everyone is fighting their own battle

Max Lynch

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    Nascosto sotto uno strato di terriccio, ben sepolto sotto terra, più giù della crosta terreste, verso il nucleo centrale del pianeta Terra... no, nemmeno così in fondo si poteva trovare il senso materno di Hedel Crawford. Per tutta la mattina aveva lavorato al legno d'Acacia, molto raffinato e prezioso per la creazione della bacchette, con un tarlo fisso in mente, una pulce all'orecchio che era stata instillata da nientedimeno che Grindelwald. Tenere d'occhio la figlia, si sapeva solo che era a Hogwarts. Ma lei, che pure aveva lasciato il castello da non troppi mesi per poter avere qualche contatto all'interno e scoprirne qualcosa di più, sapeva esattamente di un altro posto in cui avrebbe potuto trovare la piccola Lynch. Aveva aspettato un orario accettabile, quello introno alla pausa pranzo quando ormai i negozi si svuotano dai clienti in preda allo shopping compulsivo del weekend, in modo che ci fossero poche interruzioni, prima di uscire dal suo laboratorio di bacchette. Una corrente frizzantina la investì, causandole un brivido sulla schiena, mentre percorreva le poche decine di metri che la separavano dal Ghirigoro. Aveva avuto modo di pensare tutta mattina, mentre avrebbe dovuto stare concentrata sulle operazioni di intaglio e rifinitura delle bacchette magiche, ai possibili vari scenari, ai modi in cui avrebbe potuto interagire con la ragazzina e a quelli in cui lei avrebbe potuto rispondere. C'erano molte possibilità, molte variabili, ma la sua mente calcolatrice si era messa in moto, sondando diverse opzioni e quando la campanella sopra la sua testa annunciò il suo arrivo sapeva esattamente come procedere. « Buongiorno.» la sua voce sarebbe stata calma ma dolce, estremamente suadente come caramello fuso, qualcosa che non si addiceva alla sua reale personalità. Sembrava proprio la storiella del drago travestito d'agnello, eppure poteva essere di aiuto, se solo fosse funzionato. Sarebbe funzionato, avrebbe vinto il premio oscar come miglio interpretazione drammatica e soprattuto avrebbe ottenuto la fiducia di Grindelwald. Nelle ultime settimane assecondare il mago oscuro, compiacerlo, era diventata quasi un'ossessione. Non era mossa da istinti carnali come l'attrazione che provava verso Skyfield, quella sorta di affinità che aveva sentito dal primo giorno. No, oltre a questo nei confronti del mago austriaco provava una profonda ammirazione e stima. Avrebbe avuto successo e grazie a questo sarebbe entrata ancora più nelle sue grazie, ancora di più che essere giù nella cerchia ristretta. Raggiunse il bancone della libreria, appena oltre il quale la chioma infuocata dei Lynch aspettava il prossimo cliente. Per un fugace istante si chiese se il lavoro servisse a dare una parvenza di normalità alla ragazzina, se si rifugiasse in quel luogo per allontanarsi dal opprimente realtà dei fatti. Soltanto di recente la Crawford era venuta a conoscenza dei dettagli che avevano portato alla morte della Preside Lynch, macabri e inquietanti. Avrebbe sperato che la figlia non ne fosse stata informata, se solo avesse avuto un'istinto materno. Ma questo genere di empatia poteva essere soltanto simulato dalla fabbricante di bacchette. « Ciao.» quella voce che sapeva di miele e che poco e nulla aveva a che fare con lei risuonò nel negozio vuoto, prossimo alla chiusura per la pausa pranzo.« Sei Max, vero?» avrebbe chiesto sempre con il medesimo tono. Aveva posto la prima pietra, ora sarebbe stato il turno della commessa di andare avanti, scegliere uno dei percorsi che soltanto mentalmente la negoziante di Ollivander aveva già percorso. Sapeva dove l'avrebbe portata quella conversazione e quell'incontro, anche se non sapeva con quali modalità, il fine ultimo non sarebbe mutato.

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    Il Ghirigoro le dava un senso di pace. Da quando era stata assunta nella libreria più famosa di tutta Inghilterra non era mai cambiata. Aveva la certezza di poter trovare una copia di “Allucinanti Abitatori degli Abissi” nel terzo ripiano del quinto scaffale del pian terreno, di avere disposti in sequenza davanti a lei “La Gazzetta del Profeta” seguita dal “The New York Ghost” e infine dai settimanali. Ogni tanto la vetrina appariva differente per pubblicizzare il titolo del momento, altre volte vi era una festa particolarmente rumorosa nel salotto degli artisti ma il negozio era praticamente rimasto immutato. E anche lei si sentiva la stessa studentessa di sempre non appena metteva piede lì dentro. Aveva i capelli biondi e il mondo intorno a lei era andato completamente in frantumi, ma mentre lavorava circondata dal profumo di libri poteva quasi dimenticarsene e fingere che non fosse mai successo nulla. Lì dentro era semplicemente Max la quindicenne che lavorava al Ghirigoro.
    Era stata grata a James Kennegan per non averla fatta lavorare per i primi tempi quando era successo, la faccia di sua madre era sicuramente su tutti i giornali e la somiglianza tra di loro era sempre stata piuttosto marcata. Non avrebbe potuto sopportare sguardi di compassione anche li e forse era stata proprio l’assenza di ricordi legati a questi occhi tristi a farle sembrare il Ghirigoro immutato: nessuno lì l’aveva mai guardata come se fosse stata una povera orfana.

    Tutte le sue certezze vennero meno in un sabato mattina di primavera, quando il respiro freddo dell’inverno soffiava ancora dal nord, mentre la Lynch pregustava già una zuppa calda al Paiolo Magico e non aveva alcuna idea di quanto questo pensiero l’avrebbe nauseata dopo il cliente che era appena entrato. Sentendo il campanello annunciare l’ingresso di qualcuno nel negozio aveva sollevato lo sguardo da un catalogo che stava sfogliando, trovando una figura conosciuta. Hedel Crawford era la prolifica fabbricante di bacchette di Ollivander, appena oltre la strada. Aveva avuto occasione di scorgerla molte volte e avevano partecipato a qualche evento insieme, anche se non poteva dire di averci veramente scambiato qualcosa di più che convenevoli era sicuramente una figura di spicco nella società magica e nella comunità di Diagon Alley. ” Benvenuta al Ghirigoro! Sono” interruppe bruscamente la presentazione che era solita fare ai nuovi clienti, una frase che ormai era impressa nella sua mente in maniera precisa. Annuì con il capo. ” Sono Max.” Come posso esserti utile? Avrebbe richiesto di continuare la sua battuta imparata a memoria negli ultimi anni. Invece si zittì, serrando le labbra e i denti in un espressione contratta. Conosceva fin troppo bene quel tono di voce dolce e mellifluo, fin troppa gente l’aveva utilizzato negli ultimi mesi per rivolgersi a lei. Lo aveva usato l’auror che l’aveva svegliata nel cuore della notte, lo usava il Capo Auror ogni volta che aveva a che fare con lui e ogni tanto sfuggiva anche a Theodore. Poteva essere portatore di cattive notizie, di una sua disattenzione o di precisazioni, ma quel tono non le era mai piaciuto. Tutto il suo corpo si irrigidì. Conosceva Hedel Crawford soltanto di vista, ma non riusciva a pensare a un solo motivo valido perché assumesse quel tono. ” Cos’è successo?” riuscì a chiedere in un sussurro. Forse avevano trovato suo padre, pensò addirittura che la Crawford potesse essere una delle sue amanti amanti, forse aveva dimenticato di ritirare la spazzatura, forse aveva fatto qualche errore. Forse, forse, forse…


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    hedel anakin crawford
    Reclinando appena la testa di lato, un comportamento che aveva scoperto essere tipico dei Crawford e che in giro aveva iniziato a spargere la voce che fossero dei falchi che prima puntavano le loro prede e poi forse facevano qualche domanda, studiò i lineamenti del volto che aveva dinnanzi. Sapeva, perché da freddo calcolatore qual era aveva indagato sulla sua preda prima di muoversi, che Maxine Lynch era praticamente sua coetanea. Si passavano giusto un paio di anni o poco più e se non ci fosse stato un oceano a dividerle o il fatto che una era Serpeverde e l’altra era a Grifondoro avrebbero potuto conoscersi a scuola. Forse persino diventare amiche. La sua famiglia era incasinata quasi quanto quella dei Lynch, anche se al momento la figurina della morte tragica di un genitore apparteneva soltanto a Max. Si rammaricò della cosa, non tanto per uno stupido senso di empatia, ma perché ogni tanto, quando il padre era particolarmente stronzo un vago pensierino le si instillava nel cervello… avrebbe avuto tutte le conoscenze necessarie per commettere un simile atto. Un battito di palpebre scacciò quel vaneggiamento inutile e che rischiava solo di distrarla dalla partita a scacchi che stava per giocare. Aveva mosso un apertura facile e per ora Max l’aveva seguita, come aveva previsto, assecondando la sua strategia. La povera commessa del Ghirigoro non aveva idea che stavano muovendo pedine su una scacchiera ben più grande di loro due e che lei stessa era l’alfiere di questa. Ondeggiando il capo due volte, un segno di diniego per la domanda posta, ma anche un modo per tornare con la testa a guardare dritta la sua interlocutrice, stiracchiò un sorriso pigro e apprensivo. O meglio era quello che voleva simulare.
    « No no, oddio scusa non volevo farti preoccupare, non avevo pensato » so fermò a riprendere fiato, in vita sua non aveva mai inanellato così tante parole una in fila all’altra come una patetica logorroica « che avresti potuto… è tutto a posto. Volevo solo, sai…» tentennò: novantanove snasi, novantotto snasi, novantasette snasi. « Siamo praticamente coetanee tu ed io, qui intorno non c’è nessuno» si era avvicinata e appoggiata al bancone, sporgendosi in avanti come se volesse davvero aprirsi con lei « Siamo più simili di quanto puoi immaginare e se avessi bisogno di qualcuno con cui parlare » novantasei snasi, novantacinque snasi « che non sia a Hogwarts o qualcuno di troppo adulto» novantaquattro snasi, novantatré snasi « noi Crawford siamo… complicati, avrai sentito le voci anche in America » novantadue snasi, novantuno snasi « volevo solo farti sapere che la porta di Ollivander è sempre aperta » avrebbe sbattuto un paio di volte le palpebre, abbassato lo sguardo come se quello che stava per dire fosse una cosa difficile da esprime « se avessi bisogno di un’amica qui a Diagon Alley » scosse il capo con maggiore veemenza come se per un attimo si stesse quasi vergognando delle parole che stava dicendo, aprendosi in confessioni che svelavano frammenti della sua anima. Le persone si sentono esposte quando si approcciano a un estraneo o quasi, no?
    « Ma ti sto forse spaventando più di prima, per Morgana» si affrettò ad aggiungere, sforzandosi di pesare a qualcosa che l’avesse mai imbarazzata in vita sua per cercare di provocare un lieve rossore sulle sue guance, ma poi lasciò che la mente perversa che possedeva vagasse verso lidi più conosciuti e l’immagine di quello che avrebbe permesso a Skyfield di farle a letto si materializzasse nella sua mente per accenderle le guance di lussuria. « forse dovrei solo chiederti una copia della Gazzetta e riattraversate la strada.» disse la frase che aveva studiato per concludere quel monologo che a suo avviso era un’opera d’arte. Con una sola frase pronunciata per levare entrambe dall’imbarazzo, o quello che aveva simulato esserlo, aveva rivelato due cose: se la ragazza avesse voluto ignorare completamente il discorso poteva venderle quello stupido giornale pieno di fesserie e far finta fosse stata solo una cliente molto logorroica e la seconda era che questa ipotetica nuova amica era, ebbene sì, proprio dall’altro lato della strada. Nonostante gli anni scorressero anche per la Crawford poteva ancora spacciarsi per studentessa di Hogwarts ma avendo lasciato il castello non era una presenza ingombrante. Poteva essere un tipo di relazione lontana da occhi indiscreti, con qualcuno che sapeva qualcosa di avere una famiglia i cui panni sporchi erano esposti in pubblica piazza e dal passato almeno torbido per non dire losco.

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    Paralisi, conosceva fin troppo bene questa sensazione. La Lynch si bloccò avvertendo un senso di panico crescente. No, no. Non poteva essere successo di nuovo qualcosa. Vedeva le labbra della Crawford muoversi davanti a lei, ma non percepiva alcun suono che non fosse il battito accelerato del suo cuore nelle orecchie. Inspirò bruscamente e chiuse le palpebre, voleva respingere questa sensazione. Doveva riuscire a controllare il panico che le stava serrando la gola e doveva anche cercare di allontanare la pura. Cercò di allontanarla immaginando di respingerla lontana dai confini del suo essere, spingendola via dalla mente. Ma più spingeva più percepiva una sorta di resistenza primordiale, come se il senso di angoscia fosse qualcosa di insito nella sua natura e non potesse scindersi da quella che per facilità d’interpretazione avrebbe definito come sua anima. Sentiva come se ci fosse qualcosa che la tratteneva, mentre il battito del suo cuore aumentava e accelerava sotto la pressione che stava mettendo per liberarsi da questo terrore. Tum-tum. Sempre più veloce, sempre più accelerato. Sangue che pompava nelle sue vene sempre più rapidamente.
    Sangue.
    Rosso.

    Rosso.
    Sangue.
    Sulle sue dita, erano dita di donna ma decisamente più raggrinzite di quanto si sarebbe aspetta, scorrevano rivoli di sangue argentato, era andato a unirsi a quello rosso del gatto e della capra. Non aveva resistito alla tentazione, sentiva una specie di euforia crescente, mentre trascinava la mano lungo il muro, già imbrattato di sangue.
    Il rito era completo.

    Sbattè rapidamente le palpebre. Mise a fuoco Hedel Crawford, la sua voce si riversò all’interno della libreria. Il Ghirigoro, l’essenza del locale in cui lavorava la colpì con la forza di uno schiaffo riportandola al tempo presente. La sua ancora di salvezza si materializzò davanti ai suoi occhi con dettagli che le infusero un po’ di pace e calma, mentre l’immagine scioccante che era apparsa nella sua mente - forse uno strascico di qualche incubo?- iniziava a sbiadire man mano che i dettagli del Ghirigoro si facevano più nitidi. La crepa che segnava il bancone, l’odore di cuoio e pagine, le infinite boccette d’inchiostro sotto al bancone. Inspirò e riallacciò il discorso della fabbricante di bacchette mentre questa stava dicendo che erano particolarmente simili, lei si dissociava, e che se avesse voluto avrebbero potuto essere amiche. Amiche? Lo sguardo vacuo della Lynch andò a posarsi sui lineamenti della Crawford.
    ” Amiche?” ripetè, senza celare una nota d’incredulità nel tono della sua domanda. La concezione di amicizia era qualcosa di conosciuto alla Lynch sul piano teorico, ma sconosciuto sul piano pratico. Aveva sempre incolpato la madre per l’assenza di amicizie, non provava alcun tipo di rimorso nel continuare a pensarla così nonostante tutto quello che era successo, e nella sua vita era sempre venuta meno quella sfera di relazioni che andasse al di là delle conoscenze. Max conosceva le persone, sapeva dirne i nomi e magari qualche interesse, ma non si addentrava mai in un rapporto più profondo di questo. Persino nei tempi in cui era molto piccola: come strega non era mai andata in un asilo o una scuola no-mag, la madre già insegnate di Ilvermorny l’aveva portata nella scuola dove però non era nulla più che la mocciosa che si lamentava sempre e con cui nessuno voleva avere a che fare. Arrivata a Ilvermorny le strette parentele e in generale tutto quello che era stato imposto dal Rappaport avevano fatto in modo che ci fossero già gruppetti formati, vuoi perché familiari o semplicemente come famiglie purosangue che ci conoscevano, nei quali lei non si era mai inserita perché la figlia della Preside era una presenza scomoda. Quando era arrivata a Hogwarts con la madre assassinata, erano bastate poche settimane perché il macabro dettagli fosse svelato, era stata evitata come la peste bubbonica. Non poteva immaginare se ci celassero doppi fini, infondo era quello che sua madre e il padre gli avevano detto sarebbe sempre stato cercato in un legame con i Lynch erano dei vantaggi o tornaconti personali, dietro alla proposta della Crawford. Ma il desiderio di legare con qualcuno, qualcuno che non fosse il suo tutore legale o il suo capo, era decisamente forte e la fabbricante di bacchette le stava sventolando davanti agli occhi qualcosa che aveva sempre bramato, pur senza mai ammetterlo a se stessa.
    Non doveva comunque aver fatto una buona prima impressione, perché la proprietaria di Ollivander stava già battendo in ritirata cercando di togliersi dall’impiccio con la scusa di acquistare La Gazzetta. Dondolò un po’ sul posto, sorprendendosi a pensare veramente alla proposta che le era stata avanzata: si poteva davvero andare da qualcuno e dire semplicemente qualcosa che sapeva molto di noi due siamo molto simili che ne dici di essere amiche? Non sapeva davvero se funzionassero così le amicizie, se era realmente così semplice, ma ne aveva passate davvero tante in quegli utili tempi, aveva affrontato cose che la metà della gente non affronterà mai e solo una piccola parte della restante è costretta ad affrontare in età molto più avanzata, ne aveva passate così tante che desiderava solo iniziare il prima possibile a seguire un’esistenza normale, o il più possibile simile alla normalità. ” Vuoi davvero una copia della Gazzetta?” domandò, la voce leggermente meno flebile di come era stata prima ” Perché vedi non c’è nessuno sconto amiche della commessa…” si affrettò ad aggiungere, vergognandosi comunque troppo per dire ad alta voce che avrebbe provato ad accettare la proposta della Crawford, ma non voleva nemmeno che pensasse che non desiderasse altro che vendere una copia di qualche giornale ” Non è un grande affare, comunque.”


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    hedel anakin crawford
    Che cosa di fosse di affascinante nel gioco d’azzardo non lo aveva mai capito. Erano stati il fratello e il Lawrence, ovviamente, a portarla per la prima volta in un casinò. Non una di quelle bische clandestine piene di malavitosi e soggetti poco raccomandabili, ma « nella nobiltà babbana» aveva descritto Dean senza nascondere quel ghigno divertito di quando ride delle sue stesse battute. Come era prevedibile la Crawford gli aveva rivolto uno sguardo con il sopracciglio arcuato, un ossimoro che proprio non riusciva a far conciliare nella sua mente. Ad ogni modo aveva osservato la cosiddetta nobiltà dei sangue marcio puntare su caselle nere e rosse, perdere in giochi dove era palese che vincesse sempre il banco, per poi gioire quando tornavano a risanare le proprie finanze di un centesimo di quello che avevano speso. Osservare degli idioti che perdevano puntualmente nonostante sapessero delle probabilità a loro sfavorevoli irritava particolarmente l’animo della londinese che tuttavia era rimasta in silenzio a prendere spunto. Non da quei poveri illusi che si sarebbero trovati sul lastrico della bancarotta da lì a poche settimane, anzi era contenta che ci fossero ancora simili mentecatti da poter raggirare con facilità, sebbene non fornissero stimoli particolarmente eccitanti nel tentativo di essere frodati ogni tanto era piacevole vincere facile, ma dal banco. Dietro alle strette iridi nere era rimasta ad osservare, studiando le varie mosse e come sempre traendo giovamento dalla reiterata sconfitta di chi puntava tutto sulla fortuna, più che sui mezzi propri. Faber est suae quisque fortunae sembrava essere l’inesorabile sentenza alla bancarotta di quel luogo. Un fondamentale insegnamento era comunque giunto dal quel luogo di assoluta stoltezza, un altro tassello che era andato a sommarsi agli altri mattoncini che avevano reso la Crawford così incline al ragionare con mente perfida e criminale, affinando negli anni un’istinto quasi impeccabile: puoi permetterti di bluffare soltanto se sei disposto a rischiare tutto, o, se sai di potertelo permettere. Proprio in quel sabato mattino aveva estrapolato quel concetto dal cassetto nel quale risiedeva e lo aveva fatto suo. Non aveva scommesso d’azzardo, buttandosi alla cieca come avevano fatto coloro che si votavano alla dea fortuna nella sala della roulette russa, no, il suo era stato un lancio calcolato e per restare nei termini del gioco, non si può perdere se si gioca con dadi truccati. L’arte della manipolazione aveva condotto le fila di quella conversazioni, con frasi studiate e pause atte proprio a indirizzare l’interlocutore su un preciso sentiero. Si, avrebbe concesso delle svolte per concedere l’illusione del libero arbitro, ma tutte le strade avrebbero inesorabilmente portato a Roma. O per meglio dire, dritto nella tana del drago.
    Aveva giocato le sue carte e ora aspettava di vedere se la piccola Lynch avesse un asso nella manica con cui sbaragliare il banco, perché sebbene il gioco fosse truccato la capricciosa dea fortuna poteva anche decidere di sorridere al giocatore. Ma non fu quello il caso e la giovane Grifondoro, con il previsto iniziale tentennamento, cedette alla promessa di amicizia che era stata posta sul tavolo. Non era stato difficile prevedere cosa bramasse la commessa orfana, così come mettere in risalto i loro punti di affinità era stata la zampata finale per la sua impresa.
    Sulla maschera che quotidianamente indossava si allargò un sorriso, rassicurante e soddisfatto.« La prendo comunque, anche senza sconto. » aggiunse facendo ricadere l’esatto importo di galeoni sul bancone del Ghirigoro. « Ti lascio tornare al tuo lavoro, ma aspettati un mio gufo.» sempre sorridendo, con la voce rassicurante e allegra di chi era amica da una vita, si congedò.
    Missione compiuta.

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