Posts written by Madeline Mayson

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    1. Link Role da Chiudere: In cerca di amicizie
    Personaggi Partecipanti:Madeline Mayson e Daisy Johnsson (mancata risposta)
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    Ilvermorny - Thunderbird – Age 17
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    No sex please, we are British

    Draven Shaw doveva essere la tipica persona tutta d’un pezzo. Apparentemente incapace di abbassare la guardia. Ma davvero l’aveva spaventato a tal punto? Scoppiò a ridere alla vista del maglioncino grigio di lui, ritenendo quel coprirsi compulsivo assolutamente esagerato. Mani sulla pancia, buttò la testa all’indietro e rise di gusto.
    Riflettendo su quel comportamento, Maddie non seppe spiegarsi se fosse solo pudico o se veramente quella battuta innocente lo avesse infastidito. In realtà, non l’aveva nemmeno occhieggiato in maniera lasciva, né aveva tentato di toccarlo in nessun modo. Per un attimo dubitò che possedesse il senso dell’umorismo. Scrollò le spalle, ritenendolo un elemento senza importanza, perché in quel caso avrebbe compensato lei.
    ”Non so dirti” riuscì a replicare, terminato l’attacco ilare ”E’ un po’ scomodo raggiungere Diagon Alley od Hogsmeade. Io, per esempio, mi sono persa a cercare di raggiungere il villaggio. In realtà non è stato così male perdersi, ma comunque… Forse alcuni non pensano valga la pena di prendersi il disturbo, solo per fare acquisti. Poi come lo sai che sono l’unica?” Le sopracciglia si inarcarono verso l’alto, mentre la texana fissava il Serpeverde con uno sguardo interrogativo ”Voglio dire, non giriamo mica con i cartelli. Potrebbero essercene diversi proprio qui, questo momento, e tu non potresti saperlo”.
    Scosse il capo, senza riuscire a togliersi dalla testa la reazione sproporzionata di poco prima. Non che l’avesse infastidita, anzi, l’aveva trovata divertente. Lei, la regina del melodramma, aveva appena fatto conoscenza con un mago apparentemente altrettanto melodrammatico. Forse, in generale, tutti gli studenti di Hogwarts erano fatti in quel modo. La sua mente si proiettò ad un pomeriggio in particolare, uno in cui aveva conosciuto un altro studente specifico. Le guance si imporporarono al pensiero e bastò quella reazione fisica a scacciare prepotentemente quell’ipotesi. Alec però era islandese, quindi, forse, erano gli inglesi ad essere così abbottonati.
    Gli occhi nocciola si sollevarono, puntando a raggiungere quelli verdi di lui. Inclinò la testa, fissandolo con interesse malcelato, come una qualsiasi persona che tentava di risolvere un’incognita.
    ”Tutti voi inglesi siete così?” soffiò, senza alcun filtro tra cervello e bocca ”Ti sei bardato senza motivo alcuno, è perché voi inglesi siete timidi oppure sono io in particolare a darti fastidio?”.
    Una domanda totalmente onesta, priva di giudizio. Madeline era solo genuinamente curiosa di comprendere., così da potersi comportarsi di conseguenza. Malgrado talvolta lo facesse senza volerlo, non provava particolare gusto a rilegare l’interlocutore in una posizione di disagio; era solo talmente trasparente e ciarliera, che non ci faceva caso.
    Attese una risposta, mentre sollevava verso l’alto gli angoli delle labbra. Un segnale di quanto fosse ben disposta. Scivolò con lo sguardo, bloccandosi all’altezza di uno stemma mai visto. Era un serpente? I piedi si mossero appena in avanti, in maniera del tutto involontaria. Avrebbe inarcato le testa verso sinistra, mentre analizzava quella sorta di blasone. Era il simbolo della famiglia di lui oppure c’entrava l’appartenenza scolastica?
    Arricciò leggermente il naso, dal momento che non amava in maniera particolare i serpenti. Persa totalmente in quell’esame, l’indice destro si sollevò senza che lei ne avesse alcun controllo. Vicina a sfiorare quel segno con le dita, si bloccò di scatto, ritirando la mano. Prima, quando aveva abbracciato il ragazzo per consolarsi, aveva percepito una certa rigidità da parte sua. Non gli era piaciuto che lo toccasse e, anche se non le interessava sfiorarlo maliziosamente – almeno non più dopo averlo visto reagire – temeva di infastidirlo con quell’esplorazione innocente.
    Abbassò la mano, prima di sfiorare il segno e fissò Draven di traverso.
    ”Cos’è quello? E’ un simbolo di famiglia o della vostra scuola?” Ennesima domanda di cui avrebbe preteso la risposta.
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    Gli abbracci erano piacevoli. Una manifestazione di vicinanza che non stancava mai. Poco importava che fossero ricambiati a stento, era lei a pensare a tutto. Maddie non se la prese per la scarsa partecipazione del ragazzo, consapevole che non tutte le persone fossero in grado di manifestare la giusta dose di empatia. Per lei, espansiva com’era, non si trattava di uno scoglio difficile da superare e si chiese per quale motivo per il ragazzo non fosse così.
    Lo osservò di sottecchi, incapace di evitare di fare alcune congetture. Forse, caratterialmente era fatto in quel modo o forse, e quella era l’alternativa con un più alto livello di attrattiva, aveva paura a lasciarsi andare. Mettersi nei panni di qualcun altro, richiedeva un certo sforzo. Aprirsi alle proprie emozioni, così da comprendere quelle di qualcun altro, era una condizione imprescindibile. Che fosse quello il suo caso?
    Benché non fosse pentita di averlo stretto come un grosso albero, scoprì di essere dispiaciuta per la camicia di lui. Piangergli addosso non era previsto, ma, come al solito, l’americana non era riuscita a trattenersi. Ricambiò il suo sguardo, sbattendo le palpebre. Provò la sua migliore espressione da cerbiatto ferito, così etichettata dal fratello, speranzosa di farsi perdonare.
    ”Ah si?” lo interrogò, quasi dimenticandosi di essere triste ”Non lo sapevo. Mi piace l’idea di possedere una bacchetta di questo tipo e, poi, avere intuito è una cosa buona, no? Non l’avevo mai vista in questo modo. Pensavo si trattasse solamente di una sorta di associazione tra il mio catalizzatore e la mia casa di appartenenza, ma questa versione mi piace di più”.
    Inarcò le sopracciglia nel vederlo allontanarsi di un paio di passi, quasi avesse paura potesse assalirlo un’altra volta. Il viso si contrasse. Una reazione involontaria per cercare di evitare di ridere. Lui, alto almeno trenta centimetri in più, era davvero spaventato da lei. Scelse di non offendersi, intuendo che quello fosse il suo modo di fare abituale. In ogni caso non ci aveva davvero provato, perché, qualora lo avesse fatto, il Serpeverde se ne sarebbe accorto.
    Inorridì, arricciando le labbra in una smorfia disgustata. Paragonata alla sua, la propria cliente non era poi così terribile. Si augurava che la bambina non avesse una predilezione per il Quidditch, perché, in quel caso, Madeline avrebbe rischiato di perdere il lavoro da Accessori. Non sarebbe mai riuscita a stare zitta e a mantenere il giusto aplomb in una situazione del genere. Farlo per tre ore, poi? Questo ragazzo, questo Draven, doveva essere un santo.
    Sorprendentemente, quel racconto riuscì a farla sentire meglio. Mise le cose in prospettiva, permettendole di rendersi conto che la propria situazione non fosse stata poi così tragica.
    ”Sì, mi fa sentire meglio” tubò, semplicemente. Diretta ed onesta fino al midollo. L’ennesimo cambio di umore repentino, che spazzò via ogni residuo di tristezza.
    ”Certo che sei proprio sfortunato. Tre ore? E te ne sei stato zitto per tutto quel tempo ad assecondare le richieste di quella insopportabile viziata? Mi chiedo come tu abbia fatto. Io avrei resistito si e no due minuti”. Sollevò gli occhi al cielo ed allargò le braccia, dando dimostrazione di grande teatralità.
    Si sentiva meglio e le labbra si sollevarono spontaneamente verso l’alto. Arrotolò una ciocca scura attorno all’indice, mentre inclinava il capo verso destra. Lo sguardo scese verso il basso, perché, ora che la tristezzza era stata spazzata via, non vedeva il motivo di non sbirciare. Puntò le iridi nocciola all’altezza della stoffa, che lei aveva contribuito a bagnare di lacrime.
    ”Sai cosa” sogghignò, puntando l’indice nella sua direzione ”forse non sono più così dispiaciuta”. Finalmente rise davvero e tutto grazie ad un giovane mago, che conosceva appena e che le aveva migliorato l’umore in più di un modo.
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    Normalmente, quando poneva una domanda, era perché le interessava davvero una risposta. Nessuna frase fatta o di circostanza, solo genuine curiosità di conoscere il proprio interlocutore. Un’espansività tipica del proprio carattere, predisposto a fare continuamente nuove conoscenze. Quel giorno, al contrario, Maddie si era sforzata appena di ascoltare.
    La propria genuina curiosità era stata interamente spazzata via dall’incubo lavorativo vissuto quel giorno. Plasmata in una persona egoista, il contrario di chi era di solito, desiderava soltanto sfogarsi. Parlare di sé fino alla nausea e farsi consolare. La texana voleva un’illusione. Mentiva a se stessa, sforzandosi di credere che il ragazzo potesse confortarla alla stregua del fratello e, allo stesso tempo, desiderava che Draven le dicesse che i clienti così fossero un caso molto raro, alimentando la lista di bugie.
    ”Oh, bello”. Arricciò le labbra, fingendo un entusiasmo che non provava. In qualsiasi altro momento, si sarebbe divertita a fare tantissime domande. Avrebbe cercato di scoprire qualcuno dei segreti sull’arte della fabbricazione di bacchette, sempre che il serpeverde li conoscesse.
    ”La mia ha il nucleo di penne di Thuderbird ed io sono una Thuderbird. Che coincidenza, giusto?” Si sforzò di sorridere, ma l’espressione estatica non coinvolse gli occhi.
    Pochi minuti con una pessima strega avevano avuto il potere di sminuire ogni elogio ricevuto. L’autostima, già di per sé scarna, ne aveva risentito parecchio. Maddie dava gran mostra di sé, dimostrando di essere sicura, forte, ma era tutta apparenza. Fragilità ed insicurezze erano ben nascoste, cosicché solo le persone a lei molto vicine potessero vederlo.
    Piangere non era in programma. Senza via di uscita, aveva creduto di avere toccato il fondo. Un baratro da cui non riusciva a risalire, non senza qualcuno che la facesse sentire meglio. Lacrime inevitabili, ognuna più accorata della precedente, fino a quando non si era sentita esausta.
    I lievi colpi sulla schiena e l’imbarazzo evidente, perfettamente percepibile dal tono del ragazzo, riuscirono a raggiungerla. Oltrepassarono la cortina di tristezza spingendola ad arretrare. Quello non era il fratello e, pur non essendo lei una persona timida, si rese conto di avere oltrepassato troppi confini tutti insieme. Nessuno avrebbe dovuto vederla in quel modo.
    Gli occhi nocciola le caddero verso il basso, puntando la camicia che lei aveva sgualcito.
    ”Mi dispiace, io…Non avrei dovuto, credo” confessò, tirando su piano con il naso. Non si era ripresa nemmeno lontanamente e il trattenersi dallo sbirciare le trasparenze di quella camicia, ne era una prova. Normalmente avrebbe guardato, tanto per decidere se ciò che vi era nascosto fosse o meno meritevole di attenzioni, ma il solo fatto di avergli pianto addosso avrebbe reso il momento ancora più imbarazzante.
    Prese a camminare, seguendo silenziosamente il consiglio di lui. Si concesse un respiro profondo ed i polmoni si riempirono di ossigeno. Le veniva ancora da piangere, ma cercò di trattenersi. Lo sguardò scivolo sulla figura molto più alta di lei. Cosa stava pensando? La Thunderbird non voleva che la giudicasse come un pazza squilibrata, perché quello era forse uno dei pochi difetti che non possedeva. Era eccentrica, ma non matta.
    ”Scusa se ho pianto prima” sussurrò, cercando di mitigare l’astio che lui doveva provare nei suoi confronti ”Ho avuto una bruttissima giornata, mi mancava mio fratello e tu eri lì e…” scosse la testa, ondeggiando la coda di cavallo ”Quale è stato il tuo giorno peggiore da Ollivander?”.
    Arricciò il naso, distogliendo, per una volta, l’attenzione di se stessa. Certo, a giudicare dalla stazza, il Serpeverde non sembrava il tipo da spaventarsi facilmente, a differenza della texana. Malgrado ciò, era quasi convinta che, pochi minuti prima, fosse stato spaventato da lei, un piccolo terremoto di un metro e sessanta.
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    Non era brava con i misteri. Trasparente com'era, trovava difficile riuscire a comprendere da subito una persona più complessa di lei. Il ragazzo con la mano ferita e la bacchetta spezzata era uno di quei casi apparentemente superiori alle proprie capacità e non si sorprese di esserne piacevolmente colpita. La tendenza ad annoiarsi di tutto, velocemente quanto un battito di ciglia, si era sempre rivelata essere la sua croce più grande. Forse perché viziata dei genitori, si stancava di tutto troppo velocemente.
    Se Alec fosse stato più semplice da comprendere, probabilmente Madeline ne avrebbe avuto abbastanza di quel giochino tra loro. Non era così. Sorpresa, sollevò entrambe le sopracciglia scure, affascinata dal quello scambio continuo e circolare tra loro.
    Gli occhi così scuri di lui, più che uno specchio, rappresentavano una porta chiusa a chiave. Le sarebbe piaciuto sbirciare, intravedere qualcosa di più del affascinante studente islandese, ma, allo stesso tempo, non era sicura di volerlo fare. Temeva che quello che avrebbe scoperto potesse non piacerle, ancora peggio, aveva paura di potersi stancare. Non era disposta a lasciare andare il ragazzo, non così presto ed inconsciamente si ritrovò a prestare più attenzione alla sua esteriorità, notevole, che al resto.
    Era interessata, solo che non sapeva per quanto lo sarebbe stata. Arricciò le labbra, compiaciuta. La testa si mosse lentamente su e giù, annuendo all'affermazione di lui. Maddie si morse l'interno della guancia, tentando inutilmente di contenere quanto si stesse divertendo.
    "Quando vuoi" soffiò. Un autocontrollo cedevole, che le conscesse solo un secondo, prima di scoppiare a ridere. Nascosta dalle ciocche dei capelli, si concesse di esprimere il proprio divertimento. Forse lui stava scherzando, ma se solo avesse saputo. La texana aveva un vero talento nell'attirare l'attenzione e fare casino, anche se non sempre in maniera positiva. Maddie stessa era caos. Ci si poteva adattare, tollerarla, apprezzarla per ciò che era o, in caso contrario, soccombere ed odiarla per l'illogica ragazza che era.
    Curò quella ferita con disattenzione, abbastanza sicura di riuscire in quell'incantesimo anche senza interrompere il contatto visivo con il ragazzo. Il braccio le formicolò durante l'intero processo, ma non ci fece caso.
    La successiva frase di Alec spense ogni traccia di divertimento. Il ghigno divertito si trasformò in un piccolo broncio. Un cambio d'umore talmente rapido da fare girare la testa. Francamente, non era sicura di avere capito cosa intendesse l'islandese, ma, anche se l'avesse fatto, non era sicura che le piacesse. Arricciò il nasino, incrociando velocemente le braccia al petto, sciogliendole subito dopo.
    Il volto si trasformò fino ad assumere una più normale espressione confusa, perché, dopotutto, non era per nulla sicura di cosa l'altro volesse intendere.
    Le labbra si separarono, pronte a pretendere quel chiarimento, ma furono costrette a premersi ancora l'una contro l'altra. Due possibilità? Rizzò la schiena, tradendo la propria curiosità in merito. L'indice sinistro, arrotolato intorno ad una delle ciocche scure, prese a vorticare più forte. Suspence e fiato trattenuto, tutto senza nemmeno accorgersene, fino a quando le due possibilità non le furono spiattellate davanti agli occhi.
    Anche non fosse stata curiosa e lo era notevolemente, la texana era una di quelle persone genuinamente buone. Ingenua, si fidava troppo e troppo spesso, anche di coloro che non sarebbero stati meritevoli. Come poteva dubitare di Alec, l'affascinante ragazzo appena conosciuto?
    Lo percorse con lo sguardo dalla testa ai piedi e quella fu l'unica esitazione che si concesse. Ricacciò il catalizzatore nella mancina, prima di lasciare scivolare l'altra mano, ora libera, in quella notevolmente più grande dello studente di Hogwarts. Aggrappata a quelle cinque dita, come se fossero la terra promessa, si diede una leggera spinta per sollevarsi dal masso. Ritta in piedi a lamentarsi silenziosamente di quella differenza di altezza che le impediva di scrutarlo da vicino.
    Gli sorrise, inclinando la testa di lato, percependo a malapena le ciocche scivolarle lungo la spalla, coperta dalla camicetta.
    "Quindi, dove andiamo?" tubò, completamente dimentica di quale fosse la seconda alternativa offertale. Incurante se quella fosse la scelta giusta o meno, si avvicinò ulteriormente a Alec. Sollevò le iridi nocciola alla ricerca di quelle molto più scure di lui. Non sarebbe riuscita a pazientare ancora a lungo.
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    S penta. Abbattuta da una giornata durissima. Non abituata a doversi confrontare con tali difficoltà. Ignara di tutto, Madeline aveva proseguito per la propria strada, arrestata bruscamente da una collisione. Mani, molto più grandi delle proprie, a cingerle le spalle, che le consentirono di non cadere e precipitare ancora più in fondo di quella giornata nera.
    Gli occhi castani si sollevarono verso l’alto, molto più di quanto si aspettasse, a incontrarne un paio di verdi. Trapassata dalla consapevolezza di conoscerlo, lo studio dal basso. Una smorfia involontaria provocò una brusca salita delle sopracciglia. Era lei ad essere bassa o qui erano tutti dannatamente alti? Cosa mangiavano gli inglesi? Probabilmente, le sarebbe occorso uno sgabello, per guardarlo in faccia.
    Era carino e, in un altro momento, si sarebbe divertita a tentare di farlo capitolare. Un metodo ingegnoso dopo l’altro, rifacendosi pedissequamente alle parole della compagna di stanza e alle istruttive riviste, che le aveva trafugato. Una prassi che non avrebbe messo in pratica, non quel giorno. Umore a terra e necessità di conforto, entrambi elementi che resero difficile anche solo tentare di essere la ragazza di sempre. Demolita dalle critiche ingiustificate addossatole dalla cliente peggiore di sempre.
    La testa si inclinò di lato, riflesso incondizionato della frase del mago. Quella e il negozio dietro di lui, la spinsero ad interrogarsi ancora. Francamente, la texana sapeva poco di lui, dato che l’aveva visto solo all’evento Al Ghirigoro dove, settimane prima, si era limitata a tormentarlo.
    ”Ti serviva una bacchetta nuova?” lo interrogò, aggrottando la fronte. Tornò a concentrarsi sui propri pensieri e sul bisogno urgente di essere confortata da Evan, proprio come una bambina. Diciassette anni che, in quel momento, pesarono come un macigno. L’età anagrafica come un ostacolo che le intimava di non cedere, senza che lei ne fosse in grado. Nessun atteggiamento da dura per la Thunderbird e, anche se ci avesse provato, le sue spalle minuscole non avrebbero retto il peso di nulla. Qualcun altro si era sempre fatto carico di quei problemi al posto suo.
    ”Lavoro qui, da Accessori per Quidditch di Qualità” tubò, affossandosi tra le spalle magre. L’unica consolazione, in quel momento, era avere Brad McNeal come capo. Nonostante la fissazione per l’ordine, forse un po’ troppo marcata, la trattava in maniera gentile e, fortunatamente, era anche bello da guardare. Se fosse stato al negozio quel giorno, magari avrebbe potuto difenderla in qualche modo.
    Gli occhi si riempirono ancora una volta di lacrime, lucidi all’inverosimile. Sull’orlo del precipizio, ad un passo dal piangere, la mente richiamò i momenti peggiori, spingendola giù.
    Una spinta in avanti, braccia separate per circondare la vita del ragazzo, poco più di uno sconosciuto. Immobile, provò la stessa sensazione di abbracciare un albero. Singhiozzò, con la faccia nascosta nella maglietta di lui. Una disperazione reale, tangibile, che, ai propri occhi era troppo da sopportare.
    ”E’ stata una giornata orribile” parole soffocate dal pianto, rese a malapena comprensibile ”Sono stata gentile, carina. Ho tentato di aiutarla e lei?” singhiozzò, stringendo ancora di più l’oro della maglia di lui ”Mi ha liquidato con un cenno della mano. Come un insetto”.
    Stretta in quel modo, senza alcun secondo fine. Normalmente, avrebbe approfittato della situazione, muovendo la mano sulla schiena del ragazzo per sentire come fosse messo. Non quella volta.
    Draven si era trovato al posto sbagliato, nel momento sbagliato. Unico faccia nota per sfogare la propria frustrazione. L’aiuto per sopperire alla mancanza del fratello e farla sentire meglio.
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    Sfinita. Il turno da Accessori per il Quidditch di Qualità si era rivelata più massacrante del solito. Un cliente dopo l'altro, senza avere quasi un attimo di respiro. La giornata peggiore di sempre come commessa, al punto che si era quasi pentita della scelta. In un momento di sconforto, si era rinchiusa nell'opificio per respirare e poi, proprio quando aveva pensato di sentirsi meglio, le cose erano peggiorate ulteriormente.
    L'incubo travestito da strega di mezza età. Abito rosso fuoco e rossetto dell'ennesimo colore. La cliente peggiore di sempre. L'aveva guardata dall'alto al basso e, la texana ne era convinta, l'aveva disprezzata all'istante. Ogni tentativo di essere gentile, allegra era stato accantonato da uno stizzito cenno con la mano. L'impegno ripagato da un cenno di cinque dita. Umiliata, si era mordicchiata il labbro inferiore per evitare di piangere, di non mettersi ulteriormente in ridicolo.
    Persino Rigriel, avendo assistito alla scena pietosa, l'aveva compatita, fissandola con gli enormi occhi castani. Aveva sorriso tristemente, annuendo per fargli sapere che stava bene.
    In qualche modo, era riuscita ad arrivare alla fine del turno. Illesa fisicamente, ma non moralmente. Colpita duramente dalla scortesia altrui e lei, troppo buona per sopportarlo, ne aveva risentito. Nel momento di difficoltà, la mente si era concentrata sul fratello. Un'immagine nitida, che le aveva infuso un po' di sicurezza. Avrebbe voluto potere sentire la sua voce e fiondarsi all'interno delle sue braccia tese. Sentirsi nuovamente piccola, protetta e confortata. Libera di lamentarsi e sfogare la propria frustrazione. Il solo pensiero di non poterlo fare, la sconfortò ulteriormente. Quella sera, davanti al proprio prezioso cofanetto, avrebbe estratto le lettere del fratello, una dopo l'altra. Non lo faceva spesso, ma si trattava di una situazione di estrema emergenza.
    Le mani scesero a lisciare la gonna, quel giorno giallo, per eliminare le pieghe dovute ad un'intera giornata di lavoro. A testa bassa, si mosse tra la gente che affollava la via principale di Diagon Alley. Sguardo sui piedi, troppo sconfortata per la consueta esuberanza.
    Un urto, lieve, ma sufficiente a destare la sua attenzione. Incespicò, sollevando la testa verso l'alto.
    "Scusa..." borbottò, viaggiando con lo sguardo alla ricerca del povero malcapitato. Spalancò le palpebre, riconoscendo il giovane mago, visto solo poche settimane prima. Complice l'evento Al Ghirigoro e la propria eccentricità, Maddie non si era fatta problemi a presentarsi.
    Si raddrizzò, sistemandosi al contempo la coda di cavallo. Dorsi delle mani sugli zigomi, a cancellare le prove del proprio sconforto. Forzò gli angoli delle labbra verso l'alto. Un tentativo di tornare la stessa ragazza esuberante di sempre.
    "Anche tu ancora in giro? Hai acquisti da fare?" tubò, ma in maniera molto meno convinta del solito. Le sarebbe servito un miracolo per dimenticarsi di quella pessima giornata.
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    A veva sempre pensato, che le mancasse qualcosa. Assenza di esperienza, dolente come un arto fantasma. Tuttavia, prima di imbattersi nel mago dai capelli corvini, Madeline non aveva realizzato quanto fosse ampia quella stessa mancanza. Quel punzecchiamento, quel flirtare le piaceva davvero. Scambi di battute, rapidi come i propri cambi d’umore, che resero il fastidioso incidente con la fanghiglia più sopportabile.
    Mosse i piedi su e giù, dondolando appena le gambe. Occhi nocciola incastrati a quelli neri di lui, talmente scuri da sembrare un buco nero. Ne era attirata. Il desiderio di gravitare in quell’orbita superava tutto il resto. Un senso di prudenza, già di per sé assente, guastato ulteriormente dal quel fortuito incontro. Lei era troppo semplice, troppo ingenua, troppo trasparente. Incapace di mentire, diceva ciò che le passava per la testa, senza proteggersi con alcun filtro. La natura non le aveva assegnato alcun animo calcolatore, era solo Maddie. Con ogni probabilità, si sarebbe fatta male, ma non le importava.
    Il suo essere carino rese l’intero scambio ancora più piacevole. Eccitata come una bambina, si mosse nervosamente sul posto. Quello, rifletté, era decisamente meglio di un paio di Spettrocoli. Doveva persino ringraziare di essersi persa e di avere rovinato le scarpe, che più preferiva al mondo. Senza quelle disgrazie, tragedie per una diciassettenne dalla vita facile come lei, avrebbe perso l’occasione.
    La replica, vagamente irriverente di lui, ingigantì l’espressione estatica della strega. Le labbra si stirarono verso l’alto. Il capo si inclinò di lato. Tutti gesti rivelatori del proprio interesse.
    ”In effetti…” tubò, arrotolando una ciocca scura attorno all’indice. Lo osservò di sottecchi, frullando le ciglia di tanto in tanto, come se fosse una seduttrice esperta, anziché una diciassettenne senza esperienza alcuna.
    ”Interesse scientifico. Sai, a scopo di ricerca”. Il labbro inferiore risucchiato leggermente in bocca, come tentativo di contenere il proprio divertimento.
    Estroversa com’era, la texana adorava interagire. Ogni momento era buono per conoscere qualcuno, ma fino a quel momento, non aveva mai sperimentato una reciprocità come quella. L’irragionevole iper protezione del fratello ed il proprio modo di fare, spesso incompreso ai più, erano i veri colpevoli. I più buoni l’avrebbero definita eccentrica, ignorando che si nascondesse molto di più sotto la superficie. Altri penavano che fosse un po’ stramba. Il giovane mago dai capelli corvini? Un mistero.
    Separò le labbra, pronta per porre lei stessa quella domanda. Indagare su se stessa, senza farsi alcuno scrupolo. Fiato trattenuto ed una gioia estatica. Si raddrizzò, spingendo le spalle all’indietro. Sentirsi alta tre metri e godersi la sensazione, perché lui la trovava bella.
    Il volto si distese in un sorriso raggiante, inorgoglito dalla presunzione convinzione di essere ad un nonnulla dal farlo capitolare. Le avevano detto che fosse difficile, ma, evidentemente, lei doveva essere un talento naturale. Almeno così pensava.
    Ammiccò, sporgendosi appena verso di lui, un attimo prima di allungare le gambe. Gli stivaletti rovinati calamitarono il proprio interesse ancora una volta. Intristita, si limitò ad osservare quello scempio, prestando poca attenzione alle reazioni di lui. Si perse quella smorfia di incomprensione. Tuttavia, qualora la avesse vista, avrebbe apprezzato il tatto del ragazzo. Malgrado non capisse, non condividesse seriamente il dramma di lei, aveva taciuto. Nessuna critica, né accusa di essersi comportata in maniera esagerata. Solo il silenzio.
    Maddie.
    Di nuovo quel nomignolo, di nuovo quel tono. Si ritrovò a contorcersi sotto le attenzioni di lui. Era compiaciuta da morire.
    ”Ah si?” soffiò, grata che avesse diminuito nuovamente la distanza ”Non credo mi dispiaccia, Alec. In fondo è quello in cui noi Thunderbird siamo bravi, no? Distraiamo perfetti sconosciuti, attiriamo l’attenzione e facciamo casino”.
    Il naso si arricciò, riflesso involontario del contatto con il polpastrello. Le dita della destra si spinsero in avanti per afferrare delicatamente il palmo ferito del mago. Lo osservò velocemente, il minino indispensabile, così da evitare di sentirsi male ancora una volta.
    Con il catalizzatore puntato contro il taglio, risollevò le iridi nocciola, decisa a fissare qualcosa di più interessante.
    ”Epismendo” mormorò appena la formula, mentre muoveva il polso.
    La testa viaggiò altrove. L’attenzione focalizzata sulla domanda di lui, volutamente provocatoria. A onor del vero, Madeline non era affatto l’unica Thunderbird carina, ma non l’avrebbe mai ammesso al mago islandese. Merlino non volesse che Ruby mettesse le mani sul ragazzo. Infondo, volevano spesso la stessa cosa, però, questa volta, era stata lei a vedere il ragazzo per primo.
    ”Ma se hai me a disposizione proprio qui davanti, cosa te ne frega delle altre mie concasate carine?” Ripescò la frase rivoltale in precedenza, riadattandola alle proprie necessità. Sorrisetto stampato sulle labbra, abbassò gli occhi castani sulla mano di lui. Perfettamente guarita.
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    Se ti dimostri sicura di te, nessuno dubiterà delle tue capacita. Una frase sentita, probabilmente letta in uno di quegli articoli motivazionali su come conquistare il ragazzo perfetto. Diceria e fondamento sul quale Madeline aveva costruito tutta la finta sicurezza in se stessa. L’estrema estroversione come unico elemento, che le permetteva di mantenere intatta quella pantomima.
    Sembrava esperta o almeno così le piaceva pensare, ma, in verità, non lo era affatto. Durante l’infanzia prima e l’adolescenza poi ogni possibile findanzatino era stato bocciato. Scartato senza mezzi termini dal fratello maggiore. La texana aveva pianto, battuto i piedini a terra e fatto i capricci come succedeva quando non poteva ottenere l’oggetto dei propri desideri. L’essere la sorella minore, unica femmina, era la gioia e la croce della propria giovane esistenza. Viziata e coccolata, ma anche sottoposta ad un irragionevole iper-protezione. Evan la teneva d’occhio e, con il suo temperamento, molto diverso da quello della sorella, spaventava ogni possibile mago interessato a lei.
    Ormai raggiunti i diciassette anni, non solo non aveva mai avuto un ragazzo, ma non aveva mai baciato nessuno. Quello era il motivo per cui ci teneva tanto. Ogni occasione buona per provare l’esperienza, che tanto a lungo le era stata negata. Un’immensa ingiustizia, soprattutto perché il fratello non aveva dovuto sottostare a quelle stesse insulse regole. Le aveva viste le sue ragazze. Espressioni trasognate, che le avevano fatto contorcere le budella. Desiderava lo stesso e, prima o poi, ci sarebbe riuscita.
    Compiaciuta, si agitò sotto l’ennesimo attento esame. Sentirsi trapassare da quello sguardo tenebroso, fermatosi sulla coscia di lei un po’ troppo a lungo. Ingoiò le parole, così nervosa da essere costretta a trattenere persino il fiato. Una nuvola di fumo davanti agli occhi. Occasione sfumata di fronte a quella spiegazione perfettamente logica.
    ”Oh, certo”. Mise il broncio, apertamente, senza preoccuparsi di cosa lui potesse pensare. Colpevole di averla portata fuori strada, di averla illusa senza volerlo. Incrociò le braccia al petto, sollevando appena il mento all’insù. Un disappunto ostentato e senza alcun motivo di esistere.
    Ardente, ma effimero. Un incendio spento dall’allusione del mago. La mano si librò per aria, assecondando l’irrefrenabile impulso di sventolarsi la faccia.
    ”Oh…” Entrambe le sopracciglia inarcate, finse di sapere con precisione a cosa lui si riferisse. Usò un tono civettuolo, uno che sperava fosse adatto al momento.
    Le labbra si stirarono ulteriormente verso l’alto. La mano destra a sostenerle il mento, Madeline si diede un gran tono. La pancia formicolò per la sensazione del soprannome pronunciato in maniera così attenta, dalla voce che, ora che stava meglio, poteva finalmente apprezzare. Talmente naturale, che sembrava non facesse altro. Sicuramente non doveva essere nuovo a quel comportamento, affascinare giovani sconosciute, senza alcuna difficoltà. Ignara, ingenua, ci cadde con tutte le scarpe.
    Si sporse appena in avanti, inclinando la testa di lato. Assorbendo l’impatto del nome di lui. Corto, facile da ricordare, perfetto. Non come Herbert.
    ”Islanda? Non ci sono mai stata ed è un peccato” tubò, lanciandogli un’occhiata assurdamente sfacciata ”Correggo la domanda, allora. I ragazzi islandesi sono tutti carini come te?”. Ostinata a perseguire quella strada. Domande inopportune, ma assolutamente normale per lei. Senza filtri, diretta e trasparente. Essere giudicata male, come una persona inopportuna non le importava, era abituata. Esuberante fino all'accesso, desiderava essere notata nel bene o nel male. Tutto, pur di non essere ignorata, quello, complice il caratterino sviluppato sin da piccola, non lo avrebbe tollerato.
    La mano sfioro distrattamente la clavicola sinistra. Madeline ridacchiò, divertita da quella domanda assurda. La sua cadenza era perfettamente normale, erano gli inglesi o islandesi a parlare strano.
    La testa si mosse ripetutamente a destra e sinistra, in segno di diniego. Afferrò una ciocca di capelli tra le dita, continuando a guardarlo fisso.
    ”Sono americana, texana per la precisione” precisò, tenendo a quella specifica ”Studio ad Ilvermorny, sono una Thunderbird, che è la Casa migliore di sempre. Se sei islandese, perché sei qui? Sei uno studente di questa Howart, Hogwar….” Provò, tentando di ricordare il nome, che aveva sentito innumerevoli volte al negozio.
    Delusa che si fosse sollevato, lo occhieggiò dall’alto in basso. Ora che era seduta, riusciva a farla sentire minuscola e, per la seconda o terza volta, si ritrovò a chiedersi quanto fosse alto. Era forse un mezzo gigante o, al contrario, era lei il problema?
    ”Beh, sì” sollevò leggermente le spalle, allungando le gambe verso di lui, cosicché potesse vedere gli stivaletti macchiati ”Erano i miei preferiti” continuò, lasciando sporgere il labbro inferiore. In una mossa agile, dato che l’aveva praticata innumerevoli volte, estrasse il catlizzatore dal porta bacchetta. Lo tenne sollevato in avanti, piegando l'indice per invitare il verde-argento a farsi avanti e sistemare quel taglio una volta per tutte.
    ”Dimmi, Alec. Come è successo?”
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    Edited by Madeline Mayson - 10/6/2020, 20:40
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    La rabbia scomparve, veloce come era apparsa. Mosse le mani, piegando accuratamente ognuna di quelle divise. Uno sguardo risentito, perchè erano troppe. Sbuffò, perché il proprio desiderio di impegnarsi e fare buona impressione, si stava rivoltando contro di lei.
    Tutto la distraeva. Ogni occasione buona per distogliere lo sguardo e concedersi un paio di meritatissimi minuti di pausa. L’ennesima volta grazie a Rigriel e quelle scuse accorate. Annuì, con la testa che si spostava rapidamente su e giù, mostrandosi comprensiva, nonostante non capisse. Le parole dell’elfo, agli occhi di una strega buona, ma viziata come lei, non avevano alcun senso. Senso di fedeltà e dello stile, che correvano in binari diversi, senza mai incontrarsi. Che fosse la moda inglese?
    Arricciò il nasino di fronte a quello straccio trasandato, ma, anziché gridare allo scempio, si sforzò di trattenere qualsiasi espressione, che potesse ferire Rigriel. Fosse stata lei la sua padrona, gli avrebbe fatto un restyle completo, imbellettandolo proprio come faceva con l’elfo domestico dei Mayson.
    ”Ho capito, Rigriel. Non preoccuparti, non lo farò più”. Un sorriso si aprì spontaneamente. Un tentativo di blandirlo. Portarlo dalla propria parte, cosicché la aiutasse, qualora le fosse servito.
    Concentrata sul sopravvivere dalla situazione in cui si era cacciata, seguitò a riordinare. A testa bassa, sistemò un’altra pila di indumenti. Le dita lisciarono la superficie colorata e quel semplice gesto bastò a smarrirla. Pensieri erranti e labbra dischiuse. Fissava il nulla, immobile, con gli occhi velati. L’impulso di impicciarsi in fatti che non la riguardavano e fare domande a cui McNeal non avrebbe mai risposto. Dubitava che l’elfo potesse tradirlo, non dopo la sceneggiata che aveva ferito tanto la texana, tuttavia, forse, avrebbe potuto trovare un modo di farlo confessare senza che nemmeno se ne accorgesse.
    Stirò completamente la bocca, ponendo ognuna di quelle domande scomode, portando l’elfo dove voleva. La reazione esagerata di quest’ultimo la fece ridere. Le mani premute sulla pancia, si lasciò andare ad una fragorosa risata scintillante. Avrebbe voluto chiedergli come mai fosse così disgustato da quelle esternazioni d’affetto. Un anelito represso a lungo, che lei, al contrario, avrebbe voluto soddisfare quanto prima. Fino ad ora, poteva solo contare sui racconti altrui e, ad onor del vero, Maddie aveva sentito grandi cose.
    Drizzò le antenne, sollevandosi in tutto il proprio misero metro e sessanta.
    ”Molto gentile, non c’è che dire” tubò, fingendo di non essere interessata. Le mani nascoste dietro alla schiena si strinsero e rilassarono un paio di volte. Eccitazione nascosta alla vista dell’elfo domestico. Un modo per evitare di tradirsi, essendo notoriamente pessima a mentire.
    ”E dimmi…” passò l’indice sul bancone ligneo, una mossa troppo artefatta per essere casuale ”La signorina avrà anche una camera tutta sua, immagino. Padron Brad deve avere una casa grandissima!” Lasciò correre lo sguardo lungo tutto il negozio, sperando, ancora una volta, di non insospettire la creatura legata alla famiglia McNeal.
    Controvoglia, riportò la conversazione sul saggio. Non perché non le interessasse venire a conoscenza anche di quel segreto, ma, perché, dal proprio punto di vista, era molto meno succulento.
    Arrossì, messa in difficoltà dalla domanda. Lo sguardo calò verso il basso, sui piedi ricoperti dagli stivali preferiti. La stessa menzogna le si ritorse contro, chiudendo la strega in un vicolo cieco.
    ”Letto? Beh, sì, a tratti direi. La mia parte preferità è…è…” Colpì violentemente lo scaffale con il gomito. Represse la smorfia di dolore, portandosi le mani allo stomaco. Una pessima attrice della più scadente delle pellicole.
    ”O, scusami. Perdona il mio stomaco. Non mi ero accorta di avere così fame”.
    Sicuramente, l’indomani la pelle sarebbe stata guastata da un livido gigantesco, ma ne sarebbe valsa la pena. Naturalmente, sempre che fosse riuscita a farla franca.
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    L'attento esame non passò inosservato. Le mani posate sul punto vita, per darsi un tono, era un’altra delle mosse sottratte all’esperienza della compagna di stanza. Fiera di avere attirato l’attenzione dello sconosciuto, benché nel modo totalmente sbagliato. L’urlo doveva averlo distratto da qualsivoglia fosse la sua attività, non certo il suo aspetto. Troppo emozionata o forse troppo ingenua, Maddie non si era posta il problema. In piedi, di fronte al ragazzo, lo aveva scrutato a propria volta, trapassandolo con lo sguardo. Gli occhi nocciola l’avevano guardato per bene, da capo a piedi. Lo sguardo era sceso e sceso. Ci aveva messo più del previsto, sorpresa da una statura così differente dalla propria.
    Il focus sulle mani le aveva fatto scoprire un elemento discordante, forse l’unico che non le era piaciuto: il sangue. Ascoltò la risposta di lui con le orecchie completamente ovattate, incapace di apprezzare quella voce profonda come avrebbe dovuto. Sbatté le palpebre un paio di volte per metterlo a fuoco, anziché flirtare come avrebbe voluto.
    Il taglio, secondo lei profondissimo, in bella vista, fu capace di provocarle un ulteriore sbandamento. Voleva mostrarle la sua ferita di guerra? Scosse piano la testa, rimangiandosi ogni desiderio di vedere cosa si fosse fatto. Forse, se avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto aiutarlo alla cieca. I denti si strinsero sulla parentesi orizzontale del labbro inferiore.
    Respirò piano, cercando di incamerare quanto più ossigeno possibile. Non svenire, non svenire. Un mantra nella testa a rivaleggiare con i preziosi consigli di Ruby. Ridi alle sue battute ed ondeggia i capelli. Ripenso ad entrambe le perle. Ingenua a tal punto da crederle oro colato. Malgrado le proprie condizioni, provò a scuotere lentamente la chioma, ottenendo, probabilmente, l’effetto opposto. La testa iniziò a girarle ancora più forte. Debolezza, effetti collaterali del movimento brusco e mortificazione sommate a causa di un’ingiustizia divina.
    Spalancò gli occhi, presa completamente alla sprovvista da quel tocco fermo e delicato. Le iridi castane si incastrarono in quelle molto più scure di quelle del mago e, per un attimo, scordò tutto. Dimenticò la terribile ferita e il sangue, che, con ogni probabilità, le avrebbe insudiciato la camicetta.
    Il fisico minuto e debilitato incespicò. Seguì quella figura altissima senza domande. Benché si vantasse di saperci fare con il sesso opposto, la texana era, in realtà, completamente inesperta. Non sapeva assolutamente cosa fare, come comportarsi. L’intera preparazione era frutto delle direttive di un’altra giovane Thunderbirds, quasi sicuramente impreparata quanto lei, e dalla lettura di alcune riviste.
    Lì, seduta su un masso, che le avrebbe imbrattato anche la gonna, ripensò a tutto ciò che sapeva. Il naso si arricciò, manifesto della confusione di lei. La vista di lui accucciato, così da essere all’altezza della texana, la trapassò come un potente incantesimo Confundus. Voleva baciarla! Scioccata, separò appena le labbra. Non poteva, non così. Non aveva nemmeno il lucidalabbra, per tutti i Wampus.

    Dimmelo se stai per svenire. Anzi, prima dimmi dove tieni la bacchetta, perchè la mia si è rotta.

    Trattenne il fiato, ipersensibile a quello sguardo fisso. La fronte si aggrottò ed il mento si abbassò in direzione del proprio catalizzatore, custodito sul porta-bacchetta da coscia. Unico posto possibile, dal momento che non aveva tasche in quella gonna.
    La realizzazione le arrivò con un secondo di ritardo. Strinse appena gli avambracci di lui, incredula. Una profonda delusione la trapassò. Tutte quelle moine erano state un’espediente per rubarle la bacchetta, solo perché la sua era rotta. Gli angoli delle labbra si abbassarono, ma, quando la mano di lui scivolò via dal suo braccio, Madeline dimenticò tutto.
    ”Nel porta-bacchetta da coscia. Dove altro potrebbe essere? Credi…credi che io stia per svenire?” sibilò con una voce più flebile del consueto.
    Poteva avere il suo catalizzatore, che importava. C’erano modi molto peggiori per trapassare e, se l’avesse fatto tra le braccia di un mago attraente, non sarebbe stata una grossa perdita. Ripensò all’anziano cliente canuto, che, ormai da settimane, provava ad incastrarla con un ragazzino scortese e villano di nome Herbert.
    ”Come ti chiami?” tubò, improvvisamente più vigile. Curiosa di conoscere la risposta a quella domanda, divenuta improvvisamente fondamentale.
    ”Io sono Madeline, ma tu sollevò l’indice ”puoi chiamarmi Maddie”.
    La mano scese per sistemare le punte dei capelli. Stava meglio, tanto che si arrischiò persino di guardare la camicetta, ormai irrimediabilmente rovinata. Le spalle si sollevarono verso l’alto, contemporaneamente agli angoli della bocca. Gli sorrise, perché non le importava che le avesse rovinato la maglietta.
    ”I ragazzi inglesi sono tutti carini come te?” soffiò, ridacchiando leggermente. Avrebbe solo dovuto ridere a una sua battuta e il gioco sarebbe stato completato. Ruby sarebbe stata così fiera di lei, sempre che prima non fosse morta di invidia.
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    Ci tenevo ad invitarti personalmente
    Madeline rimirò quella frase per l’ennesima volta, fissando la pergamena con un’aria terribilmente compiaciuta. Arricciò le labbra, fiera che l’impegnatissimo negoziante avesse pensato proprio a lei. Ultimamente non l’aveva visto spesso, perché era stato impegnato con il suo saggio. La texana non aveva idea di cosa parlasse quella pubblicazione e, se non avesse imbrogliato l’elfo di McNeal per farlo parlare, probabilmente non ne avrebbe mai saputo nulla.
    Sistemò i capelli, affinché cadessero ondulati, bloccandoli ai lati della nuca con delle semplici mollette, decorate da perline bianche. L’abito a maniche lunghe, di un delicato colore rosa pastello, era uno dei suoi preferiti. Si voltò, ammirando il modo in cui si stringeva in vita e si passò una mano per lisciare la gonna, lunga appena sotto al ginocchio. Ridacchiò, osservando il proprio riflesso. Si sentiva carina e non era sorpresa che l’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure l’avesse invitata. Di sicuro voleva vantarsi con gli altri di quanto fosse brava la sua commessa.
    Annuì al suo riflesso, prima di recuperare una borsetta, dove ripose con cura la lettera, ed uscire. Si era organizzata per cambiarsi direttamente al negozio, anziché al Castello, così che lo spostamento fosse più agevole. Era emozionata per l’intera serata e non sapeva bene cosa aspettarsi. L’immagine della negoziante del Ghirigoro le sfiorò la mente, accendendola di una curiosità ancora maggiore. Trattandosi della sua bottega, le sembrava logico supporre, che ci fosse anche la donna. Piroettò, incurante degli sguardi, sicuramenti invidiosi, dei passanti. Forse la Kennegan avrebbe potuto finalmente risolvere il mistero. L'idea del pettegolezzo sui due giocatori del quidditch la riempì di aspettativa. Voleva sapere se fossero ragazzo e ragazza e non perché dovesse fare una ricerca accademica. Semplicemente, la texana era il tipo di ragazza da amare ogni implicazione romantica. Sognava in grande. Tenersi informata per essere preparata, sapere cosa fare, se un giorno fosse capitato a lei.
    Giunta di fronte al luogo dell'evento, ritoccò il lucida labbra al gusto fragola, scelto appositamente per la serata. Si sporse in avanti, per specchiarsi nelle vetrine e controllare se fosse tutto apposto. Desiderosa di fare bella figura, perché era stata invitata personalmente.
    Superò l'ingresso, ostentando una certa delusione. Si aspettava che ci fosse qualcuno a controllare gli inviti, di modo che potesse sventolare il proprio. Firmato da Brad McNeal in persona. Il mento si sollevò, tradendo il compiacimento della giovane Thunderbird. Invero, non le erano sfuggite le gigantografie dell'insegnante. Era la sua festa ed il fatto che si fosse premurato di scriverle in prima persona, rendeva evidente che anche lei, per estensione, fosse importante. Sua ospite.
    Lo cercò con lo sguardo, sventolando una mano verso di lui, non appena lo riconobbe.
    "Professor McNeal" tubò, enfatizzando il rumore dei tacchetti sul pavimento della sala "Scommetto che era preoccupato che non venissi, vero? Non potevo certo mancare, non dopo che lei mi ha invitato. Sa, personalmente". Calcò la voce sull'ultima parola, sperando che i presenti, lì, nei paraggi, la sentissero distintamente. Portò indietro le spalle, raddrizzando la postura e, dopo una rapida occhiata ai presenti, tornò a focalizzarsi sul proprio capo.
    "Ho letto che autograferà il suo libro a chiunque lo compri. Io posso avere la dedica? Sa, in fondo...Rigriel" sorrise, distratta dall'elfo domestico del docente "Ma cosa ti sei messo? E' una festa! Forse potrei prestarti un po' di lucidalabbra, potrebbe aiutarti..." Si bloccò, distratta dalla persona, che aspettava di vedere. Si congedò, rivolgendo all'insegnante un delicato saluto con il cenno della mano.
    Gli occhi nocciola si posarono su James Kennegan, negoziante del Ghirigoro e possibile ragazza di Brad McNeal. Ammirata, osservò la sua scelta stilistica. Era bella, non era stupita che il produttore di scope avesse una cotta per lei. Sorrise, avvicinandosi. Non si curò di vederla in compagnia di altre persone, per lei non avrebbe fatto alcuna differenza.
    "Signorina Kennegan!" trillò, prendendosi gratuitamente tutta quella confidenza "Mi piace molto qui e anche il suo vestito. In realtà, è stato proprio il Signor McNeal a farmelo notare. Io, emh, sono sicura glielo abbia già detto" mentì, arrotolandosi una ciocca scura attorno all'indice. Non le piaceva dire bugie e, anche se l'avesse gradito, non sarebbe mai stata troppo brava a farlo. Troppo buona, troppo trasparente per riuscirci. In fondo, si disse, non stava facendo nulla di male. Ma se si fosse sbagliata? Cosa sarebbe accaduto se, in realtà, Brad e James non fossero stati una coppia.
    "Beh, in realtà...Ecco, non è che me l'abbia detto, così, con così tante parole. L'ho capito". Deglutì, vomitando l'intera confessione, per sentirsi meglio. Salutò altre due streghe, più grandi di lei, che non conosceva, prima di togliere il disturbo.
    Osservò di sottecchi i due negozianti e presunti innamorati. Ancora una volta, Maddie si perse in innumerevoli congetture, non credeva di essersi sbagliata, ma, se così fosse stato, avrebbe dovuto fare ammenda. Decise che, prima che la serata volgesse al termine, avrebbe comprato una copia della pubblicazione del proprio insegnante.
    Sentendosi subito meglio, lasciò che lo sguardo vagasse sull'intero negozio. Gli occhi si posarono, prima sul dessert e su una persona, che inizialmente non avevano notato, poi. Un ragazzo, apparentemente suo coetaneo, se ne stava in disparte da tutti gli altri. Aveva una faccia già vista, sebbene non lo conoscesse. Forse era uno studente di Ilvermorny, proprio come lei. La testa si mosse automaticamente a destra e a sinistra, accortasi dello stemma ricamato sul maglione di lui. Non lo riconosceva, inclinò la testa per studiarlo. Sembrava a disagio e la Thunderbirds non ne comprese il motivo.
    "Ciao" trillò, ondeggiando il capo verso il verde-argento "Sono Madeline e tu?". Sbatté le ciglia ripetutamente, cercando di fare colpo. Non si preoccupò di dargli fastidio, dopotutto, era un' ospite importante, invitata da Brad McNeal in persona.
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    N on era mai stata ad Hogsmeade. Diciassettenne, studentessa americana erano le qualifiche, che la definivano e che avrebbero reso improbabile la propria presenza nel villaggio inglese. Una visita non pianificata, dettata unicamente dal desiderio di soddisfare la propria vanità.
    Al punto di terminare il proprio turno di lavoro da Accessori per il Quidditch di Qualità, li aveva visti: rosa, con lenti di colore diverso, abbastanza insoliti da non passare inosservati. Spettrocoli, così li aveva chiamati la giovane clienti, servita alla bottega e la Texana non era stata in grado di resistere. Lì, così lontana da Ilvermorny, solo per comprare quello specifico paio di occhiali, a cui non aveva saputo resistere.
    Trascorsi trenta minuti dal proprio arrivo al villaggio, Maddie dovette riconoscere di essersi persa. Sbuffò sonoramente, scostando le ciocche di capelli dal viso. Inoltre, si trovava in uno spiazzo circolare ed ignorava completamente quale fosse la direzione giusta da prendere.
    Sbatté i piedini a terra, terribilmente scocciata dalla situazione generale. Lo sguardo, fisso sull’orizzonte, le permise di accorgersi a posteriori della tragedia. Un’enorme pozzanghera, lei troppo distratta per notarla, contribuì ad ingigantire l’incubo. Alimentato, al punto tale da essere troppo da sopportare.
    Gli occhi nocciola scesero sulla gambe, sporche di fango. Madeline deglutì vistosamente, prima di scendere più in basso e, lì, infine vide lo scempio. Una gigantesca macchia marrone sui propri stivali preferiti. Un semplice miscuglio di terriccio ed acqua, che, sommati all’evidente difficoltà di orientamento, non le lasciarono altra scelta.
    Le labbra si spalancarono senza troppe cerimonie. La studentessa dì Ilvermorny urlò la propria frustrazione a pieni polmoni, conscia di essere stata sconfitta. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Spie vigliacche della rabbia dell’americana. Come era potuto succedere tutto questo? E perché proprio a lei? Avrebbe dovuto chiedere a Rigriel. Farsi accompagnare dall’elfo domestico, per evitare tutte le difficoltà a cui non era abituata.
    Smarrita in se stessa, non si era preoccupata di fare piano. Semplicemente, non aveva creduto che, lì, in quel luogo dimenticato dagli Dei, vicino ad un rudere evidentemente abbandonato, ci potesse essere qualcuno.
    Sussultò, colta alla sprovvista da quell’espressione colorita. Una che, qualora fosse uscita dalla propria bocca, avrebbe attirato la furia della madre latino-americana.
    La testa scattò di lato e le iridi nocciola scrutarono i dintorni alla ricerca di quella fonte. Spalancò le palpebre, piacevolmente sorpresa dalla figura poco distante da lei. Alta al punto che, se si fossero messi vicini, avrebbe torreggiato sul suo misero metro e sessanta.
    Le labbra si stirarono verso l’alto. Un momento di defiance, prima di essere arricciate in quel modo artefatto, per cui si era tanto esercitata di fronte allo specchio. Nonostante la camicetta bianca e la gonna pervinca che indossava, parte della sicurezza si dissolse. Inorridì, resasi conto di non avere il lucida labbra e Ruby, sua compagna di stanza, l’aveva convinta, che fosse indispensabile. Magari, se si fosse voltata, avrebbe potuto pescare quello al gusto ciliegia dalla borsa e sarebbe riuscita ad applicarne un poco. Quante probabilità aveva di riuscirci?
    L’attenzione venne calamitata altrove. Maddie inarcò le sopracciglia, incapace di comprendere, perché gli indumenti di lui fossero sporchi di rosso vivo. Una moda strana, quella inglese e, francamente, non era sicura di apprezzarla. Continuò il lento esame, arrestandosi bruscamente sulla mano di lui.
    ”È...è sangue quello?” squittì, sentendosi improvvisamente mancare. Si avvicinò, tentando di ignorare i morsi, che le attanagliavano lo stomaco. Incauta, ma desiderosa di guardare, aiutare.
    ”Posso...Io, ehm...aiutare?” Le parole le morirono in gola, impedendole di articolare correttamente la volontà di dare una mano allo sconosciuto.
    Bianca come un cencio, tentò di allungare la mano. Era normale che girasse tutto?
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    Purtroppo, no. Però Hogsmeade va benissimo. Mi inventerò un motivo plausibile per essere lì.
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    Per me va benissimo 😍
48 replies since 27/2/2020
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