I wanna be your slave

daddy Theodore Skyfield

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    hedel anakin crawford
    Attraverso i rami, coperti dalla leggera nevicata della sera prima, spiragli di luce filtravano, riflettendosi sui cristalli di ghiaccio e sui fiocchi di neve che di tanto in tanto gocciolavano al suolo, in un lento pianto. Sul terreno la traccia di qualche animale del bosco, piccoli abitanti discreti, che si era avventurato alla ricerca di provviste al prezzo di aver svelato la sua tana. Un predatore avrebbe potuto trovare interessante quell’informazione, e sebbene la mente della Crawford era stata in grado di coglierla e registrarla, quel giorno era a caccia di prede di ben maggiore calibro di qualche ingenua volpe. Non era stato un caso che avesse scelto una delle radure più antiche, alcuni chilometri dal centro abitato di Inverness, cittadina che era sempre stata legata a doppio filo con la magia. Nelle Highland scozzesi c’era qualcosa, era come se lì la magia fosse rimasta grezza, nutrita da rituali e da usanze che le avevano permesso di scorrere e sedimentare. Nessuno lì, nemmeno un babbano, avrebbe trovato strano assistere a qualcosa di inspiegabile, se non implicando l’esistenza della magia.
    La radura di querce sembrava scrutarla con con aria giudicante, quel cipiglio tipico di chi ne ha viste così tante da sapere come andrà a finire, di chi ha il “te lo avevo detto” pronto sulla punta della lingua. Ma quelle piante e lei si conoscevano molto bene. Lo sguardo della Crawford si era posato a più riprese su alcuni esemplari, giovani e forti, nelle cui vene pulsava linfa vitale che era in grado di accogliere quella magia atavica che esisteva e resisteva nel terreno sul quale sorgevano, con tutte le intenzioni di svolgere un esame conoscitivo, perché il legno di quella radura non era solo molto pregiato, e la sua camera blindata ne sapeva qualcosa, ma era eccellente per creare bacchette di qualità superiore. Tra le dita stringeva proprio un’esemplare che un tempo era appartenuto al boschetto su quella collina, un piccolo vantaggio che non aveva saputo resistere dal approfittare di concedersi. Le ombre giocavano a rincorrersi mentre il sole si alzava lentamente nel cielo, come se lui stesso si svegliasse piano, in quella domenica mattina che chiamava all’ozio. Non era questo il caso della fabbricante di bacchette, che aveva resistito alla tentazione di buttarsi sul Whisky Incendiario con il duo Nate-Lawrence e aveva preferito concedersi una bella dormita si sonno, più sveglia che mai. Fremeva all’idea di potersi incontrare con Theodore Skyfield, il genere di mago che era in grado di comprimere l’oscuro cuore della Crawford nella cosa che più si avvicinava a un batticuore, di poter fronteggiare qualcuno tanto abile con la bacchetta magica e non solo quella magica per misurare se stessa. Ma non sarebbe stato solamente un lavoro di introspezione, si diceva mentre cercava di mantenersi salda nella posizione al centro della radura, dove era arrivata con una materializzazione, circondata da impronte e segni sulla neve che non aveva tracciato lei. Teneva il capo piegato di lato, la sua posa che era ormai intrinseca del suo essere, ascoltando con attenzione e proiettando il proprio essere in ogni direzione della radura, per captare ogni mutamento e perché no, l’arrivo di qualcuno che era molto più che atteso. I capelli intrecciati in una stretta treccia la dicevano lunga sulla poca casualità di quell’incontro e su quanto poco calmo sarebbe stato, come se una bacchetta già pronta in mano non fosse sufficientemente accogliente.

    code made by zachary, copia e t'ammazzo©

    Theodore Skyfield
     
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