno? Forse no. Di certo non per Michael Hughes, e non le veniva in mente nessun altro apparte Draven, non aveva mai sentito il desiderio di fantasticare su nessuno dei pretendenti. Forse il Serpeverde l’avrebbe baciata quella sera, forse no, Christelle non aveva ancora capito se ne avesse voglia o meno. Il contatto fisico tra loro era stato raro e sporadico, quasi inesistente, e l’ultima volta che ci aveva provato, accarezzandogli la punta delle dita… Bè, la situazione si era messa piuttosto male, tanto che la Grifondoro se ne era sentita umilata. Non aveva il coraggio né il desiderio di prendere una seconda volta l’iniziativa.

    L’aria della notte era fredda ma non fastidiosa, non c’era umidità intorno a loro e cosa migliore di tutti: erano completamente soli. Christelle adorava la Torre di Astronomia, ma era sempre popolata da studenti o dal professore e non aveva quasi mai trovato un momento di privacy per sé stessa che non fosse in piena notte. Stava giusto per dire qualcosa su quella serata piacevolmente fredda e senza nuvole, tanto per spezzare il silenzio imbarazzante, quando fu lui a parlare per primo lasciandola del tutto sbigottita.

    «Davvero credi che io non abbia voglia di stare qui con te?»

    Parlò, anzi, bisbigliò in un tono di voce così limpido e sincero, cristallino, addirittura pacifico. Non era da lei restare calma dopo un insinuazione simile, nel profondo se ne sentì offesa, ma s’impose di non reagire con altra rabbia. Non aveva mai funzionato con lui. Al contrario, optò per sincerità e diplomazia.

    «Ho contato per un’intera settimana i giorni che mancavano a oggi. Ho cercato di sembrare carina. Non vedevo l’ora di parlare un po’ con te» la voce le si spezzò sul finale e di conseguenza distolse lo sguardo per non darglielo troppo a vedere.

    «Sono solo confusa» aggiunse poi ma senza specificare i motivi di quella confusione, alcuni erano ovvi come Isla e altri un po’ meno.

    «Tu ti accorgi improvvisamente che esisto, poi finiamo in punizione e litigo con mia sorella, non ci parliamo più e poi mi dici che ti piaccio, anzi, che ti sono sempre piaciuta e addirittura hai baciato Isla perché l’hai scambiata per me dopo troppe burrobirre, e appena muovo un passo verso di te scappi come uno scoiattolo spaventato. Poi mi arrabbio e scappo io, quindi tu mi insegui di nuovo perché vuoi uscire con me. E adesso siamo qui» sentì di aver fatto un riassunto molto fedele di quella strana situazone.

    «E poi… Insomma, sono uscita con un solo ragazzo per poco più di un anno, non so come si fanno queste cose» confessò infine prima di zittirsi.

     
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    Detestava il modo in cui lo faceva sentire impacciato e inetto ogni volta che si trovavano faccia a faccia o a parlare da soli, perché era evidente che per lei stare in mezzo alle persone era una cosa naturale, mentre per lui era l’esatto opposto, ma che al di là delle divergenze caratteriali abissali c’era qualcosa che la frenava; tirava su un muro di insolenza e aggressività che non avrebbe mai potuto sfondare con le proprie (in)capacità colloquiali e affettive. Non si era mai spinto a chiedere a una ragazza di uscire con lui, tanto meno assecondarla a infrangere le regole o a mettere da parte i compiti pur di imparare un maledetto incantesimo di disillusione: era tutto sbagliato… Ne valeva la pena?
    Il punto era che non si era mai dovuto spingere oltre i propri confini caratteriali, perché non aveva mai avuto quel tipo di interesse per qualcuno. Con le ragazze non c’era mai stato dialogo, non aveva mai avuto una vera relazione. Le uniche amicizie che aveva, si erano create nel tempo e senza forzature grazie a caratteri che, completamente opposti al proprio, lo avevano aiutato ad aprirsi un po’. Disinteressandosi dei rapporti sociali, si era sempre lasciato trascinare dai comportamenti altrui, decretando chi gli piaceva frequentare e chi no; ritrovarsi, invece, a fare il primo passo era maledettamente difficile. Aveva paura di toccarla, aveva paura di dire la cosa sbagliata, aveva addirittura paura di incrociare il suo sguardo. Quando mai era stato così vigliacco nella vita?
    Il cuore prese a battergli così forte nel petto che per un istante gli sembrò di non riuscire più a respirare. Non voleva più stare lì, non aveva senso… Ma no, invece. Era proprio dove doveva essere. Non poteva lasciarsi intimorire dai giochini psicologici e dalle stupide sfide che gli lanciava una ragazza per vedere fin dove si sarebbe spinto per lei. Se era questo il problema, glielo avrebbe dimostrato. Non si era mai tirato indietro davanti a nulla, perché provare e fallire era sempre meglio di rinunciare a prescindere… E lasciarsi andare al pensiero che non ne valeva la pena o che lasciarla stare sarebbe stata la cosa migliore, era sbagliato. Migliore per chi, poi? Isla? Se ne sarebbe fatta una ragione, era pure ora.
    Il fulmineo cambio di rotta dei suoi pensieri e, soprattutto, il flusso di coscienza – come spesso gli succedeva nei momenti depressivi – lo riportarono con i piedi per terra. Gli piaceva Christelle? Si. A tutto il resto ci avrebbe pensato a tempo debito.
    Di nuovo nervoso, ma per lo meno risoluto, lasciò il polso destro rimasto in ostaggio fino a quel momento delle sue dita pressanti, umettò le labbra e riportò lo sguardo ad incrociare quello di lei; mascella tesa, palpebre serrate, massima concentrazione.
    Fisso con lo sguardo di nuovo su di lei, si limitò ad ascoltarla, con un’espressione indecifrabile sul viso… Niente risposte a tono? Niente scatti d’ira?
    Aveva toccato il nervo scoperto. Il mattone che sorreggeva quel dannato muro che si metteva davanti per ripararsi da lui. Il pezzo del puzzle mancante.
    Era solo intimorita dalle circostanze… tanto quanto lo era lui.
    Egocentricamente, aveva dato per scontato che una persona così espansiva non potesse provare una simile emozione.
    Era anche parecchio confusa, ma di questo si sentì completamente responsabile, vista la poca chiarezza con la quale le parlava ogni volta… Un passo dopo l’altro, però. Sarebbe arrivato a migliorarsi anche nella comunicazione verbale. Prima o poi.
    Come ormai gli capitava in continuazione con lei, erano tante le cose che le avrebbe voluto dire: che non gli importava di quelle stupidaggini, che nemmeno lui era chissà quale esperto, anzi, tutt’altro; che se lo vedeva come uno scoiattolo spaventato gli faceva perdere ogni briciola di appetito sessuale; che se non sapeva lei come si facevano quelle cose, figuriamoci che ne poteva sapere lui, asociale com'era… Ma, come sempre, non disse niente. La lasciò in silenzio per qualche istante, con il proprio sguardo fisso sul suo viso mentre nella testa si godeva il fatto che avesse atteso per giorni quel momento insieme. E che si era fatta carina per lui.
    Era più che soddisfatto di quella risposta.

    “Di che vuoi parlare?” – furono le uniche parole che gli uscirono dalle labbra dopo l’ennesimo immenso silenzio, ma si aprì a un sorriso che diede mostra senza timidezza alle fossette sulle guance.

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    Christelle aveva avuto solo un altro primo appuntamento nella sua giovane vita, ed era stato persino più imbarazzante di quello con Draven. Michael Hughes le aveva chiesto di uscire con un bigliettino recapitatole tramite un impacciato Wingardium Leviosa, non appena era uscita dalla Sala Comune di Grifondoro. Lì sulle scale lo aveva letto mentre il Corvonero la osservava da lontano, nascosto, e solo quando lei lo aveva cercato con lo sguardo si era fatto vivo per sapere se avrebbe accettato o meno. Lei gli aveva detto di sì. Una domenica pomeriggio primaverile, quindi, avevano passeggiato e chiacchierato per le strade di Hogsmeade, i loro appuntamenti erano quasi sempre uguali. Michael l’aveva baciata dopo almeno un mese rendendo ufficiale la loro relazione da quel momento, mentre Christelle si perdeva nella propria confusione e accettava quell’etichetta di fidanzata solo per non mettere il ragazzo a disagio, o ferire i suoi sentimenti. Erano andati avanti per più di un anno, la Grifondoro l’aveva lasciato l’estate seguente con un discorso attento e delicato, poco prima di tornare a casa. Da lì era iniziato il dramma familiare. Michael era un ragazzo studioso e di buona famiglia, sempre attento, educato e rispettoso. Ricco. Purosangue. La madre di Christelle era una donna vecchio stampo, non bigotta né troppo conservatrice, ma di sicuro molto attenta ai vecchi valori del mondo magico. Dopo un estate di litigi senza riappacificarsi mai, Christelle si era fatta accompagnare al binario dell’Hogwarts Express da suo padre senza neanche salutarla, e adesso non si vedevano né parlavano da mesi. Si domandò cos’avrebbe pensato di lei nel vederla con un altro ragazzo, Draven, un Serpeverde la cui famiglia le era semi-sconosciuta. Forse l’avrebbe schiaffeggiata o quantomeno insultata o forse no, Christelle non ci teneva a scoprirlo. Era certa anche che, se avesse saputo del litigio tra le e Isla, avrebbe dato ragione alla sorella a qualunque costo.

    «Hai mai avuto una ragazza?» parlò a bruciapelo e gli sorrise furbesca, ma docile, all’improvviso ammorbidita. Forse la situazione si stava finalmente sciogliendo. Si sentiva bene lì con lui, sotto il mantello, a distanza così ravvicinata. Aveva voglia di prenderlo per mano, e l’avrebbe fatto se non avesse reagito così male quando si erano parlati al lago. Le sue dita le piacevano molto, erano lunghe e magre ma sembravano forti, il dorso era nodoso di vene, i polsi affusolati. Draven risultava elegante all’occhio esterno senza alcuno sforzo.

    «Voglio dire, una fidanzata, una ragazza con cui uscire. So già che hai conquistato Isla con un bacetto, non serve ribadirlo.» aggiunse ancora sorridente. Gli piaceva l’idea di sapere qualcosa di nuovo su di lui e sperava avrebbe risposto senza fatica o evitare gli argomenti com’era solito fare. Christelle aveva a cuore la condivisione con gli altri, non era fatta per stare sola, le piaceva avere molta gente intorno e sapere quanto più possibile su di loro. Quell’appuntamento, se così poteva chiamarsi, era stato organizzato proprio per conoscersi meglio, no?

     
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    Anche se non era il tipo da fare affidamento sulle parole, quelle di Christelle lo avevano messo improvvisamente un po’ più di buon umore e aveva capito in quel momento che, se avesse continuato a ripetersele nella mente, non le avrebbe dimenticate e lo avrebbero aiutato a portare avanti quel ‘qualsiasi cosa fosse che stavano facendo’. Sapere chiaro e tondo che voleva stare lì con lui, che addirittura aveva avuto premura di farsi più carina per lui – anche se era sempre bella – lo aiutavano a sentirsi meno inebetito davanti a lei; non di certo a suo agio, ma meno in imbarazzo. Voleva che continuasse a parlare, perché avrebbe in qualche modo riempito la distanza tra loro… E pensare che la prima volta che gli aveva rivolto la parola con quel suo modo saccente di fare aveva sperato per tutto il tempo di riuscire a zittirla. Non ci sarebbe mai riuscito per davvero, perché non era come le altre ragazze che aveva conosciuto, e non aveva mai sperato così tanto come in quel momento di sentirla parlare; data la scarsa propensione alla conversazione, era diventato bravo ad ascoltare. Ma non poteva dire di conoscerla ancora. Non voleva crearsi un’idea di lei basata su anni di occhiatacce: voleva una possibilità, anche solo una, per capire.
    Si inumidì di nuovo le labbra, forse per la decima volta in pochi secondi, perché quello era il suo modo di manifestare il nervosismo, e si impose di tenere il contatto visivo con lei. Mantenne un mesto sorriso nell’attesa di avviare quella loro vera e propria conoscenza, perché aveva visto dai suoi occhi che la rassicurava vederlo sorridere e voleva ricambiare il favore, facendola sentire un po’ più a suo agio.
    Ma non appena si decise a parlargli, si sentì improvvisamente di nuovo nervoso e quel tentativo di sorriderle con tranquillità emotiva gli sparì dal viso: poteva scegliere chissà quanti argomenti di conversazione, lei che era abituata ad averne, o avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa, tipo quelle stronzate sul colore o il cibo preferito, ma era partita da una domanda di cui sapeva già la risposta. Insomma… Lo aveva visto scappare davanti agli innumerevoli tentativi di sua sorella di mettersi con lui; lo aveva visto parlare al massimo con qualche concasato o durante le partite di quidditch; aveva assistito alla facilità con cui a Hogwarts parlavano di lui perché era sempre in disparte e appena gli succedeva qualcosa diventava, quindi, subito d’interesse comune. Se avesse avuto delle vere relazioni lo avrebbe saputo, a meno che non avesse mai prestato attenzione a lui al punto da accorgersene.

    “No.” – rispose secco, tirandosi indietro con la schiena e appoggiando le mani sul pavimento, ai lati dei propri fianchi. Non si distanziò da lei con l’intento di farlo, ma fu un gesto automatico; comunque, rimase a guardarla negli occhi senza mai abbassare lo sguardo.
    Avrebbe dovuto argomentare la risposta? Non sapeva che dirle, a parte chiarirle che quello con Isla non era stato proprio ‘un bacetto’, ma era meglio non dirle questo.
    Aveva avuto più ragazze nell’ultimo paio di anni, che nel resto della sua vita; se a Hogwarts, ad un certo punto, Isla gli aveva fatto campo minato intorno, a Londra era stata tutta un’altra cosa. Ma non aveva mai avuto una vera fidanzata… Non si era mai affezionato a nessuna da volerlo diventare e ogni sua ‘relazione’ era sempre finita prima di poter cominciare.
    Ma doveva dirle qualcosa o l’avrebbe rimessa di cattivo umore.

    “Tu?” – le chiese di getto, perché in quel breve lasso di tempo non gli era venuto nient’altro in mente da chiederle e aveva dovuto in tutti i modi spezzare il silenzio… Ma la conosceva la risposta a questa domanda riflessa e, sinceramente, non ne voleva conoscere i dettagli. Voleva sapere di lei, non delle sue esperienze con altri ragazzi.

    “No, cambio domanda…” – si affrettò, quindi, a dirle subito dopo. Tirò la testa indietro, sospirando, e corrucciò lo sguardo e arricciò le labbra in un’espressione concentrata che rivelò di nuovo le fossette sulle guance. Non voleva chiederle niente di banale, ma nemmeno qualcosa di troppo serio; gli serviva una via di mezzo che, non avendo termini di paragone con altre conversazioni di quel genere, non sapeva quale fosse. Fissando il soffitto, provò a rifletterci, ma gli venivano in mente solo stupidaggini o domande sulla scuola; poi, l’illuminazione improvvisa. Di lei, non sapeva proprio niente.

    “Da dove vieni? Dove stai, quando non sei a Hogwarts.” – le chiese, ributtandosi in avanti con la schiena. Abbassò le gambe piegate, quasi ad incrociarle in una postura simile alla sua che – involontariamente, ma piacevolmente – lo avvicinarono molto di più a lei.


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    Hogwarts era la sua casa. Le era bastato un solo sguardo per capirlo, tanti anni prima, osservando il castello dalla barca con cui i ragazzini di undici anni attraversavano il lago. Al contrario di tanti altri della sua età non aveva problemi irrisolvibili in famiglia, viveva una vita privilegiata, ricca e purosangue. Stimata anche, grazie alle professioni dei genitori, un Auror e una Medimag. Amata, grazie all’affetto di una grande famiglia che conviveva in un altrettanto grande casa. Era tutto perfetto a prima vista: eppure, a Hogwarts si era sentita bene come non le era mai capitato prima. Lì cresceva di giorno in giorno, nonostante gli insuccessi e le fatiche, le punizioni, le sgridate da professori e genitori. Non si era mai sentita fuori posto, sapeva che quello era il suo mondo, casa sua. Il senso di appartenenza al dormitorio, alla Sala Grande dei Grifondoro, era più grande di quanto fosse mai stato quello nella sua cameretta di Villa Jones. L’estate le piaceva, certo, quando non doveva litigare con sua madre, ma ancor più bello era il ritorno a Hogwarts del primo settembre. Fu su quella linea di pensieri che si perse alla domanda di Draven: dove vivi quando non sei ad Hogwarts?

    Il fatto che lui non avesse mai avuto una ragazza, dovette ammettere a sé stessa, la sorprese molto. Le sembrava il tipo da fidanzate segrete, scappatelle notturne e quel genere di cose eccitanti, ma ancora una volta si era sbagliata sul suo conto. D’altronde, prima di sua sorella, non aveva sentito un solo pettegolezzi sul conto di Draven. Ancor di più si stupì quando rimbalzò la domanda, in effetti non sapeva se sarebbe stato carino nominare Michael, l’unico ragazzo con cui fosse mai uscita, al loro primo appuntamento. S’immaginò l’imbarazzo e infatti, come se il Serpeverde l’avesse letta nel pensiero, cambiò idea. Christelle si sentì rincuorata.

    «Vivo a Godric’s Hollow» lo guardò negli occhi, le si era avvicinato in maniera quasi… Pericolosa? Forse era stato involontario, ma ancora una volta ebbe l’impulso di toccarlo. A Christelle il contatto fisico piaceva, ma era evidente come lui non fosse della stessa idea.

    «La nostra casa è grande, appartiene alla famiglia di mia madre da molte generazioni. Vivo lì con miei genitori, Isla e Oliver, i miei nonni, i miei zii e i miei cugini piccoli» gli spiegò. Il fatto che la casa fosse abbastanza grande da regalare un enorme fetta di privacy ad un bacino così ampio di persone la diceva lunga: ognuno, ad esempio, disponeva di una stanza privata. «C’è anche un parco grande, mio nonno ha un Ippogrifo» aggiunse infine, ricordando un loro incontro con un appena accennato sorriso.

    «E tu dove vivi?» fece rimbalzare anche lei la domanda quando cominciò a riflettere sul fatto che non sapeva granché di Draven, era sempre stato molto misterioso, qualità strana per i Serpeverde che tendevano a spiattellare i loro successi a destra e manca. A sua volta gli si avvicinò, per stare più comoda sotto quel mantello, si disse. Il ginocchio magro e appuntito di Christelle, coperto dalle calze nere coprenti e dalla gonna, sfiorò quello di Draven, decisamente più possente. Cercò i suoi occhi e provò un forte imbarazzo nel trovarli, tanto da costringerla a distogliere lo sguardo.

    «Non so molto di te, tranne che sei un Serpeverde so-tutto-io» aggiunse per sdrammatizzare.

     
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    Nel porgerle quella domanda così personale aveva pensato solo all’esigenza di non creare silenzi imbarazzanti – anche se a lui il silenzio piaceva un sacco e, sperava, in cuor suo, che una volta presa confidenza con Christelle, ammesso che fosse successo, si sarebbe sentita a suo agio in silenzio con lui – e al fatto che, avendo lui proposto quell’incontro, non poteva restare inerme e aspettarsi che facesse tutto lei; tutti avevano bisogno di input per agire e, indipendentemente dalle circostanze, che fossero sociali o meno, almeno questo era arrivato a capirlo nel corso degli anni di crescita. Ma non aveva minimamente pensato che quella domanda potesse ritorcerglisi contro: quando il pensiero finalmente affiorò, con qualche secondo di ritardo di troppo – perché se gli fosse venuto prima, avrebbe ben pensato a farle un’altra domanda – rabbrividì.
    Il suono della voce di lei, per fortuna, interruppe il filo dei suoi pensieri e si accorse di essere rimasto a fissarla per tutto il tempo… Alla gente non piaceva il suo modo di guardare negli occhi, si sentivano silenziosamente messi in giudizio ed era l’ultima delle cose che voleva che lei potesse pensare in quel momento. Ed erano veramente tanto vicini, perché lui si era sporto in avanti verso di lei. Cercando di apparire il più naturale possibile, deviò per un attimo lo sguardo quando si portò una mano tra i capelli per scuoterli un po’, dato che sotto quel lenzuolo gli si stavano appiccicando alla fronte, e in un gesto che sorprese anche lui, ripiegò le ginocchia davanti al petto così da annullare il resto della distanza tra loro, per quanto concesso stando comunque seduti. Riprendendo a tenersi le gambe tra le braccia e il polso destro nella mano sinistra, quasi le poteva sfiorare le dita. Aveva sempre pensato che la mania degli adolescenti di tenersi per mano fosse una stupidaggine: chiuse entrambe le mani a pugno.
    Riportò lo sguardo su di lei, anche se la vide abbassare il suo poco dopo, e l’ascolto, cercando di non far trasparire lo shock all’idea di vivere in una casa così affollata; sembrava orribile, ai suoi occhi, che quando stava nel suo appartamento londinese a malapena tollerava il via vai di sua madre.
    Ad ogni modo, cercò di incamerare l’informazione perché non voleva fare in futuro brutte figure con lei per non essersi ricordato dei nonni, degli zii e degli ippogrifi, se mai in futuro fosse riemerso il discorso…
    Comunque, pensava veramente troppo ed era veramente troppo agitato se aveva già iniziato a schematizzarsi nella testa le eventualità di un futuro presumibilmente inesistente solo per arrivare, nell’eventualità, preparato psicologicamente.
    Sospirò e nell’incamerare di nuovo aria nei polmoni quasi rischiò di strozzarsi perché la tanto temuta domanda riflessa lo colpì come un pugno nello stomaco: non si era preparato una risposta, lei se ne aspettava una e doveva pensare in fretta, perché lei lo aveva distratto. Lo aveva mai distratto, prima d’ora, con altrettanta facilità? Doveva fare più attenzione.

    “Ehm… Vivo a Londra, a South Kensigton.” – in mezzo ai babbani, avrebbe aggiunto per argomentare, ma decise che non era per niente il momento adatto per confessarle la sua mezzosanguità. Continuava a nascondere quel dettaglio di sé come se fosse la cosa più sporca che avesse addosso e fosse costretto a portarla ogni giorno; non era tanto un problema del sangue babbano in sé, piuttosto di quel babbano in particolare. Ma non gliel’avrebbe mai detto. Doveva pensare in fretta a cos’altro dirle, però, perché lei gli aveva raccontato con estrema semplicità della sua famiglia…

    “Con mia madre. Siamo solo lei ed io. E mia nonna, materna, a volte… Ma lei preferisce che vada a Hogsmeade a casa sua.” – riprese velocemente a dire, sperando che quella scarna condivisione di informazioni fosse sufficiente. Ma non appena si zittì, continuando a fissarla – in quel suo dannatissimo modo carico di giudizio perché non sapeva come altro si dovessero guardare le persone – cercando di incrociare il suo sguardo di rimando, ebbe un’altra illuminazione: considerando che era partito senza idee per quell’incontro, non potè fare a meno di sentirsi un po’ orgoglioso per i riflessi della propria mente lucida, pronta a intervenire in suo soccorso.

    “E sto con Adeline, mia cugina, che dici di conoscere…” – disse semplicemente, lasciando appesa l’affermazione mentre le labbra si distendevano in un sorriso più furbesco, accentuando inevitabilmente le fossette sulle guance.


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    Edited by Draven Shaw - 26/6/2020, 02:25
     
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    Contrariamente a quanto si potesse pensare, visto il carattere socievole ed espansivo, Christelle non amava parlare troppo di sé: non le piaceva quella sensazione di sgomento che le si creava attorno quando gli altri percepivano il privilegio della sua famiglia ricca e purosangue, era fonte di imbarazzo per lei avere così tanto ed essere in grado di restituire al mondo così poco – d’altronde aveva solo quindici anni. Naturalmente tutta la scuola conosceva la sua famiglia, Godric’s Hollow era antica e famosa tanto quanto Villa Jones e di conseguenza i suoi parenti che abitavano lì da sempre. Per questo motivo, forse, il rapporto con il padre era più stretto rispetto a quello con la madre: lui aveva una storia diversa, anche oscura sotto certi versi, sicuramente non aveva mai vissuto da ricco e potente, anche bene in vista nella comunità. Aveva imparato il significato di quelle parole solo da sposato.

    «Oh, capisco» gli rispose arrossendo. Non aveva idea di dove fosse South Kensigton, eppure conosceva Londra abbastanza… Insomma, l’aveva visitata diverse volte sotto copertura, vestita da babbana. Stava giusto per chiedergli informazioni cercando di non apparire troppo ingenua ai suoi occhi, anche su sua madre, e Adeline, la cugina che aveva conosciuto poco tempo prima, quando sentì un rumore provenire dalle scale che portavano alla Torre di Astronomia. Passi. Passi che si avvicinavano a loro.

    «Hai sentito?» gli chiese non troppo allarmata, in quelle situazioni tendeva a preoccuparsi più per Draven che per sé stessa. «Forse è meglio se ce ne andiamo, prima che qualcuno ci trovi..»

     
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11 replies since 18/6/2020, 00:18   146 views
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